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TEMPO PERSO TEMPO RITROVATO
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Articolo di Annapaola Laldi
1 febbraio 2007 0:00
 
All'insegna della furia. Cosi' posso tranquillamente definire l'educazione che ho ricevuto fin dall'infanzia. E dico furia e non fretta, perche' non si trattava soltanto del bisogno/desiderio di non perdere tempo, ma anche dello scatenamento di un'ansia furibonda se si dava il caso che un intoppo ci fosse (da una coda in un ufficio a un accenno d'influenza). Un'ansia che, anche quando non voleva mostrarsi all'esterno, trovava comunque (ora lo so) fantasiose vie d'espressione, spesso tanto fuorvianti che mi ci e' voluto parecchio, in termini di impegno e di tempo (ma guarda un po'!) per riprendere i fili della mia vita che a causa di cio' si erano sparsi e dispersi in mille direzioni.
Finalmente credo di avercela fatta, e adesso mi pare di una ovvieta' sconcertante questa constatazione: quando si ha furia (o anche semplicemente fretta), e' esattamente quello il momento in cui perdiamo in grande misura proprio quel tempo che vorremmo tenerci stretto perche' sembra che non ci basti mai.
Ma devo pure constatare che la furia connota la vita di tantissime persone e che e' piu' la regola che l'eccezione nelle nostre relazioni pubbliche o private. .
A sua giustificazione si adducono motivi diversi, e di due di essi ho migliore conoscenza.
La mia mamma, che effettivamente aveva i minuti contati nella sua qualita' di donna che doveva badare da sola al sostentamento suo, di me e di sua madre, e aveva tempi materiali strettissimi per fare la spesa, portarmi a scuola, quando ero piccola, andare in ufficio, riprendermi da scuola, mangiare un boccone, tornare in ufficio, eccetera eccetera, motivava la sua furia (il termine l'ho imparato da lei) con tale necessita' oggettiva di dover incastrare tra di loro tutte queste cose. In effetti la mamma conosceva una tirannia oggettiva del tempo, e "non perdere tempo" era il suo motto non solo nel semplice ambito della giornata, ma anche nell'ambito piu' ampio della vita nel suo complesso. E' stato cosi', dunque, che io, la vita, l'ho attraversata, dall'infanzia alla giovinezza, a passo di corsa per raggiungere a tempo di record un titolo di studio capace di assicurarmi, secondo l'auspicio della mamma, una vita piu' tranquilla della sua (cosa che e' avvenuta -e qui pubblicamente la ringrazio-, ma solo dopo che mi e' stato dato di congedare la furia materna con il pesante fardello dell'ansia, che le era strettamente connesso).
Un altro motivo di giustificazione della furia, che mi fece conoscere un'amica un po' piu' giovane di me, chiama invece in causa il diritto della persona a non vedersi rubato il tempo dagli altri. Lei non ne vuol sapere di code e di attese perche', se deve "perdere tempo" -cosi' afferma- lo vuole perdere a modo suo, come e quando vuole lei. Devo dire che all'inizio, tanti anni fa, questa idea esercito' su di me un certo fascino. Essa, infatti, mi permetteva di continuare ad avere furia nel momento in cui cominciavo a intuire che, venendo meno le ragioni oggettive, che aveva avuto mia madre, la furia si riduceva sempre piu' a una mera abitudine, sia pur fortemente renitente a prendere atto della mutata realta'.
Dovetti pero' constatare presto che per me le cose non funzionavano come diceva la mia amica. In quel modo -a me sembro' e sembra tuttora-, la furia/fretta diventava davvero ancora di piu' furia/rabbia con l'effetto non solo di continuare a "perdere tempo", ma anche, e ancor peggio, di crearmi dal nulla un sacco di nemici -tutti coloro che, per una ragione o per l'altra, osavano rallentare il mio passo. E questa non e' propriamente una bella cosa.
Non so bene come sia avvenuto il passaggio emotivo che mi ha liberato da questa ormai sempre piu' sgradevole forza dell'abitudine. Di quello razionale serbo il ricordo legato alla scoperta, un bel giorno, che io, appunto, non avevo proprio piu' la minima ragione oggettiva di correre e di temere di "perdere tempo". Forse, la spinta definitiva me la dette un'altra amica quando mi disse, con una forza che veniva dal profondo, una frase che ancora mi resta alquanto misteriosa: "Annapaola, il tempo non si perde mai".
Non fu immediato, ma di fatto, rimemorando queste parole, qualcosa si deve essere smosso, e un altro bel giorno mi sono accorta che, si', sembra proprio che le cose funzionino in questo modo. Che la vita, cioe', stia e sia esattamente li' dove sono io: nell'attesa, magari lunga, di eseguire un banale pagamento alla posta, cosi' come nella ricerca appassionata della parola giusta in una traduzione; ferma, in mezzo alla strada, un po' depressa ad aspettare il carro attrezzi perche' la macchina ha deciso di bloccarsi proprio a quell'ora e in quel luogo, cosi' come nel procedere entusiasta in mezzo a un bosco che s'inerpica fino a un crinale, da cui si gode uno splendido panorama e un meraviglioso senso di liberta'.
Perche' in ogni luogo e in ogni momento, comunque, c'e' tutto un mondo da osservare e da ri-conoscere, fuori e dentro di noi, e, anzi, a volte, puo' accadere che, proprio grazie a un'attesa imprevista, che all'inizio ci appare del tutto inopportuna e insopportabile, si renda possibile esperire un aspetto importante della vita, che si sarebbe gia' svelato se solo gli avessimo dato. il tempo di farlo.
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