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 ITALIA - ITALIA - Italia. Procura impugna ordinanza Tribunale di Roma su Welby
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19 dicembre 2006 0:00
 
La Costituzione riconosce la liberta' del paziente di rifiutare le cure e quindi il medico ha la facolta', ma non il diritto, di curare. Lo sostiene la procura di Roma impugnando l' ordinanza che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Piergiorgio Welby per chiedere l' interruzione delle cure. Intanto, secondo una prima bozza del parere del Consiglio Superiore di Sanita', le cure applicate all'uomo non sarebbero accanimento terapeutico. Il ministro Livia Turco vuole nel frattempo andare a trovare Welby "per capire se le cure che riceve sono adeguate".

RECLAMO PROCURA - Nel reclamo la procura chiede che il tribunale civile affermi l' esistenza del diritto del malato ad interrompere il trattamento terapeutico non voluto. I pm parlano di "palese contraddizione" nell' ordinanza del giudice del tribunale civile di Roma, Angela Salvio. Gli articoli 32 e 13 della Costituzione, sottolineano, indicano "l' esistenza di un vero e proprio 'diritto a non curarsi', ossia di un' assoluta liberta' del paziente di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia faccia il suo corso. Il medico, dunque, ha la potesta' o la facolta' di curare e non il diritto di curare".
Non si tratta, aggiungono, "di agevolare un 'diritto a morire', bensi' di una scelta cosciente tesa ad evitare ulteriori ed inutili sofferenze al paziente irrimediabilmente malato". Ad esaminare il reclamo sara' ancora il tribunale civile, ma non piu' in sede monocratica, come avvenuto per il procedimento definito dal giudice Salvio, bensi' in composizione collegiale.

BOZZA PARERE CONSIGLIO SANITA', NESSUN ACCANIMENTO - La bozza di parere dovra' essere esaminata domani dal Consiglio in sede plenaria. Il parere era stato richiesto dal ministro della salute Livia Turco e gli esperti sono riusciti nello sforzo di elaborare un documento unico. Si tratta solo di una proposta che l'assemblea del Consiglio Superiore potrebbe anche non accettare o farlo in parte, dividendosi: la soluzione, in questi casi, e' un parere di maggioranza con osservazioni o due pareri diversi.
In ogni caso, qualsiasi sara' il documento approvato (il voto e' previsto per la mattinata), il parere non si trasformera' automaticamente e immediatamente in nessun atto pratico. Gli esperti infatti forniranno la loro posizione tecnico-scientifica al ministro Turco ma sara' sempre lei a decidere se tenerne conto o no, con gli strumenti a sua disposizione.

TURCO VUOLE VISITARE WELBY - Il ministro della Salute, Livia Turco, e' intenzionata a far visita a Welby "per capire se la qualita' delle cure ed il livello di assistenza sono adeguate.
Perch, in questa vicenda si e' parlato poco dell' assistenza reale che egli ha, di quanto quella straordinaria donna che gli sta accanto e' davvero aiutata". Nessuno, sottolinea il ministro, "deve trovarsi solo o sentirsi abbandonato in queste condizioni. Dobbiamo investire di piu' nell' assistenza ai malati terminali e a quelli affetti da gravi malattie degenerative e invalidanti. Se lo faremo, sono convinta che prevarra', anche in queste persone, la voglia di continuare a vivere".

PSICHIATRA, NON E' DEPRESSO - Da parte sua, la moglie di Welby, ha reso noto il certificato medico dello psichiatra Alessandro Grispini, che alla fine di novembre ha visitato il marito. Ebbene, secondo lo psichiatra, l' umore del paziente "non sembra primariamente depresso", lui dice "di sentirsi 'in trappola' da quando l' ulteriore peggioramento della distrofia non gli consente piu' quella minima, ma per lui essenziale, autonomia residua nello scrivere al Pc e gli ha impedito di fatto di dare voce al proprio impegno civile attraverso la pubblicazione dei suoi scritti".

DOMANI CONVOCATE COMMISSIONI CAMERA - E della vicenda si occuperanno domani, in una seduta congiunta, le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera, sollecitate da una lettera inviata dal presidente Fausto Bertinotti. Ignazio Marino, presidente della commissione Sanita' del Senato, ha visitato Welby ed ha riferito che alla richiesta se vuole sospendere ogni trattamento, "ha risposto con determinatezza ed una logica stringente: si tratta di apparecchiature esterne, non naturali, mentre lui accetta la fine della vita, cosi' come potrebbe avvenire senza l' ausilio di tecniche di cui ormai non si vuole piu' avvalere. Ad ogni atto respiratorio che compie, mi ha spiegato che prova una grande sofferenza".

SONDAGGIO: ITALIANI DIVISI, 54% NON STACCHEREBBE SPINA - Il dramma di Piergiorgio Welby, l`uomo malato di distrofia muscolare che ha rivolto alle istituzioni un appello affinchè venga spento il respiratore che lo tiene in vita, divide le coscienze degli italiani. Lo confermano i risultati di un sondaggio condotto su un campione di 300 persone tra i 18 e i 64 anni da Swg per il settimanale 'Donna Moderna', pubblicato sul numero in edicola dopodomani. Nonostante negli ultimi tempi si stia evidenziando uno spostamento del sentimento collettivo in favore della legalità dell`eutanasia, solamente il 45% degli italiani, davanti alla possibilità concreta di staccare la spina del malato terminale, si dichiara disposto a farlo, mentre il 54% ammette che non avrebbe la forza necessaria per far cessare volontariamente la vita di Welby. Solamente l`1% ha invece preferito non rispondere al quesito, a dimostrazione di come, a fronte di un tema delicato come quello dell`eutanasia, gli italiani scelgano comunque di prendere una posizione. Particolarmente significativo - riferisce il settimanale in una nota - il dato relativo ai cattolici praticanti, il 68% dei quali non avrebbe il coraggio di interrompere il trattamento terapeutico. La percentuale scende sensibilmente invece per quanto riguarda i non osservanti, dove i "no" rappresentano il 44%. Infine, dal sondaggio emerge che il 62% dei giovani con meno di 25 anni si dichiara a favore dello spegnimento della macchina che tiene in vita Piergiorgio Welby.

COMMENTI

 "Il reclamo della procura e' molto solido". Riccardo Maia, legale dello studio Angiolini che sta curando il caso di Piergiorgio Welby, commenta cosi', nel merito, il ricorso della Procura contro la sentenza del Tribunale civile di Roma. "Argomenti fondati- sottolinea- che pongono l'accento sull'aspetto della liberta' di non essere curati". Quanto all'ipotesi di ricorso anche da parte di Welby, "nessuna notizia dal cliente", dice Maia.

 'Vorrei che non proseguissi nella tua determinazione di porre fine immediatamente alla tua agonia. Se sarai capace di resistere e di rappresentare un problema per le nostre coscienze, ci costringerai ad individuare un percorso legittimo e riconosciuto dal nostro diritto. Al di la' del contributo straordinario che tu hai gia' dato con la tua battaglia umana e politica, si tratterebbe di una vittoria che abbiamo condotto insieme, tu primo fra tutti, e che rimarebbe legata a te per sempre'. E' Ignazio Marino, medico chirurgo e presidente della Commissione igiene e sanita' del Senato, a chiederlo in una lettera pubblicata sul quotidiano la Repubblica e indirizzata a Piergiorgio Welby. Marino scrive di aver incontrato ieri Welby e di avergli chiesto 'se sei davvero sicuro di voler morire. Tu non hai avuto esitazioni nel rispondermi che quella che conduci non e' una vita come tu la intendi, per te vita e' alzarti dal letto, muoverti, respirare senza bisogno di un apparecchio meccanico che lo faccia per te. Per te vita e' scrivere e comunicare con il resto del mondo, cosa che riesci a fare solo con enormi difficolta' e attraverso la mediazione di altri'.       
Spero - continua la lettera - di essere riuscito a farti capire la differenza fondamentale tra sospendere delle terapie che hanno il carattere della straordinarieta', come puo' essere un respiratore meccanico che certamente non e' un mezzo naturale per ossigenare il corpo, e porre volontariamente fine alla vita di un essere umano attraverso la somministrazione di un farmaco letale. Un atto che non puo' essere compiuto da un medico che ha il compito di assistere i pazienti in ogni fase della loro malattia'. 'Il mio ruolo attuale mi impone - prosegue Marino - di cercare delle soluzioni che siano di interesse generale per il paese e che il caso del singolo cittadino non puo' essere oggetto di una legge specifica o di un provvedimento normativo ad hoc'.
'Dovresti continuare a vivere, a combattere la tua battaglia politica, a rappresentare una spina nel cuore e nel cervello di tutti noi, che non ci dobbiamo dimenticare della sofferenza dei malati terminali e delle tragiche situazioni che affliggono centinaia di pazienti - scrive ancora marino - Ti chiedo un ultimo sforzo, di permettere che i medici ti facciano riposare per due notti, somministrandoti dei farmaci che ti possano dare sollievo, almeno durante il sonno. Da parte mia, e credo di interpretare la volonta' di molti, faremo tutto quello che e' nelle nostre possibilita' per individuare ilpercorso che puo' essere applicato per dare seguito, nel rispetto delle regole che esistono e che devono essere applicate, alle tue legittime e per nulla improvvisate richieste'.

'Credo che non si debba fare differenza tra la vita di un uomo sano e quella di un uomo ammalato. La qualita' della vita e' unica'. Lo ha affermato l'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano di commentare la vicenda di Welby, al termine dell'incontro tenuto oggi nei locali dell'emeroteca 'Tucci'. 'Per noi cristiani la vita e' un dono di Dio, il dono piu' grande. Quindi in qualche maniera dobbiamo rispettare la finalita', il valore di ogni vita' -ha proseguito Sepe- ricordando che il 'malato va aiutato nel migliore modo possibile', ma ricordando che 'la vita e' sacra per tutti'.            

Il Codacons mette sotto i riflettori pubblici un caso opposto a quello di Piergiorgio Welby: quello di Gino Barbolini, 66enne di Maranello (Modena) affetto da sclerosi laterale amiotrofica (Sla) che vuole prolungare il più possibile la sua vita ma continua ad essergli negato dal Servizio Sanitario Nazionale il rimborso almeno parziale del costo di alcuni farmaci sperimentali che potrebbero permetterlo. "La malattia che ha colpito Barbolini - afferma il Codacons- lo ha ridotto in fin di vita; il malato vede e sente e percepisce tutto attorno a se, ma non può effettuare alcun movimento. La Sla infatti lascia intatte tutte le capacità sensoriali riducendo progressivamente la possibilità di muoversi, fino alla morte. Nonostante la grave malattia Barbolini, pur cosciente di non avere alcuna speranza di guarigione, ha deciso di lottare per vivere anche solo un giorno in più. Non sono bastate nemmeno due sentenze del Tribunale di Modena che hanno rigettato la richiesta del malato e dei suoi familiari di ottenere, a carico del Servizio Sanitario, un farmaco sperimentale che gli consentirebbe di rimanere in vita. Grazie a una colletta avviata dal Codacons Barbolini e i suoi parenti hanno potuto acquistare negli Stati Uniti tre confezioni di IGF1 (questo il nome del medicinale), il cui costo è pari a 12.000 dollari a confezione, più tasse e spese di trasporto (ogni confezione consente al malato un mese di trattamento)". "E` indispensabile aprire il dibattito anche relativamente a questi casi - afferma il Codacons - casi che sono palesemente opposti a quello di Welby, e dimostrano la voglia di rimanere in vita di malati gravi e in fase terminale, anche loro nell`impossibilità di qualsiasi funzione motoria. In ambedue le situazioni vi sono diritti da affermare - conclude l`associazione - ma vi è una differenza fondamentale: mentre per il primo caso (quello di Welby) non esiste alcuna legislazione in materia, per il secondo caso (Barbolini) esiste e lo Stato deve intervenire per pagare le cure richieste, anche se sperimentali".    

 'Al di la' delle convinzioni religiose personali, non v'e' dubbio che la vita sia un bene che non appartiene a nessuno di noi: non puo' l'uomo impadronirsene, non sta a lui decretarne la fine, per nessun motivo, fosse anche il piú nobile'. Lo sostiene l'onorevole Riccardo Pedrizzi, presidente nazionale della Consulta etico-religiosa di An. Nella visione di Pedrizzi, 'la vita ci e' stata affidata: non ne siamo i padroni assoluti, ma i fedeli, appassionati custodi. Essa e' un valore in se', ha un significato ontologico che la rende indipendente dalla sua 'qualita'' (e poi chi lo stabilisce quando un'esistenza e' di 'qualita'?') e mai 'inutile'. La vita-incalza il parlamentare- e' sempre degna di essere vissuta e non soltanto se e' 'sana'. E' un bene che lo Stato deve tutelare sempre e comunque, e non a seconda dei casi'. Ad avviso di Pedrizzi, 'l'eutanasia e' l'appropriazione indebita della vita. Ritenere cio' un diritto di liberta' equivale a negare il concetto e il significato stesso di liberta', perche' la liberta' non puo' mai essere contro la vita, che e' il fondamento ed il presupposto stesso della liberta'. Noi -afferma ancora Pedrizzi- non pieghiamo la testa alla dittatura del modello libertario e radicale secondo il quale e' lecito tutto quello che e' liberamente voluto. Si tratta della rivendicazione di una liberta' senza vincoli e senza responsabilita', assoluta ma solo per chi e' in grado di farla valere: non per il nascituro ne' per il malato terminale. E' una liberta' nichilista, un'antiliberta''. 'Peraltro, -aggiunge Pedrizzi- siamo ben consapevoli che dietro ai tentativi di introdurre l'eutanasia a livello legale non vi e' lo scopo di attenuare le sofferenze del paziente, ma una motivazione di tipo economico. Nei Paesi della 'dolce morte' legalizzata, l'eutanasia, tacitamente, si pratica per liberare i letti d'ospedale e ridurre le spese assicurative e previdenziali. Si uccide, con la scusa della pieta', per motivi di quattrini. Anche perche' ottenere il 'consenso' di una persona duramente provata dal dolore e dalla sofferenza non e' difficile: basta farle capire che e' di peso. La societa' moderna, insomma - prosegue - non sopporta di dover pagare alti costi, non solo in termini monetari ma anche nel senso di dover condividere la croce con chi e' malato. Altro che diritto all'autodeterminazione: l'eutanasia serve a quelli che stanno bene per non piegarsi sul letto di chi sta male e invoca il nostro tempo, il nostro amore. Si tratta, allora, in ultima analisi, -conclude Pedrizzi- di levare un 'no' alto e forte al cinismo efficientista e utilitarista, un 'no' alto e forte al primato dell'economia sull'uomo'.         

 "Leggendo il reclamo della Procura di Roma, le argomentazioni giuridiche appaiono più che mai stridenti ed incongrue rispetto al valore della vita umana". Questo il commento di Isabella Bertolini di Forza Italia alla notizia della presentazione del reclamo della Procura di Roma sul caso Welby. "Invito tutti - prosegue la parlamentare azzurra - a leggere il testo del reclamo ed a pensare per un attimo a cosa vi sia in gioco. Non vi è nessuna sede giudiziaria nella quale si possa decidere della vita di un uomo in particolare, della concezione e del valore della vita inteso in senso assoluto. "Io sono tra quelli - conclude la Bertolini - che ritengono che nessun collegio formato da fallibili esseri umani sia deputata ed in grado di decidere su una materia così delicata".  

 "Ricorso? Forse non ci siamo coi tempi...". Rita Bernanrdini, segretario dei Radicali, lo dice con amarezza, commentando, nel corso di una conferenza stampa, il ricorso della Procura contro la sentenza del giudice Salvio che aveva bocciato la richiesta di Piergiorgio Welby per interrompere i trattamenti che lo tengono in vita. I tempi, spiega, "non saranno quelli del giudice monocratico": troppo lunghi, quindi: "Forse non ci siamo coi tempi".       

 Una sentenza "pilatesca". Così il senatore dei Ds Furio Colombo definisce il provvedimento emesso dal giudice del Tribunale civile di Roma, Angela Salvio, sul ricorso di Piergiorgio Welby. "Il diritto del soggetto - ha aggiunto l'ex direttore dell'Unità' - a rifiutare le cure è tutelato dalla Costituzione. Quella del giudice Salvio è una sentenza pilatesca: sciaguratamente se ne è lavata le mani". "Questa sentenza - ha poi concluso Colombo - passa sopra al dolore che la persona sta vivendo".         

Staccare il respiratore a Piergiorgio Welby e' una cosa che non si sente di fare 'non solo da un punto di vista giuridico, ma soprattutto come uomo': cosi' Giuseppe Casale, il medico oncologo che ha rifiutato la richiesta di Welby di staccare la macchina, ha spiegato il suo rifiuto nel corso della trasmissione 'Porta a porta'. 'Ho detto a Welby - ha spiegato il medico - che potevo aiutarlo sedandolo e facendolo dormire, in attesa che sopraggiungesse la morte. Lui non ha accettato, ma ha chiesto la sedazione e contemporaneamente il distacco respiratorio. Questo non posso farlo - ha aggiunto Casale - non solo da un punto di vista giuridico, ma soprattutto come uomo, perche' vedere una persona morire tra le tue mani e' una cosa che fa molto male'. Casale ha infine aggiunto che 'e' difficile, dopo dieci anni che Welby e' attaccato al respiratore, stabilire se si tratta di accanimento terapeutico'.         

 'Il disegno di legge presentato al Senato dall'Ulivo per rendere vincolante per il medico quanto stabilito dall'art. 32 della nostra Costituzione non esaurisce e non risolve il problema angoscioso relativo al caso Welby che e' ormai diventata una disputa ideologica attorno al problema dell'accanimento terapeutico e dell'eutanasia': a parlare e' Domenico Di Virgilio responsabile nazionale del Dipartimento Sanita' di Forza Italia. 'Occorre ricordare a tutti - prosegue - che un medico non puo' ne' iniziare ne' sospendere un trattamento senza il consenso del paziente. Ma secondo la legislazione vigente, il codice deontologico e il giuramento di Ippocrate il medico ha tutto il diritto, in base alle proprie cognizioni scientifiche, di rifiutarsi di accogliere una richiesta del paziente in tal senso, anche se cio' dovesse comportare l'interruzione del rapporto fiduciario tra medico e paziente, base insostituibile per un corretto esercizio della medicina'. 'La medicina e' un'arte con precise regole di condizioni scientifiche e deontologiche - ribadisce Di Virgilio - per cui nessuno puo' chiedere ne' tanto meno imporre ad un medico di porre fine artatamente alla vita di un suo paziente. Ovviamente un medico potrebbe eliminare una persona ma non sta certamente compiendo un atto medico ma un delitto'. 'Nel caso Welby forse qualcosa non ha funzionato - afferma Di Virgilio - non si e' creato quel corretto rapporto tra medico e paziente che avrebbe permesso una adeguata gestione dei segni e dei sintomi della sua patologia, cosi' da evitare questa continua e dolorosa richiesta da parte di Welby di porre fine alla propria esistenza'. 'Il medico deve essere sempre per la vita, indipendentemente dalla sua qualita', alleviare sempre la sofferenza stando umanamente vicino al paziente e alla sua famiglia - conclude Di Virgilio - ed e' inoltre necessario riflettere onde evitare che l'emozione tradisca il buon senso'.

 Sul diritto alla cura, i pm romani che hanno impugnato l' ordinanza sul caso Welby seguono una 'tesi sbagliata dal punto di vista giuridico'. Lo sostiene il professor Antonio Baldassarre, presidente emerito della Consulta e docente di Diritto Costituzionale. 'Impostare il problema in questo modo e' un modo per vedersi respingere la richiesta', afferma Baldassarre riferendosi agli articoli 13 e 32 della Costituzione citati dai pm. 'E' vero che c' e' il diritto alla cura, ma non nel senso della liberta' di curarsi o no - spiega -. Una persona ha il diritto di rivolgersi a un medico per farsi curare e la pretesa ad avere una prestazione medica secondo le regole della medicina. In questo senso, diritto significa che il medico non puo' rifiutarsi di curare una persona osservando quelle regole. Ma quando ci si sottopone a cure come nel caso di Welby, non si tratta piu' di stabilire un diritto ma di distinguere tra cura ed accanimento terapeutico'. Nel caso di Welby, dice Baldassarre, prendere in considerazione gli articoli 13 e 32 nell' interpretazione dei pm equivale a legittimare l' eutanasia. Tra l' altro, fa notare il presidente emerito della Consulta, l' articolo 13 riguarda l' inviolabilita' della liberta' personale ed e' difficile basare su di esso cio' che sostengono i magistrati romani.   

Botta e risposta tra il ministro per la Famiglia Rosy Bindi e il radicale Marco Cappato, segretario dell'Associazione Luca Coscioni, sul caso Welby. "Prendo le distanze dal movimento radicale - ha scandito la Bindi, ospite insieme a Cappato, Giovanardi e Moroni a 'Porta a porta' che andra' in onda questa sera - per la strumentalizzazione politica che sta facendo di questo caso. Un caso obiettivamente molto complesso e doloroso, che purtroppo si sta trasferendo sul piano mediatico e su quello della battaglia politica". "Piergiorgio - ha replicato Cappato - e' un leader politico, e' lucido, e spero non gli si voglia negare la possibilita' di condurre le sue battaglie politiche e ideali". Nel corso della trasmissione, la Bindi ha poi incalzato Cappato chiedendogli "che rapporto c'e' tra il caso Welby e i risultati che volete ottenere? Dite chiaramente all'Italia cosa volete fare", ribadendo con fermezza di essere contraria all'eutanasia e invece favorevole a una maggiore diffusione delle cure palliative, "che e' la vera priorita' di cui dovremmo parlare". Cappato ha replicato, citando tra gli obiettivi dei radicali "la conclusione positiva dell'iter sul testamento biologico, delle regole precise sulla libera scelta del paziente e il potenziamento della terapia del dolore", ribadendo pero' che occorrerebbe anche "una grande indagine conoscitiva sull'eutanasia clandestina, sapendo che se c'e' da regolamentare anche l'eutanasia questo va fatto".          

"Si' alle cure palliative, no all'accanimento terapeutico e no all'eutanasia, per un'antropologia che rifletta su vita, sofferenza e morte". Questa la posizione del cardinal Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, intervenuto in collegamento a 'Porta a porta' sul caso Welby. "Tutti vogliamo il suo bene - ha detto il porporato - ma il problema e' sapere quale sia il suo bene".   

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