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Recessione 'finita': adesso inizia il pericolo più grande
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Articolo di Alessandro Pedone
12 dicembre 2013 11:04
 
 Secondo l'ISTAT, il terzo trimestre del 2013 ha visto una crescita del PIL pari a zero. Questo dato può avere diverse letture (1). Molti lo leggono come la conferma che siamo nel pieno della crisi. Dicono che è assurdo compiacersi per una crescita pari a zero e che questo non è affatto un segnale di fine delle crisi economica la quale, anzi, andrà sempre peggio se non si prendono provvedimenti. Altri, invece, leggono il dato come un segnale positivo. Dopo molti trimestri di continui segni negativi, una inversione di tendenza significa che ci sono ottime probabilità che il prossimo trimestre sarà pienamente positivo e che così continui nei trimestri successivi. Secondo questi “ottimisti”, questo dato dimostrerebbe che la strada che abbiamo imboccato è quella giusta.

Entrambi i punti di vista sono parzialmente sbagliati perché commettono lo stesso tipo di errore: focalizzarsi solo sul contingente.

I primi di Luglio, mentre sui giornali si leggeva che l'autunno sarebbe stato “caldissimo”, alcune agenzie di rating declassavano l'Italia e Grillo vaneggiava di un imminente fallimento dello Stato nell'autunno, ho pubblicato un articolo (“L'Italia è di serie B?”) nel quale scrivevo:
“Nell'immediato, le cose non sono così drammatiche come riportano i media. Pur non nascondendo tutti i problemi strutturali di cui ho appena scritto, ci sono seri segnali di ripresa economica forniti dagli indicatori economici anticipatori. Tutte le volte che siamo nella fase di uscita da una crisi economica (se avessimo un minimo di memoria storica non dovrebbe essere difficile ricordare cosa si leggeva nei giornali nel 2009) si ha una sensazione di confusione perché i segnali anticipatori danno indicazioni di ripresa economica, mentre i dati congiunturali danno segnali sempre più negativi.”

Vi sono pochi dubbi (come ho cercato di dire in modo più diffuso nell'articolo citato) che vi siano diversi segnali di una uscita tecnica dalla fase di recessione economica. Il fatto che il prossimo trimestre possa registrare una crescita del PIL (trimestre su trimestre, non anno su anno) è una ipotesi più che probabile. E' ragionevole supporre che lo sarà anche il trimestre successivo ancora, salvo accadimenti imprevisti che facciano uccidere nella culla la ripresa in corso. Coloro che profetizzano in continuazione che tutto andrà sempre peggio, trascurano una serie di segnali che hanno sempre dimostrato notevole affidabilità nel tempo.

Il punto, però, è un altro. Il fatto che tecnicamente si esca dalla fase di recessione non significa che la crisi economica, in un senso più ampio (ma anche più significativo) del termine sia conclusa.

Il pericolo più grave che intravedo è che questa mini-ripresina che è in corso possa far perdere di vista l'urgenza delle riforme che devono assolutamente essere fatte per evitare che la prossima crisi sia ancora peggiore di quella che stiamo attraversando, ma anche per fare in modo che la ripresa possa essere una ripresa economica reale e non solo tecnico-contabile.
Dopo la grande crisi del 2008, tecnicamente, l'Italia è uscita dalla recessione nel 2009 e nel 2010 ma non si è trattata di una “vera ripresa economica” nel senso che è stata così modesta che non ha migliorato lo status economico delle famiglie e non ha, in primo luogo, generato occupazione.
Questo accade perché l'Italia ha dei problemi strutturali di lunghissimo periodo nei quali si è innestata prima la grande crisi del 2008 e poi la crisi dell'Euro che in buona parte ci siamo generati da soli.
Questi problemi strutturali si chiamano: euro, giustizia, fisco (inteso sia come peso eccessivo, sia come evasione), corruzione, corporativismo, eccesso di leggi inutili, sprechi nella pubblica amministrazione, ecc.
Se non mettiamo strutturalmente mano a questi problemi enormi, anche quando le cose vanno un po' meglio (essenzialmente grazie ad un contesto internazionale più favorevole) non andranno mai sufficientemente bene da pareggiare le fasi negative che, al contrario, saranno molto peggiori di quelle delle altre nazioni a noi comparabili. Per questa ragione le fasi che tecnicamente non si possono definire di recessione economica vengono, giustamente, percepite comunque come fasi di crisi economica perché comunque i tassi di disoccupazione restano elevati, perché comunque il livello di ricchezza delle classi medie e basse diminuisce, ecc.

Il pericolo più grande che intravedo in questa fase è che una parte della politica possa far passere i primi segnali positivi del ciclo economico come la dimostrazione dell'efficacia delle politiche intraprese fino ad oggi nel superare la crisi.
Un modo di dire tedesco recita: meglio una fine orribile che un orrore senza fine.
Se non mettiamo mano subito ed in modo strutturale ai problemi che ho accennato sopra, questa “ripresina” sarà solo la continuazione dell'orrore economico (che si traduce anche in sociale e civile) che viviamo ormai da lustri grazie ad una classe politica che non è stata capace di risolvere uno solo dei molti problemi strutturali che abbiamo da decenni.


(1) Tralasciamo, in questa sede, gli aspetti più tecnici relativi alla composizione del dato, in particolare all'andamento delle scorte che ha inciso in modo determinante. Questi sono dettagli, a suo modo anche importanti, ma che ci porterebbero troppo fuori strada rispetto al cuore del ragionamento che ho cercato di fare in questo pezzo.
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