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Alimentazione 2.0
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Articolo di Redazione
1 giugno 2014 18:27
 
L'alimentazione sembra essere il nuovo Eldorado delle tecnologie d'avanguardia. Ci sono diverse buone ragioni in merito: il riscaldamento climatico, la sovrappopolazione... Noi oggi siamo sette miliardi di individui, e diventeremo nove miliardi nel 2050. Vista l'annunciata penuria di risorse, una innovazione in materia alimentare diventa indispensabile. A tutto questo si aggiunga che il digitale invade ogni cosa, tendendo a trasformare gli aspetti piu' di base, quelli piu' materiali del mondo che ci circonda. Dopo aver conquistato gli oggetti con la stampante 3D, non e' una grande sorpresa vedere che ora si attacca agli aspetti viventi della vita, grazie alla biologia sintetica. Infatti, la produzione di carne artificiale ha fatto la sua apparizione qualche mese fa.
Ma finalmente le innovazioni che compaiono oggi devono molto poco alla “simbio” (biologia sintetica), che resta una tecnologia ancora un po' futurista. La maggior parte delle nuove ricerche sull'alimentazione si accontentato piuttosto di riorganizzare e ottimizzare le risorse gia' disponibili nel nostro ambiente naturale.
L'avvenire dell'alimentazione puo' essere spiegato nell'ambito di tre categorie (ovviamente combinabili). Al primo cuoco, e senza dubbio, le nuove forme di alimentazione. Al secondo livello figurano le risorse, scartate a priori dai nostri piatti occidentali, ma che consento di rivelarsi preziose nel mondo di domani. Infine, esistono anche dei modi inediti di produrre i nostri piatti, come quello della stampante 3D che, in un domani, potrebbe portarci nuovi sapori.
Alimentazione, salsa techno
Un certo numero di startup si sono lanciate nel mercato della “nuova alimentazione”. Per la Technology Review, potrebbe rappresentare il mercato di domani. La prestigiosa rivista del MIT parla apertamente di “alimentazione 2.0” e si concentra soprattutto su Hampton Creek, che sta cercando di realizzare dei prodotti che possano rimpiazzare le uova. Il suo obiettivo e' di trovare la buona combinazione di proteine vegetali che permetterebbe di riprodurre alcune proprieta' dell'uovo di gallina senza bisogno di allevare l'animale. Un metodo per avere meno inquinamento, minore necessita' di risorse e, oltretutto, meno sofferenza per gli animali.
Il suo prodotto di riferimento, una maionese sostitutiva, Just Mayo, comincia ad essere adottata da alcuni grossi distributori, in Usa ma anche in Asia, a Hong Kong. Cosi' come riferisce l'articolo di Technology Review:
“L'amministratore delegato di Hampton Creek, Josh Tetrick, vuol fare per l'industria delle uova, che ha un giro d'affari di 60 miliardi di dollari, quello che Apple ha fatto al settore del CD. Se partiamo da zero, perche' cercare di ottenere delle uova a partire da galline costrette in gabbie cosi' piccole che non possono battere le ali, facendo i propri bisogni uno sopra gli altri, ingurgitando della soia e del mais trattati con antibiotici, tutto questo per portarle a produrre 283 uova all'anno? (…). Nel momento in cui un'azienda avicola utilizza grandi quantita' di acqua e brucia 39 calorie di energia per ogni caloria di cibo che produce, Tetrick sostiene di poter fabbricare delle versioni a base di piante con una piccola parte dell'acqua e solo due calorie di energia per ogni caloria di cibo -senza colesterolo, grassi saturi, allergeni, influenza aviaria, e senza crudelta' verso gli animali. Il tutto per la meta' del prezzo di un uovo”.
Ancora piu' sintetico delle uova di Hampton Creek, Soylent, creato da Rob Rhinehart, e' una bevanda composta dall'insieme di nutrimenti necessari alla sopravvivenza. A parte un po' di olio d'oliva e del sale, niente in Soylent puo' essere apparentato ad una alimentazione nel senso in cui la si intende abitualmente (la lista completa degli ingredienti si puo' trovare alla pagina di Wikipedia dedicata a questo prodotto).
Rhinehart ha condiviso le sue scoperte in un blog: “Come ho smesso di mangiare del cibo”. Egli sostiene che la sua salute e' migliorata per diversi aspetti grazie ad un regime di alimentazione costituito esclusivamente da Soylent. Oggi si e' rimesso a “mangiare del cibo” ma, come ci spiega Techcrunch, il 92% della sua alimentazione rimane costituita da Soylent. Per commercializzare la sua scoperta, come scrive il New Yorker, Rhinehart ha cominciato con una campagna di crowdfunding, che si e' rivelato un successo eclatante (in due ore i 100.000 dollari necessari che erano stati richiesti, sono stati messi insieme). In seguito hanno ricevuto l'aiuto di inve3stitori a rischio, come Y Combinator e la societa' Andreessen Horowitz, che vi ha investito fino ad un milione di dollari.
L'insetto e' il futuro dell'essere umano?
Mangiare degli insetti? Non e' uno scoop. Queste bestioline sono oggi un alimento al quale fanno ricorso due miliardi di persone, ma fino ad oggi nessuno, soprattutto in occidente, ha pensato di utilizzarli come una soluzione per la malnutrizione. G,li insetti hanno piu' di un vantaggio, essi rappresentano una buona fonte di proteine e richiedono poche risorse. Le cavallette, per esempio, hanno bisogno di cibo dodici volte meno che i buoi per produrre la medesima quantita' di proteine.
Nel 2013, le Nazioni Unite hanno stilato un rapporto in merito. Di fronte alla minaccia di sovrappopolazione, gli insetti, dice il rapporto, potrebbero essere una buona risorsa alimentare.
Oltre gli insetti secchi e le farine di insetti, in Francia, Micronutris utilizza la farina di insetti per fare dei biscotti e dei cioccolatini. Khepri  fa un allevamento per i Paesi in via di sviluppo e Ynsect delle farine per l'alimentazione degli animali. In Usa, Exo Protein cerca di produrre delle “barre” costituite da questa manna nutriente (qui il loro progetto su Kickstater). Naturalmente questo modo originale di consumo deve attirare i militanti dei movimenti aperti e liberi... Su Wired Klint Finley, ci racconta la storia di Tiny Farms, un gruppo che si e' dedicato alla creazione di “fattorie di insetti” e che ha lanciato il progetto “openingfarm”, un kit che oggi esiste in versione beta al costo di 199 Usd, che consente di creare la propria fattoria per produrre insetti per il consumo.
Ma, spiega Finley, il kit non serve solo a produrre una certa quantita' di vermi. E' anche in Rete. Ogni utilizzatore puo' raccogliere i dati del proprio allevamento e inviarli a Tiny Farms. Questo consente di scoprire e selezionare i migliori metodi di produzione. Perche' -continua Finley- il punto importante di questa nuova industria agroalimentare non e' solo la produzione di insetti commestibili, ma di produrne tanti per dare molto cibo al mondo. Per Finley, queste recente tendenza di mettere insieme dati, open source e agricoltura, e' gia' un movimento: le arnie open source cercano di massimizzare la produzione del miele. Nell'ambito dei “droni agricoli”, un progetto come Farmbot puo' essere considerato come un altro esempio di questo movimento: si tratta di un robot open source, in grado di essere costruito con una stampante 3D. Quando sara' pronto, esso sara' in grado, per almeno 1.000 Usd, di fornire una “agricoltura di precisione”: una nuova tendenza che da' alle piante la quantita' esatta di cibo e di acqua di cui hanno bisogno. Il suo creatore, Rory Aranson, starebbe attualmente per elaborare per il suo robot una interfaccia “come un videogioco”. L'obiettivo, per usare ancora una espressione di Klint Finley “far aumentare il cibo come se si stesse giocando in un videogioco”.
Lo spirito di Silicon Valley
Cio' che e' importante capire da questi nuovi “cuochi” e “agricoltori”, e' che la loro formazione e il loro punto di vista non ha niente a che fare con l'industria agroalimentare tradizionale, ma tutto allo spirito startup della Silicon Valley. Rhineahart, per esempio, lavora soprattutto nel software ed ha una formazione di ingegnere. Megan Miller, che dirige Chirp Farm, un'azienda che produce farina di cavallette, e' anche lei una specialista dello sviluppo software. Da notare che alla Chirp Farms si occupano anche di produzione editoriale. Per dire che questi njuovi imprenditori sono diversi dai vecchi protagonisti del settore...
Per il New York Times, il parallelo tra queste imprese e il mondo del software e' impressionante:
Alcune di queste societa' hanno dei programmatori che scrivono dei codici per testare piatti e determinare le categorie di ingredienti che possono essere assemblate. Altri hanno un approccio del proprio management allo stesso modo in cui le startup fanno le loro azioni, utilizzando un processo chiamato “Metodo agile”, nel quale i gestori dei progetti lavorano con dei piccoli gruppi che contengono dei programmi e ricorrono a delle pratiche di sviluppo di software come Scrun, che ha lo scopo di trasformare e realizzare velocemente dei prodotti.
Fondamentalmente essi gestiscono lo sviluppo di prodotti alimentari alla stessa maniera che le startup tecnologiche organizzano il codice.
Stampare la propria alimentazione
Al di la' delle nuove forme di alimentazione, si trovano anche nuovi metodi di elaborarle. Poco tempo fa, un articolo di Quartz vi faceva eco (giungendo anche sulla stampa generalista), presentando una invenzione dell'ingegnere Abjan Contractror, che usava la stampante 3D per creare delle pizze e delle nuove forme di alimenti, sempre a base di insetti. Questa stampante, finanziata in parte dalla NASA, dovrebbe poter essere utilizzata dagli astronauti. Ma in pratica, un apparecchio del genere potrebbe servire soprattutto a lottare contro la fame e la malnutrizione del nostro vecchio pianeta.
Ad oggi, la stampante 3D “culinaria” e' servita a far nascere altri progetti.
Restando nell'ambito degli insetti, il progetto “Insetti al gratin”, sotto l'egida della designer Susana Soares, si basa anch'esso sulla produzione di una farina di insetti destinata alla stampa in 3D dei piatti. Piu' tradizionale e appetitosa, Natural Machine, startup di Barcelona, propone un apparecchio, Foodini, che consente di creare la propria alimentazione “sana”, Vi si possono inserire i propri ingredienti e la macchina si occupa del resto.
Di recente, anche l'Unione europea si e' interessata alla stampa in 3D per nutrire le persone anziane. Secondo il progetto “PERFORMANCE” (PERsonalized FOod using Rapid MAnufacturing for the Nutrition of elderly ConsumErs, cioe' cibo personalizzato che utilizza la produzione rapida per l'alimentazione dei consumatori anziani), un consigliere sanitario va a casa di chi ha piu' di 65 anni e che ne ha bisogno, in seguito fara' uno studio sui loro bisogni alimentari. Ogni profilo che viene creato e' inviato ad una azienda culinaria che stampera' un piatto personalizzato che sara' dato alla specifica persona.
Rimane l'ultima linea di ricerca: la creazione di sistemi suscettibili di nutrire l'essere umano nello spazio. La NASA lavora in questo momento sul progetto Veggie, un sistema ecologico chiuso che permette di fare crescere delle insalate dentro una stazione spaziale internazionale. Wieger Wamelink, specialista di ecologia, ha testato la possibilita' del suolo di Marte per farvi crescere delle piante (bisognera' sicuramente aver bisogno di aria ed acqua). Per farlo, ha creato, con l'aiuto della NASA, un falso suolo marziano basandosi su un terreno vulcanico delle Hawaii e vi ha piantato 14 specie vegetali. Con grande soddisfazione, ha potuto constatare che esse arrivavano a svilupparsi. Bella sorpresa, il suolo marziano conterrebbe piu' nutrimenti del previsto: non solo del fosforo o dell'ossido di ferro, manche dell'azoto, fondamentale per la crescita delle piante.
Simili ricerche sullo spazio spesso suscitano, ingiustamente a mio avviso, ironie e frasi di disprezzo, poiche' vedono la questione come un sogno vagamente adolescenziale, o peggio, un investimento in una impresa inutile. Ma, sia che riguardi il fatto che domani si raggiunga Marte o che si costruisca una base sulla Luna, non e' proprio questo l'argomento. Lo si vede con la stampante della pizza di Anjan Contractor: concepita per dei cosmonauti essa potrebbe servire a nutrire il pianeta. La sopravvivenza nello spazio ci insegna i metodi per creare gli strumenti necessari alla sopravvivenza in un ambiente altamente ostile. Di fatto ci obbliga a ricordarci che la nostra buona vecchia Terra e' essa stessa, per utilizzare un'espressione di Buckminster Fuller, un vascello spaziale. Saper costruire una stazione su Marte implica delle conoscenze che potrebbero essere applicate ad una Terra surriscaldata, superpopolata e impoverita.

(da un articolo di Rémi Sussan, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 01/06/2014)

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