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Malattie ereditarie, qualcosa di piu' di un segreto di famiglia
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Articolo di Volker Stollorz
6 luglio 2010 19:34
 
Se un genetista scopre elementi di rischio di una malattia ereditaria, la prevenzione è utile. La domanda è: come possono beneficiarne anche i parenti senza compromettere la sfera privata del paziente?

I geni sono un affare personale e la loro conoscenza attiene alla nostra intimità. Ma alcune delle parti molecolari ereditarie le condividiamo con i consangunei, e certe mutazioni tramandate di generazione in generazione possono causare tumori, difetti cardiaci o altre malattie. Perciò, conoscere i nostri geni può avere una dimensione drammatica, come dimostra l'esperienza di una famiglia francese di qualche anno fa.
Un giorno il figlio ventenne entra improvvisamente in coma e muore. Il medico scopre che la causa è un difetto del metabolismo epatico; vi è implicato il cromosoma X, e dice alla madre che l'anomalia potrebbe colpire anche i figli delle sue due sorelle. Per una sorta di pudore la donna tace; in quanto al medico, egli si attiene al vincolo del segreto professionale, anche se sa che con una dieta rigorosa il difetto del metabolismo lo si può tenere a bada.

Una crepa nel segreto professionale
Di tutto questo le zie del ragazzo morto e i loro figli non sanno nulla e la tragedia famigliare segue il suo corso. Tre anni dopo muore un cugino nello stesso modo e la madre denuncia quel medico: il suo silenzio ha privato il figlio della possibilità di sfuggire alla morte. Essendo la famiglia benestante e di potere, il caso diventa pubblico. In tutta la Francia si levano voci affinché s'imponga ai medici d'informare i parenti quando ci sono seri rischi di natura genetica. Ma medici e genetisti vi si oppongono: un tale obbligo scavalcherebbe i diritti del paziente violando le leggi, perciò non va bene nemmeno nei confronti della famiglia interessata. Oltre tutto intaccherebbe il dovere di segretezza e il rapporto di fiducia medico-paziente.
Dal 2004 si sta girando intorno a nuove regole in tema di consulenza genetica. Non solo in Francia, ma anche altrove il problema impegna medici, eticisti e giuristi. Nell'epoca dell'”uomo trasparente”, geni inclusi, si cercano vie legali per informare i famigliari senza ledere la sfera privata del soggetto e il segreto professionale. Finora, solo la Norvegia ha varato una normativa che consente al medico, in casi eccezionali ben circoscritti, di trasmettere ad altri informazioni genetiche pure in assenza d'autorizzazione.

Nessun test senza il consiglio del medico
Giacché aumentano le conoscenze del patrimonio genetico e il suo peso in ambito famigliare, crescono anche i conflitti tra il diritto a sapere e quello di non sapere. I medici si trovano sempre più spesso a chiedersi: chi deve informare chi del rischio? Il paziente -parte in causa- è interno alla famiglia, dunque non è l'ambasciatore ideale di una brutta notizia. Chi, allora, deve assumersi il delicato compito?
In Germania è da poco in vigore una legge sulla diagnosi genetica. Il suo paragrafo decisivo (11) al capoverso 3 recita: “Il medico responsabile può comunicare ad altri il risultato di una visita o di un'analisi genetica solo con l'autorizzazione esplicita e scritta dell'interessato”. Gli “altri” non sono solo lo Stato o le assicurazioni, ma anche il coniuge, i fratelli, i genitori, gli zii, i cugini e i parenti lontani. Un ulteriore vincolo viene dalla regola del silenzio.
Il medico può tentare con delicatezza di convincere un parente a informare i consanguinei dei rischi che corrono, spiega il genetista di Bonn, Peter Propping. Ma se si rifiuta, tutto finisce lì.
Tuttavia, anche in Germania si avverte il bisogno di un ruolo più attivo del consulente genetico. Lo segnala Rita Schmutzler, ginecologa alla Clinica universitaria di Colonia e membro di un consorzio nazionale d'indagine sui fattori di rischio del cancro al seno. Di recente, il gruppo ha scoperto un difetto nel gene RAD51C, che alberga un rischio altrettanto grande delle mutazioni dei geni già noti, BRCA1 e BRCA2. Poiché in questi casi si può prevenire molto meglio la malattia, la consulenza non sarebbe fine a se stessa. Eppure, da dottoressa, Rita Schmutzler si trova ogni volta a dover affrontare il dilemma: esternazione o segretezza?

Il filo personale con la famiglia
Capita che una donna non voglia saperne di eseguire un test genetico malgrado la possibilità d'individuare i rischi che corrono le sue nipoti. Altre donne lo eseguono di nascosto perché il test in famiglia è un tabù. Ed è spiacevole constatare, dice la ginecologa, in quante famiglie non ci si parli proprio.
Però, dopo una buona spiegazione, le donne di solito si convincono a informare i parenti. Quale donna sopporta l'idea che una parente stretta si ammali di cancro mentre lei avrebbe potuto avvertirla per tempo?
Quando i rapporti famigliari sono guastati, la dottoressa Schmutzler suggerisce l'invio di una lettera. Difficile dire quante donne seguano il suo consiglio; l'unica possibilità è d'interpellare la diretta interessata quando si presenta alla successiva visita di diagnosi precoce.

Gli esperti cercano dei varchi
A partire da quale contatto non richiesto si può parlare di violazione del diritto del paziente a non sapere? Anche una semplice lettera può causare uno choc. Chi viene a sapere in questo modo dell'esistenza di una malattia ereditaria può capire male e possono nascere malintesi e paure. Se fosse il medico, previa autorizzazione, a inviare una lettera ai parenti invitandoli a visitarsi? “In Germania non è chiarito neanche questo”, dice Schmutzler. Ancora pochi anni fa c'era grande contrarietà verso questa prassi. Ma visto che migliora non solo la diagnosi genetica, bensì anche le possibilità di prevenire, e cresce il bisogno delle famiglie di sapere, gli esperti cercano possibili falle nella rigidità delle leggi. Rita Schmutzler ha già inviato delle lettere ai parenti su richiesta degli interessati e lo farebbe anche più spesso pur di ridurre il rischio che corrono terze persone.

Sono ipotizzabili modelli simili?

Un fatto più delicato è, per esempio, quando il test genetico eseguito su una giovane donna rileva una mutazione che aumenta il rischio di tumore al seno e anche all'ovaia, ma la figlia non vuole dirlo a sua madre per non impaurirla, visto che a suo tempo aveva avuto un cancro al seno. Eppure è la tipica situazione in cui la dottoressa Schmutzler sente “il dovere d'invitare la madre a farsi visitare”. E' infatti molto probabile che nelle cellule della sua ovaia ci sia una seconda “bomba a tempo” -facilmente disinnescabile con un intervento poco rischioso.
In questi casi la genetica familiare crea conflitti al medico. Ma basterebbe dare un'occhiata oltre confine per capire che essa può essere un'opportunita. In Olanda, e non solo lì, un individuo ogni 400 soffre di un disturbo metabolico ereditario dei lipidi, responsabile del livello molto alto di colesterolo già in giovane età. Solo che prima che capiti un infarto cardiaco, quasi nessuno sa d'aver ereditato l'ipercolesterolemia familiare. In Olanda si è rimediato con lo “screening a cascata”, preceduto da una buona campagna di sensibilizzazione. Da allora, il medico indaga nella parentela di ogni nuovo paziente con quella patologia per accertare se vi siano altri portatori di mutazione genetica. Con il suo consenso cerca il contatto diretto -telefona ai parenti, li consiglia e propone il test. In seguito arriverà una lettera con tutte le informazioni utili. I dati genealogici noti vengono poi memorizzati, in modo da localizzare facilmente gli interessati. Grazie a questo sistema gli olandesi sono riusciti a rintracciare la metà dei 40.000 pazienti coinvolti, e a scongiurare l'infarto con farmaci che riducono i grassi nel sangue.
E' un modello adattabile alla Germania? Secondo Propping è meglio percorrere una via più lenta: la società tedesca deve prima imparare a trattare il sapere genetico in maniera più "rilassata".

(traduzione di Rosa a Marca dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung del 30-06-2010)
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