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RENDITE FINANZIARIE, IL PROBLEMA NON E' SOLO L'ALIQUOTA: BASTA COL PAGARE TASSE SULLE PERDITE!
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Comunicato 
9 gennaio 2008 0:00
 

Firenze, 9 Gennaio 2008 - Ogni tanto si torna a parlare della "armonizzazione" della tassazione sulle rendite finanziarie, un eufemismo per non dire 'aumento delle tasse', che suona sempre male... L'argomento e' tornato di moda in queste ore perche' servono soldi per la questione dei salari.
Cio' che solitamente non si dice e' che oggi le regole attraverso le quali si pagano le tasse sulle attivita' finanziarie sono del tutto illogiche e portano, troppo spesso, a pagare tasse sulle perdite.
A causa del cervellotico sistema fiscale italiano, le rendite finanziarie sono suddivise in "redditi di capitale" (cedole, dividendi ed altro...) e "redditi diversi" (il plus/minus valore generato dalla differenza fra vendita a acquisto). Uno stesso investimento puo' generare (e di solito genera) sia redditi di capitale che redditi diversi. Tutte le volte che l'investimento genera un reddito da capitale (ad esempio un dividendo) ma anche una minusvalenza (cioe' quando si vende, si vende ad un prezzo inferiore al prezzo di acquisto), l'investitore si trova a pagare una tassa su un guadagno che, di fatto, non ha avuto.
Questo e' l'aspetto piu' macroscopico, ma la distinzione fra redditi diversi e redditi di capitale genera delle storture e delle complessita' tali che perfino le banche, quando agiscono come sostituti d'imposta, talvolta sbagliano nel calcolare la tassa da pagare.
I redditi da capitale non sono soltanto le cedole ed i dividendi. Inspiegabilmente sono redditi da capitale anche i guadagni effettuati sui fondi comuni che non siano italiani (quelli, hanno gia' il loro "fardello" dovuto all'assurdita' del sistema che si chiama "tassazione sul maturato": cioe' lo stato prende i soldi sul guadagno ipotetico, quando si dice "mangiare l'uovo....").
La plusvalenza realizzata su un fondo estero, ad esempio, non si compensa con una minusvalenza realizzata sullo stesso fondo. L'ennesimo caso nel quale il risparmiatore italiano viene tassato anche sulla perdita!
Ma siccome all'assurdo non c'e' mai fine, c'e' anche di peggio: si pensi al calcolo della tassazione di un ETF (gli ETF sono dei fondi quotati in borsa). Quando si vende un ETF - grazie alle regole cervellotiche del sistema fiscale italiano - si genera contemporaneamente sia un reddito da capitale (la parte preponderante) che un reddito da diverso (1). Puo' succedere, in casi non infrequenti, che si venda un ETF ad un prezzo inferiore a quello di acquisto ma si debba pagare un'imposta!
Il primo problema delle imposte sulle rendite finanziarie in Italia, quindi, non e' la misura dell'aliquota, ma la determinazione della base imponibile. Il 12,5% - obiettivamente - non e' un'aliquota alta, ma qualunque innalzamento dell'aliquota non puo' prescindere da una razionalizzazione della metodologia di tassazione. Due provvedimenti ci sembrano urgenti: 1- abolizione della distinzione fra redditi di capitale e redditi diversi e 2- abolizione della tassazione sul maturato dei fondi comuni d'investimento italiani che tante storture al sistema finanziario ha generato e genera.
Se il prezzo da pagare per questa razionalizzazione della tassazione delle rendite finanziarie e l'innalzamento dell'aliquota, ben venga questo innalzamento. Se - come sembra - l'innalzamento dell'aliquota e' solo un mezzo per racimolare soldi proprio non ci siamo!

Alessandro Pedone, responsabile Aduc per la tutela del risparmio

(1) Il prezzo di un ETF non rispecchia mai l'effettivo valore dei titoli contenuti nel fondo (che prende il nome di NAV: net asset value). La differenza fra il NAV al momento della vendita e quello al momento dell'acquisto genera reddito da capitale. La differenza fra prezzo di vendita e prezzo di acquisto meno il NAV al momento della vendita ed NAV al momento dell'acquisto genera un "reddito diverso". Se si vende in perdita ma il NAV e' cresciuto, l'investitore paga un'imposta sul presunto "reddito di capitale".
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