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La pessima 'privatizzazione' dell'acqua porta profitti sicuri ai privati e bollette salate agli utenti. Ma perche' le banche investono in fogne?
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Articolo di Redazione
15 agosto 2008 0:00
 
L'acqua e' un bene primario insostituibile. Il World Water Development Report dell'Unesco nel 2003 riporta che nei prossimi vent'anni la quantita' d'acqua disponibile per ogni persona diminuira' del 30%. Questa tendenza si verifica in tutto il mondo, in alcune zone piu' e in altre meno. Fino agli anni Ottanta, erano in pochi a cercare di mettere, inutilmente, in guardia l'umanita'. Per lo piu', come spesso avviene, e' stata la scienza a cominciare ad avvertire che l'acqua si stava trasformando in oro blu, che l'acqua sarebbe stata al centro di conflitti bellici e che all'acqua si sarebbero presto, sia pur gradualmente, estesi quei meccanismi che regolano lo sfruttamento e la distribuzione del petrolio.
 
La legge Galli
Di questo contesto risente la legge Galli, entrata in vigore nel 1994 e che ha le sue prime applicazioni in Toscana, l'anno successivo. L'idea di fondo doveva essere questa: dopo almeno un trentennio di propaganda cieca e a testa bassa per il monopolio pubblico del servizio idrico, nella politica e nell'economia italiana si e' affermata l'idea diametralmente opposta, che mette al centro la partecipazione del privato nell'obiettivo di ottenere una maggiore efficienza del servizio, unitamente ad un abbassamento delle tariffe dovuto alla concorrenza.
Questo principio e' davvero rispettato dalla legge Galli? E' vero che non ci voleva una mente dotata di grande fantasia per accorgersi degli sprechi nel pubblico, del clientelismo e delle varie inefficienze del "pubblico al 100%". E' vero anche pero' che quelle stesse strutture amministrativo-burocratiche, che per cosi' tanto tempo non hanno voluto sentir parlare di mercato, da 15 anni si sono gettate nelle braccia di un nuovo schema presunto liberista. Ad ogni modo, l'idea di fondo della legge e': affidare un servizio ad un'azienda privata, specializzata in quel servizio, per ottenere prestazioni migliori.
E' davvero cosi'? No, e vediamo perche'.
 
Le societa' miste
Al massimo possono entrare nella partecipazione del capitale della societa' che gestisce l'acqua, privati al 40%. Il 60% quindi resta pubblico. Si tratta quindi di una commistione di pubblico e privato e non di un'autentica privatizzazione (le cosiddette societa' miste).
Il servizio idrico si articola in captazione, fognatura, depurazione e distribuzione dell'acqua.
L'ingresso di una societa' privata nella gestione di una di queste fasi/servizi poteva essere funzionale all'obiettivo di maggior efficienza. In molti casi, pero', si e' preferito dare alla societa' mista tutto il servizio (Sii, servizio idrico integrato). Cio' che meraviglia di piu' e' che la teorica competenza gestionale, nell'esperienza pratica, e' stata ricercata in soci privati che di mestiere fanno le banche o le finanziarie.
 
Le banche e le fogne
Ci domandiamo quale possa essere il know-how sulle fogne del Monte dei Paschi, della Banca Etruria che sono nel capitale di alcune societa' di gestione toscane. La stessa Acea, che, assieme alla francese Suez, e' entrata nella maggior parte delle societa' italiane di gestione dei servizi idrici, non vantava esperienze specifiche nel settore idrico. Acea (a sua volta controllata dal Comune di Roma) proveniva dal settore elettrico. La Suez, poi, e' un privato fra virgolette, essendo attualmente controllata dallo Stato francese (1). Anni fa le fu affidato la gestione dell'acqua nella citta' di Grenoble, con risultati cosi' fallimentari che la citta' francese torno' sui suoi passi.
 
Altro che efficienza: bollette alle stelle, come prevedibile
Questi privati, dunque, hanno poco da insegnare ai 'vecchi' enti di gestione. Altro che maggior efficienza, negli ultimi anni le bollette dell'acqua sono rincarate e di molto.
Sarebbe stato meglio, probabilmente, che il passaggio da pubblico a pubblico-privato fosse graduale e incentrato prevalentemente nell'affidamento di quei servizi di piu' oggettiva valutazione.
Perche' gli aumenti tariffari non sono dovuti solo a "incompetenza".
 
Gli Ato: quando i controllori controllano se stessi.
La legge Galli e le successive modifiche prevedono la costituzione degli Ato (Ambiti territoriali ottimali) un insieme di comuni con una gestione unificata dei servizi idrici. L'insieme dei comuni che fanno parte dell'Ato compongono l'organismo che deve controllare (tramite gli amministratori locali: sindaci o loro rappresentanti) l'operato della societa' di gestione affidataria del servizio. Come detto, gli enti pubblici hanno nella societa' di gestione il 60%. Quindi, da una parte i comuni sono soci della societa' mista che gestisce i servizi, dall'altra sono deputati al controllo … di se stessi.
Questo e' un punto cruciale che sta generando conflitti di interesse, con la classe politica (o la casta politica) che fa il bello e il cattivo tempo, spesso e volentieri favorendo, per incapacita' o per malafede, i profitti dei privati.
 
Il capitalismo rovesciato: profitto sicuro per le societa' miste
La legge Galli in fatto di tariffe praticabili dalle societa' di gestione a carico degli utenti stabilisce:
"La tariffa e' determinata tenendo conto della qualita' della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio".
Chi investe in un'azienda sa che il proprio capitale potrebbe rendere zero, o addirittura produrre perdite. L'imprenditore bravo cerchera' di essere cosi' efficiente da riuscire a produrre a costi inferiori rispetto ai prezzi a cui riuscira' a 'piazzare' il bene/servizio. L'operazione non sempre riesce, facendo perdere il sonno a chi, partendo dal un gruzzoletto che poteva rendergli il 3% (se investito, per esempio, in titoli di Stato) aveva scelto il rischio di impresa, sperando nel medio periodo di riuscire ad accumulare un patrimonio aziendale che incorporasse una remunerazione per il capitale investito superiore al 3%.
 
I privati che hanno scelto di entrare nelle societa' di gestione idrica, invece, dormono sonni tranquilli. Non solo vendono un prodotto essenziale come l'acqua in regime di monopolio ai cittadini che risiedono nell'area dell'Ato, ma la legge gli garantisce la copertura dei costi di gestione (integrali) e l'adeguata remunerazione del capitale. Il tutto senza alcun rischio, perche' anche in caso di gestione fallimentare, con sprechi e ruberie, i conti ritornano miracolosamente in positivo: basta aumentare le tariffe, in modo da ottenere anche l'adeguata remunerazione del capitale investito.
E dove sono gli incentivi all'efficienza che dovrebbe essere apportata dal privato?
 
L'esempio plastico di tutte queste contraddizioni e' fornito ancora una volta da cio' che succede in Toscana, in particolare l'Ato 3, quello che include Firenze, che ha affidato la gestione del servizio idrico integrato a Publiacqua. Ad Acea, il socio privato (sempre tra virgolette) che controlla il 40% di Publiacqua, sul capitale investito, 70 milioni di euro, e' garantita una remunerazione del 7% annuo, oltre al recupero dell'inflazione. Circa un anno fa l'Ato ha deliberato una sopratariffa a carico degli utenti per complessivi 6,2 milioni di euro, la motivazione? Conguaglio sui ricavi. L'operazione, fra l'altro bocciata dal ministero dell'Ambiente, e' emblematica: e' come se la Fiat, a seguito di una perdita di esercizio, potesse inviare a tutti gli acquirenti di Punto, Bravo e Panda una lettera in cui richiede un'integrazione di prezzo.
 
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