Va condannato per ingiuria chi si rivolge ad un'altra persona dicendole 'vai a cagare'. Lo sottolinea la Cassazione, che ha confermato la condanna inflitta ad un settantenne dal giudice di pace di Santhia': l'imputato, nel corso di una discussione su una "delicata situazione lavorativa", aveva rivolto tale frase ad un altro uomo. Il suo difensore, data la condanna di merito, si era rivolto alla Suprema Corte sottolineando che l'espressione incriminata non avesse "carica lesiva", ma denotasse solo "volgare insofferenza", ricordando che in altre occasioni la giurisprudenza di legittimita' aveva stabilito che non integrassero il reato di ingiuria le locuzioni 'vaffanculo' e 'non rompermi le scatole'.
I giudici di piazza Cavour hanno pero' dichiarato inammissibile il ricorso: l'espressione proferita dall'imputato "brutalmente volgare zittiva l'interlocutore, ridicolizzandolo e troncando perentoriamente ogni discussione" e "lo scurrile e crudo frasario - si legge nella sentenza n.15350 della quinta sezione penale - ampiamente esulante dalla mera insofferenza o fastidio, attingeva l'interlocutore con virulenza demolitoria, vulnerandone il senso di dignita' e di rispetto che accompagna la persona nella sua dimensione individuale e sociale".
Inoltre, secondo i giudici, "la pretesa desensibilizzazione della coscienza sociale di fronte alle asperita' della volgarita' dominante non vale a scriminare lesioni cosi' vistose del bene giuridico protetto dall'articolo 594 CP, se non a costo di operare una sorta di depenalizzazione della norma, che non compete all'interprete". Infine, non "va taciuto che la riaffermazione del senso definitorio della parola - conclude la Cassazione - costituisce una esigenza etica irrinunciabile".