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I miracoli del proibizionismo, dall'effetto 'Al Capone' all'effetto 'bin Laden'
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Articolo di Pietro Yates Moretti
31 marzo 2010 12:57
 
Il proibizionismo sulle droghe ha prodotto l'ennesimo miracolo. Il Paese con la più massiccia presenza di forze armate Nato, inviate là per sconfiggere la produzione e il commercio di oppio, "motore economico dei Talebani", non solo rimane saldamente in testa alla classifica globale dei produttori di eroina, ma diventa anche il primo produttore al mondo di hashish.  Dopo decine di miliardi di dollari spesi, otto anni di guerra, centinaia di soldati Usa e Nato morti, decine di migliaia di vittime civili, i Talebani hanno trovato nel proibizionismo la più preziosa delle risorse economiche, il mercato nero delle sostanze proibite. Non solo. Poiché una buona parte della popolazione Afghana coltiva il papavero da oppio per sopravvivere, i Talebani sono in grado di controllare buona parte delle province e dei villaggi remoti in qualità di unici acquirenti e quindi unica fonte di sostentamento per innumerevoli famiglie. Tanto è vero che, per conquistare il rispetto delle popolazioni locali, i soldati Nato sono costretti da anni a chiudere un occhio sulle coltivazioni di papavero, nonostante gli anatemi proibizionisti dei vari leader militari e politici occidentali.
Insomma, nel Paese dove la guerra alla droga si è combattuta con risorse e forze umane mai viste prima, il narcotraffico prospera insieme al nemico che sa utilizzarlo.
Ma l'Afghanistan non è il primo miracolo del proibizionismo. Quello che ci insegna questa esperienza ce lo hanno già insegnato in America Latina, dove organizzazioni criminali e terroristiche hanno già messo a serio rischio interi Paesi. E ce lo insegna anche l'Italia, che con la sua guerra alla droga è riuscita ad elevare la 'ndrangheta ai primissimi posti nel traffico mondiale di cocaina.
Chi sostiene la necessità di abbandonare l'attuale strategia antidroga ha sempre denunciato che il proibizionismo non solo finanzia le organizzazioni criminali, il cosiddetto "effetto Al Capone", ma anche le organizzazioni terroristiche. E nell'era post 11 settembre questo avrebbe dovuto preoccuparci non poco. Dalle Farc colombiane all'Eta spagnola ai Talebani afghani e pakistani, è oggi innegabile che ci troviamo di fronte ad un "effetto bin Laden".
Con questa odierna e clamorosa conferma della inefficacia e dannosità del proibizionismo, sarebbe ragionevole aspettarsi un cambio di strategia. Nessuno si aspetta, anche se lo si puo' auspicare, che il fallimento del proibizionismo porti ad una drammatica e repentina inversione di marcia. Certamente ci aspettiamo una ricalibrazione della strategia. In Afghanistan, ad esempio, potrebbero essere i Paesi Nato ad acquistare oppio dalle popolazioni locali per produrre farmaci che scarseggiano come la morfina: in un sol colpo sottrarremmo ai Talebani una essenziale fonte di finanziamento, il mercato nero dell'oppio, e acquisteremmo la fiducia delle popolazioni locali che sopravvivono grazie alle coltivazioni di papavero.
Macché! Ecco cosa si legge oggi sulle agenzie di stampa: la guerra alla droga "entra nell'agenda del G8, destinata a diventare uno dei passaggi chiave per il contrasto al terrorismo e alla criminalita' organizzata".
Apparentemente, il caso afghano non sarà l'ultimo miracolo del proibizionismo.
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