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Narcotraffico/Messico. Il presidente Calderon non vincera' mai la guerra. Intervista a Elmer Mendoza
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Articolo di Pablo Ordaz
22 luglio 2010 17:44
 
Si dice che i narcotrafficanti lo rispettino perche' vogliono esser parte dei suoi romanzi. Lo scrittore Elmer Mondoza (1949) vive dove e' nato, a Culiacan, capitale dello Stato di Sinaloa nel nord del Messico, uno dei luoghi in cui la presenza del narcotraffico e' maggiore. I suoi romanzi -Un asesino solitario, El amante de Janis Joplin, Balas de plata...- trasferiscono nella letteratura il linguaggio dei bassi fondi. I suoi vicini nella vita quotidiana sono dentisti minacciati perche' hanno da estrarre un molare ad un bandito o bambini di 15 anni il cui unico futuro dipende da una raffica di AK-47. In una intervista concessa durante il “Hay Festival de Zacatecas” Mendoza si confessa molto preoccupato per il futuro del suo Paese.

“A Ciudad Juarez la gente ha piu' paura dei militari che non delle bande di delinquenti”

D – Ci sono stati piu' di 25.000 morti da quando il presidente Felipe Calderon ha dichiarato guerra al narcotraffico. E la violenza, invece che diminuire, aumenta. Cos'e' successo?
R – Il Governo ha politicizzato il fenomeno del narcotraffico. Ha dato priorita' ad un gruppo e, di conseguenza, gli altri gruppi hanno reagito violentemente. Per questo motivo, che e' stato il piu' spietato, abbiamo potuto vedere nuovi stili di violenza come la decapitazione di massa. Con l'impressione che, piu' che la morte del rivale, alcune bande stessero cercando di inviare messaggi. Non ai rivali, ma allo Stato. E' una situazione nuova poiche' si sono persi i vecchi codici. I narcos evitavano le aggressioni contro i bambini e le donne. Oggi no. Il Governo ha creato un problema, ha liberato i demoni ed ora non sa come contenerli.
D – Il presidente Calderon puo' vincere la guerra al narcotraffico?
R – Non la vincera' mai. Poiche' il profilo di questo Paese e' lacerante. Il Messico e' un Paese molto ferito dove, per esempio, la diserzione scolare di livello medio e' molto alta. Stiamo parlando di 15 milioni di bambini in un Paese in cui circa 50 milioni di persone vivono nella estrema poverta'. E una delle possibilita' di questi bambini che non studiano e non lavorano e' la delinquenza. Una possibilita' che molte volte e' economica, poiche', dalle informazioni in mio possesso, ricevono soldi per qualcosa che li attrae, Si tratta soprattutto di una opzione di violenza, di raggiungere il potere immediato, potere che da' in mano un AK-47 automatico, 120 colpi al minuto.
D – Lei vive nel nord, a Sinaloa, dove la presenza del narcotraffico e' sempre stata molto forte. La popolazione come percepisce la caccia ai capi della droga?
R – Il fatto e' che la caccia che la gente percepisce e' quella dei militari. L'Esercito significa violazioni, significa assassinii. Nella mia terra la guerra comincio' il giorno in cui i militari ammazzarono una intera famiglia. Solo il padre riusci' a farla franca, che' comincio a darsela a gamba quando si rese conto che non aveva altra scelta. Ammazzarono i suoi bimbi, sua moglie. Lo accusavano di coltivare droga ma lui si difese: sono un agricoltore non un narcos e non semino droga, provate il contrario. In seguito fu fatta la denuncia, ma l'Esercito si reco' sul posto... A Ciuda Juarez succede lo stesso. Ho percorso le sue strade di notte e la gente ha piu' terrore di loro che di altri. Le strade sono piene di soldati e di armi di questo alto potere, ma la violenza non e' calata.
D – Il Governo ha detto che se non si combatte il narcotraffico, il prossimo presidente della Repubblica sara' messo al suo posto dal crimine organizzato...
R – E' un atteggiamento equivoco. Ci sono voci che dicono che i narcos hanno sempre avuto a che fare con l'elezione del presidente. Ci sono varie campagne elettorali che hanno posto le medesime domande ai leader dei tre gruppi: State voi utilizzando per la vostra campagna del denaro sporco? Ha un qualche accordo con le bande? E nessuno ha risposto si' o no. Nel caso dell'attuale presidente e' accaduto lo stesso: ne' si' ne' no...
D – Come il Messico viene colpito da questa situazione di estrema violenza?
R – Un Paese in cui tutti i giorni la gente chiede di sapere quanti sono stati i morti del giorno precedente, tende a convertirsi in un Paese tetro, in un Paese che scommette sul terrore. E questo non possiamo permetterlo. Per cui, ogni giorno, tornando a casa pensiamo alla possibilita' che possiamo essere uccisi. Pero' non possiamo lasciare le nostre strade all'Esercito e neanche ai sicari. Le citta' ci appartengono. Sono cio' che noi siamo. Al contrario, l'ombra, il tetro provoca abbandono, indegenza... Non lo possiamo permettere. Dobbiamo riprenderci. Non possiamo vivere in un Paese in cui dobbiamo inghiottire noi stessi...

(traduzione dal quotidiano El Pais del 22 Luglio 2010)

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