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Dal giocattolo al videogioco. Una continuita' in crescita e in via di legittimazione
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Articolo di Redazione
23 dicembre 2012 14:30
 
Vincent Berry e' docente in Scienza dell'Educazione all'Universita' Paris XIII e membro dell'équipe di ricerca “Loisir, jeu et objets culturels de l'enfance" (tempo libero, gioco e oggetti culturali dell'infanzia), nell'ambito del laboratorio Experice. In occasione del Natale, analizza il mercato crescente dei videogiochi a confronto coi giochi tradizionali, e i suoi effetti.
D. Alcuni studi mostrano come i bambini abbandonino sempre di piu' i giocattoli a vantaggio dei videogiochi. E' l'inizio di una marginalizzazione dei giocattoli “antichi”?
R. I limiti d'eta', e' una realta', si spostano, ma io non credo ad una marginalizzazione dei giocattoli: questo settore e' in costante aumento da diversi anni. Oggi, per i videogiochi, l'eta' chiave sembra che si collochi a 11 anni, al momento della pre-adolescenza e della ricerca di autonomia. Coi miei colleghi, al momento stiamo conducendo uno studio sulle camerette dei bambini e la cultura materiale degli stessi bambini: e' a questa eta' che la cameretta si trasforma. Gli oggetti dell'infanzia, essenzialmente giocattoli, hanno la tendenza a sparire a vantaggio del computer, della consolle e dei videogiochi.
E' un modo di marcare il passaggio ad un nuovo periodo della vita. Prima i videogiochi sono presenti in casa, ma  praticamente nella sala comune. Al momento della pre-adolescenza e dell'adolescenza, la consolle ed il computer appaiono in cameretta e le modalita' di gioco si trasformano: i bambini privilegiano una socialita' tra pari o, al contrario, preferiscono restare da soli. E' anche in questo momento che cominciano a fare le proprie cose solo nella loro cameretta, e non piu' sul tavolo della cucina. I videogiochi si iscrivono in questa dinamica di ricerca di autonomia.
D. Dal giocattolo al videogioco, i bambini passano dalla manipolazione fisica di un oggetto alla visualizzazione di un immagine. Quali sono le conseguenze?
R.
Ci sono dei meccanismi comuni al giocattolo e al videogioco -il principio della costruzione, per esempio, per il Lego e il videogioco Minecraft. La differenza principale e' la potenza del dispositivo del videogioco e il tipo di esperienza che questo produce: esso ricicla la cultura ludica tradizionale, ma aumenta la potenza dell'esperienza. Con un numero limitato di azioni, esso invia molte risposte, di potenzialita'. Si parla, in merito al videogioco, di esperienza di gioco “aumentata”.
D. Con il videogioco si perde il piacere di fare qualche cosa con le proprie mani?
R.
Il piacere della manipolazione e' sempre presente nel videogioco. Ce' una vera cultura attorno ad esso -alcuni giocatori adorano le vecchie consolle, per esempio. Nintendo sviluppa delle consolle con colori e disegni differenti ai quali i bambini sono molto sensibili. In questo senso le consolle portatili sono un materiale ludico, una forma di giocattolo.
D. Si puo' dire che la cultura del giocattolo era piu' focalizzata sull'apprendimento mentre quella del videogioco sul “divertimento”?
R
. Il giocattolo, che ha una storia molto antica, e' stato presto associato all'educazione, sia dai pedagoghi che dagli psicologi che sostengono come il gioco favorisca lo sviluppo, che dagli industriali che costruiscono giochi cosiddetti “educativi”. Questa tradizione e' stata in parte rotta dall'arrivo di Barbie e di G.I. Joe negli anni 1960: il discorso sul giocattolo e' allora cambiato, il divertimento e' stato considerato per la prima volta. Il pensiero educativo si e' adeguato, ma oggi si mantiene ai margini nell'ambito del giocattolo.
Il videogioco e' un'altra storia, ma si ritrova questa tensione tra educazione e divertimento. -in un movimento cronologico inverso! In una prima fase, nell'ambito degli anni 1970 e 1980, i videogiochi rinviavano volentieri al divertimento, al piacere tra amici. Poi, nel decennio successivo abbiamo assistito alla nascita del gioco ludo-educativo e dei CD culturali. E' il caso di Adibou o degli Zoombinis. Alcuni intendono far apprendere la lettura e il riconoscimento dei colori. Ma ora, pur se questi giochi hanno avuto successo durante una dozzina di anni, sono poco a poco spariti.
D. Lei dice che esiste una continuita' molto forte tra l'universo del giocattolo tradizionale e quello del videogioco. Qual e'?
R.
Il videogioco crea nuove forme di esperienze ludiche, ma ricicla anche l'universo tradizionale del giocattolo. Nei Sims o in World of Warcraft, i personaggi rinviano alle bambole o a figurine che vengono vestite e sulle quali ci si inventa delle storie. I videogiochi di guerra o di soldati richiamano forme tradizionali di gioco che si ritrovano in tutti i corsi scolastici nell'ambito dei conflitti. I videogiochi fondati sullo scambio di beni virtuali tra personaggi sono un'eco, anche se lontana, del gioco del mercato.
D. Si dice spesso che il videogioco e' piu' violento. Che ne pensa?
R.
La tradizione dei giocattoli di guerra -armi, soldatini di piombo, G.I. Joe, i Maestri dell'Universo- e' molto antica. D'altronde, la presentazione della violenza nei videogiochi e' piu' spettacolare: c'e' immagine e movimento, cio' che rende la situazione piu' coinvolgente. Si criticano i videogiochi ma in realta' e' tutta la cultura ludica dell'infanzia che si e' trasformata. Al tempo delle prime polemiche sulla violenza dei videogiochi, negli anni 1990, le osservazioni erano sia sui videogiochi che sulle figurine di Power Rangers o i cartoni animati giapponesi come Dragon Ball Z, I cavalieri dello Zodiaco o Ken il Superstite. Oggi, in generale la violenza e' molto meno un eufemismo, ma resta meno romanzata nel mondo del gioco.
D. I videogiochi hanno favorito la separazione maschio-femmina nell'universo dei giocattoli?
R.
All'inizio del videogioco, quando gli industriali non conoscevano bene il mercato, c'e' stato un momento di dubbio: i fabbricanti pensavano che nella loro clientela non ci fossero che ragazzi ed esitavano a “sessualizzare” i giochi. Ma essi hanno subito ripreso le abitudini del mondo del giocattolo. Il caso emblematico e' Pac-Man, il personaggio a forma di camembert che e' stato un grande successo. Quando gli industriali si sono resi conto che esisteva un pubblico di giocatrici, essi hanno immediatamente creato Miss Pac-Men.
Dal punto di vista dei fabbricanti, questa “sessualizzazione" del videogioco e' venuta da Nintendo, una industria che e' venuta dal mondo della carta (come i Pokemon) e del giocattolo. Quando si e' dedicata al videogioco, essa ha utilizzato gli stessi metodi del giocattolo tradizionale. Questo processo si e' accelerato quando Mattel, creatore di Barbie, ha editato dei videogiochi: essa aveva l'abitudine di sessualizzare i propri giocattoli, e si e' messa quindi a fabbricare dei “girl's games”, come Barbie Fashion Designer, che propone di disegnare e stampare dei vestiti per la propria bambola Barbie. Gli industriali hanno applicato le strategie gia' provate nell'ambito del giocattolo: iperfemminizzazione dei personaggi e degli universi, creazione di codici colorati che marcassero un universo pensato come femminile (bambole, equitazione), sviluppo di pubblicita' che si indirizzassero direttamente alle bambine.
Oggi, la divisione maschio-femmina e' anche marcata nei videogiochi cosi' come nel giocattolo tradizionale, ivi compresi gli imballaggi -rosa per le bambine, blu per i ragazzi. I giochi di cure materne, di “finzione”, di bambole, di star, sono tutti destinati alle bambine -e' il caso, per esempio, di Imagine Babies o di Hannah Montana Superstar. I giochi di guerra, di scontro, sono destinati ai ragazzi. Pierre Bruno, un ricercatore specializzato nei videogiochi, ha analizzato questo fenomeno negli anni 1990: lui parlava, per i videogiochi, di “tradizionalismo rinnovato”.
D. Ci sono usi diversi del videogioco in base ai livelli sociali?
R.
Dagli anni 1990, il videogioco penetra in tutti i livelli sociali, grossomodo. Esiste una vasta gamma di prodotti: i giochi di sport, notoriamente, seducono le classi popolari, le classi medie e gli avvantaggiati. Cio' che cambia e' il discorso che si fa sui giochi. C'e' una pratica cosiddetta “coltivata” o “erudita”, per citare di nuovo Pierre Bruno -le persone “teorizzano” i loro modi di gioco-, e una pratica cosiddetta “volgare” -si gioca per il piacere, senza cercare un valore pedagogico alla propria attivita'.
D. In che cosa i videogiochi ci raccontano l'evoluzione dell'universo ludico?
R.
Il videogioco e' una pratica culturale in via di legittimazione: essa e' sempre piu' considerata come un'attivita' degna di interesse. Per capire: alcuni musei vi dedicano delle mostre. Ma, dietro il videogioco, c'e' tutta la nostra cultura ludica che si e' trasformata. Oggi, il mondo del gioco e del divertimento in generale, si e' considerevolmente sviluppato: le persone giocano sempre di piu', che siano bambini, adolescenti o adulti, donne o uomini, provenienti dai livelli popolari o dalle classi superiori. I videogiochi, i giocattoli, ma anche i giochi di societa' sono molto piu' presenti nel nostro quotidiano rispetto ad una cinquantina di anni fa. Essi occupano uno spazio importante in tutti gli ambiti sociali.
Questa diffusione della cultura ludica e' un effetto di una generazione legata in parte ad una trasformazione dell'industria dell'infanzia. I bambini nati negli anni 1960 in Usa, o negli anni 1970 e 1980 in Francia, sono stati sottoposti ad un rapporto diverso col gioco, coi giocattoli, coi film e coi cartoni animati. Questi bambini hanno beneficiato di una cultura ludica la piu' varia -di cui io non giudico la qualita'- sono diventati grandi, ma c'e' una continuita' tra il gioco dei bambini che essi erano e quello degli adulti che sono diventati.

(intervista di Anne Chemin, pubblicata sul quotidiano Le Monde del 23/12/2012)
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