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Bernard Rappaz e la cannabis. Una storia personale ricca di problemi apertissimi
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Articolo di Rosa a Marca
21 luglio 2010 9:59
 
Ci sono individui con convinzioni forti e disposti a pagare di persona, che aprono nuove frontiere per tutti -giuridiche, sociali, culturali. Uno di questi potrebbe essere Bernard Rappaz. Ha 57 anni, è il maggiore coltivatore svizzero di canapa indiana e pioniere dell'eolico (è del 1974 il primo impianto nella sua fattoria nel Canton Vallese). Giusto definirlo ecologista, ma è soprattutto un obiettore di coscienza e antiproibizionista. E' noto come il “canapaio”.
La sua storia inizia nel 1971 quando si mette a coltivare canapa, dapprima a titolo privato e dal 1993 a fini commerciali, tanto che lo Stato lo sovvenziona perché la trasformi in tisane.
Fonda un'associazione per promuovere i derivati della canapa, convinto che la pericolosità della cannabis si collochi “tra il tè e il caffè”. Passa molti guai con la giustizia e finisce dietro le sbarre. Il suo modo di reagire a ciò che considera ingiusto e oscurantista sono lunghi scioperi della fame. La sua notorietà cresce e travalica i confini nazionali.
Arriviamo all'ultimo capitolo. Dal 20 marzo scorso è in carcere per scontare una pena di cinque anni e otto mesi. La condanna principale è di violazione grave della legge sugli stupefacenti, accompagnata da un corollario di altre imputazioni -violazione del codice stradale, riciclaggio di danaro, infrazione alla normativa sulla previdenza sociale, lesioni corporali semplici.
Il “canapaio” inizia subito uno sciopero della fame e pare che possa ottenere ciò che voleva con l'azione nonviolenta: la revisione del processo. Qui entra in scena Esther Waeber-Kalbermatten, Consigliera di Stato e responsabile cantonale della sicurezza, che gli concede la sospensione della pena per una quindicina di giorni affinché possa riprendere le forze. Il 22 maggio le autorità riportano Rappaz in carcere e lui riprende lo sciopero della fame che dura 57 giorni.

Cosa accade in questo mese
1 luglio: la Consigliera visita Rappaz all'ospedale di Ginevra dov'è ricoverato in seguito allo sciopero. Con i medici studia la possibilità di procedere all'alimentazione forzata, ma l'ipotesi viene scartata per motivi di ordine giuridico, sanitario ed etico. Bisogna infatti tener conto delle direttive anticipate del “canapaio”, ossia il rifiuto della nutrizione forzata e di qualsiasi trattamento medico in caso di coma.
9 luglio: il Tribunale cantonale respinge il suo ricorso contro il diniego della Consigliera di concedergli una seconda sospensione della pena. Per i giudici, lo sciopero della fame ed eventuali conseguenze non giustificano la sospensione della pena detentiva; sarebbe un precedente pericoloso. L'avvocato di Rappaz, la signora Aba Neeman, annuncia un ricorso al Tribunale Federale.
12 luglio: la Consigliera decide il trasferimento di Rappaz all'Inselspital di Berna. Se i medici dell'ospedale cantonale di Ginevra hanno deciso di seguire alla lettera le direttive di Rappaz, i loro colleghi di Berna dovranno adottare tutte le misure necessarie per farlo vivere. Tra la libertà dell'individuo e l'obbligo per lo Stato di tutelare la vita di ogni detenuto, la responsabile della sicurezza opta per la seconda soluzione.
18 luglio: essa comunica all'Inselspital di procedere con l'alimentazione forzata. Spiega che la sua decisione nasce da una disposizione del Tribunale Federale che le chiede non solo d'intraprendere qualsiasi azione volta a salvare la vita del detenuto, ma tutto quanto serve per salvaguardare la sua integrità fisica. La direzione dell'ospedale assicura che con i detenuti in sciopero della fame i medici adottano le direttive dell'Accademia delle Scienze Mediche: se una persona in sciopero della fame entra in coma, il medico dovrà agire secondo coscienza ed etica professionale, anche se l'interessato avesse dato disposizioni, nel caso di coma, suscettibili di causare la propria morte. Le direttive prevedono che i sanitari abbiano un atteggiamento neutrale ed evitino ogni strumentalizzazione. E Rappaz? Trasferito a Berna ha ripetuto di non voler essere alimentato, che considera l'alimentazione forzata una violazione dei diritti umani; oltre tutto sarebbe solo un modo per allungare le sofferenze e rinviare la morte, di cui non ha paura.
19 luglio: la sua avvocata si rivolge al Tribunale cantonale vallesano contro la decisione dell'alimentazione forzata; sostiene che la Consigliera di Stato si è spinta oltre le direttive del Tribunale Federale e della Corte Europea dei Diritti dell'uomo.
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