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La salute nei Paesi industrializzati: sempre meno infarti
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Articolo di Redazione
15 giugno 2011 11:07
 
Diminuiscono i rischi per il cuore: da 25 anni l'infarto colpisce meno persone, se non altro nei Paesi più sviluppati. Ciò non toglie che nel primo mondo le malattie cardiache restino la principale causa di morte insieme ai tumori.

Medici ed epidemiologi britannici, diretti da Sarah Hardoon dell'Università di Londra, hanno indagato sull'entità di questa riduzione e sui possibili motivi (European Heart Journal, online).
"L'evidente calo di infarti in due decenni mostra quanto si possa ottenere se si combattono i fattori di rischio e cambiando il proprio stile di vita", sostiene Sarah Hardoon.
I ricercatori hanno osservato la situazione di 103.000 impiegati di Londra nel cosiddetto studio Whitehall. All'inizio i partecipanti avevano un'età compresa tra i 35 e i 55 anni, e 256 di loro -208 uomini e 48 donne- hanno subito un infarto nelle due decadi successive.
La valutazione periodica dei dati ha consentito di stabilire che in vent'anni la quota di infarti è scesa del 74%, e in misura simile per uomini e donne. Le indagini condotte in altre nazioni industrializzate giungono a risultati analoghi.
Invece, nei Paesi a reddito medio gli infarti continuano ad aumentare. In Brasile, Indonesia, Pakistan, Russia e nazioni comparabili ci sono sempre più persone con troppi grassi nel sangue, pressione alta, in sovrappeso e con uno stile di vita poco sano.
Nello studio in questione, i ricercatori segnalano che oltre la metà del calo è riconducibile a mutamenti intervenuti in cinque fattori di rischio. In confronto al 1985, vent'anni dopo gli impiegati fumavano meno, la pressione sanguigna era più bassa, il "colesterolo buono" più alto e quello "cattivo" più basso. Inoltre queste persone mangiavano più frutta e verdura; l'effetto era palese, ancorché non rilevabile statisticamente. La tendenza a meno infarti sarebbe stata ancora maggiore se nel frattempo non fosse aumentata la percentuale dei sovrappeso, dicono i ricercatori. Ma c'è da considerare che lo studio si è concluso già nel 2004, e che in Usa e in numerosi Stati europei il numero di persone particolarmente grasse non è più aumentato.
Gli esperti sanno che altri elementi possono aver concorso alla riduzione degli infarti. Il fatto che la terapia e l'individuazione precoce abbiano potuto migliorare la situazione non è stato però inserito nello studio.
Nel 2008, alcuni ricercatori di Cambridge hanno rilevato, su un campione di 20.000 britannici, che, a parità d'età, le persone inclini alla depressione muoiono d'infarto in misura quasi tripla rispetto a chi non ha tendenze depressive. "Le sensazioni negative potenziano in tutte le persone il rischio d'infarto tanto quanto la pressione alta", dice Karl-Heinz Ladwig, esperto di psicocardiologia alla Technische Universitaet di Monaco. In una ricerca che ha coinvolto 30.000 individui di 52 nazioni, gli studiosi canadesi avevano osservato che stress e insoddisfazione nel lavoro, in famiglia o nella vita di coppia, incrementano il rischio d'infarto del fattore 2,67; ciò significa che il disagio emozionale incide quasi quanto il classico fattore di rischio rappresentato dal fumo (2,87) e più ancora del diabete (2,37) o della pressione sanguigna alta (1,71).

(articolo di Werner Bartens per Sueddeutsche Zeitung del 09-06-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
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