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Quale ostacolo giuridico impedisce ad un incapace il diritto di morire, riconosciuto agli esseri senzienti?
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Articolo di Claudia Moretti
5 maggio 2006 0:00
 
L'ordinamento giuridico, se pur frutto di una scienza umana, presenta spesso analogie con sistemi filosofici e matematici. In particolare, in quanto sistema, contiene parti che hanno un senso proprio, e una spiegazione nel rapporto con l'insieme, con i suoi principi fondamentali, con i suoi "assiomi" inviolabili, ossia i diritti costituzionalmente garantiti.
Ora, esiste una profonda ferita nell'ordinamento, laddove mentre a tutti è garantito il diritto alla libertà personale (Art. 13 Cost.) e quello di scegliere se accettare una cura o un trattamento sanitario (Art. 32 Cost.), così non è per l'incapace o non senziente, anche se abbia in vita espresso univocamente la propria volontà. Ed infatti, una volta che lo stesso entra in un ospedale non in grado di intendere e di volere, è comunque soggetto in tutto e per tutto all'intendere e al volere del medico. Oltre che profonda ferita e grave scacco al diritto di autodeterminazione, questo rappresenta, nel sistema ordinamento giuridico italiano, anche grave violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che impone eguale trattamento a fronte di situazioni uguali e distinto trattamento a fronte di situazioni distinte. Dunque, sia in sé per sé considerata, sia messa a confronto con i principi del sistema, tale situazione è del tutto illogica, squilibrata, giuridicamente disarmoniosa.
Perché allora non è stata ancora sollevata la questione di legittimità costituzionale in relazione agli art. 3, 13, 32 della Costituzione per disparità di trattamento in situazioni uguali?
Sicuramente parte della risposta risiede nella cultura del nostro popolo, filtrata e rinvenibile nella casistica giudiziaria che molto rivela del comune sentire. E' evidente che, nonostante i progressi tendenziali degli ultimi decenni, e fatta eccezione per i regressi di questi ultimi anni, la maggior parte di chi assiste un proprio caro in situazioni drammatiche si affida al medico come si affiderebbe a Dio, ossia accettandone il verdetto senza interagire con le imperscrutabili decisioni del medesimo. Sono più coloro che sperano in un intervento che lasci in vita il paziente, costi quel che costi, sia in termini di dignità che di prospettive di qualità di vita accettabili, che non quelli che ne chiedono il rispetto delle volontà, anche a costo di anticiparne la morte.
Ma forse c'è di più. E' possibile che l'uguaglianza sia un concetto relativo. E forse si tenterà, di fronte alle future auspicabili questioni di costituzionalità, il seguente ragionamento che mira a ricondurre diversamente a sistema la figura dell'incapace.
L'incapace non è uguale al soggetto capace. Se pur in astratto ha gli stessi diritti, non può esercitarli nella forma, e nella libertà di forma, che è di ogni uomo. L'incapace è debole, è bisognose di cure (quali e quante lo decidiamo noi), non si rende conto di ciò che sta vivendo, insomma, bisogna che qualcuno si sostituisca a lui nella cura dei suoi interessi, niente di meno di ciò che accade con un minore. Il minorenne è lasciato a se stesso? Interviene il Tribunale per i Minorenni, che decide per il suo bene. L'incapace è entrato in coma al pronto soccorso? Interviene per lui lo Stato, con le norme sugli incapaci relative alla nomina di tutori, prototutori, curatori speciali. E come interviene? Attraverso il Giudice tutelare, organo dello Stato. E in che tempi? Con i tempi dello Stato. E poi chi decide, il tutore? Non sempre. Nel caso Englaro, il padre non può decidere anche se tutore, perché è troppo coinvolto. E allora decide il Tribunale, ossia ancora lo Stato.
Insomma, chi è incapace è prima ancora che soggetto di diritto alla libertà e alla scelta terapeutica, destinatario di un potere pubblicistico, oggetto di tutela, curatela, prototutela, parte processuale e provvedimentale. Oggetto di sequestro di persona, di trattamenti sanitari obbligatori, insomma, violenza pubblica sotto mentite spoglie de "il suo bene".
Crediamo che, in attesa del legislatore, i tempi siano arrivati perché venga sollevata finalmente questione di costituzionalità su questo tema, relativamente al testamento biologico e alla sua validità legale. Ricorderemo in quella sede ai giudici come, a differenza del minore, che le maturerà in futuro, l'incapace è stato già in passato capace ed ha maturato in piena coscienza nell'arco della sua vita le scelte crude che la stessa ci impone, con la propria cultura, con la propria fede, con la propria non fede, in piena responsabilità.
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