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Politiche sulle droghe, lettera aperta al Ministro Riccardi: è ora di dismettere il DPA
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Articolo di Giorgio Gatti *
5 settembre 2012 17:43
 
Egregio Ministro Riccardi,
E' neccessario iniziare a trattare il tema della legalizzazione della cannabis e la rivisitazione delle politiche sulle tossicodipendenze. A questo proposito rinnovo con vigore la richiesta di dimissioni del dott. Giovanni Serpelloni a capo del DPA (acronimo che dovrebbe indicare, più appropriatamente, il dipartimento per la propaganda antidroga, piutosto che le poltiche antidroga), e di dismissione di tale organo istituzionale, in quanto inadeguato ad un dialogo su politiche alternative alla proibizione delle sostanze stupefacenti.

I documenti pubblicati e firmati dal consiglio dei ministri sulla posizione Italiana nelle politiche per il contrasto della diffusione degli stupefacenti, sono documenti di mera propaganda, totalmente fuorvianti, sempre contraddittori che negano a priori qualsiasi politica che preveda forme alternative alla proibizione delle sostanze stupefacenti illegali per pregiudizio.
E' "stupefacente" come il consiglio dei ministri abbia approvato simili documenti basati su opinioni personali ed una visione "etica" delle politiche sulle sostanze psicotrope illegali, che porta ad una negazione di risultati scientifici, economici e sociali, negando l' esistenza di studi, ricerche, esperienze storiche, mistificando il fallimento planetario delle politiche di proibizione sulle droghe.

Ma veniamo ai documenti approvati dal consiglio dei ministri, che portano le firme del dott. Giovanni Serpelloni e dell' onorevole Carlo Giovanardi.
"Le ragioni del perchè NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti" è un documento deviato, incoerente, dannoso, che già nel titolo evidenzia la totale chiusura ad un dialogo, quello che invece sarebbe necessario al fine di ridurre la diffusione di sostanze stupefacenti. Viene fatto un elenco di ben 16 punti di argomentazioni contro la legalizzazione di qualsiasi sostanza stupefacente, ma la cosa che più risalta è il notevole sforzo di stigmatizzare il consumo di cannabis e allo stesso tempo negare questa stigmatizzazione, che al contrario viene considerata un valore deterrente nell'utilizzo delle sostanze stupefacenti e rinominata "disapprovazione sociale".

"Quindi la disapprovazione sociale dell’uso delle droghe e dell’abuso alcolico, esplicitata anche attraverso una chiara legge sanzionatoria,è di fondamentale importanza ed è in grado di condizionare positivamente la maggior parte dei giovani nel loro stile di vita e nel comportamento di assunzione."

Questo è proprio uno dei punti centrali della politica del duo Giovanardi-Serpelloni. Criminalizzare il consumatore, paragonandolo ad un complice della malavita organizzata, negando qualsiasi responsabilità legislativa (legata al decreto Fini Giovanardi) all' incarcerazione di semplici tossicodipendenti, o alla morte di persone incarcerate per uso di stupefacenti.

"Soprattutto i giovani, quindi, devono essere resi consapevoli che il denaro che viene messo nelle mani ad uno spacciatore è esclusivamente sotto la responsabilità di chi glielo dà. Non c'è nessuna giustificazione né morale, né sociale, né legislativa che può assolvere o giustificare tale gesto che ricade unicamente nell’ambito della responsabilità individuale."

"Nessuna persona tossicodipendente è stata arrestata semplicemente per aver usato sostanze stupefacenti, ma sempre e solo in relazione alla violazione delle leggi che puniscono penalmente il traffico, lo spaccio, la coltivazione illegale, ecc. di sostanze stupefacenti, oltre che altre violazioni delle altre leggi non in relazione con le droghe."

E' giusto menzionare i "successi" del decreto Fini-Giovanardi ricordando le morti in carcere di Bianzino, Aldrovandi, Cucchi, Mercuriali, Schiano, Ales e tutte le altre persone decedute in carcere a seguito di arresti per uso di sostanze stupefacenti o a causa della "disapprovazione sociale" fatta passare con il decreto Fini-Giovanardi.

L' introduzione al documento "Le ragioni del perchè NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti" recita:

"la legislazione (pro legalizzazione o sanzionatoria dell’uso) è solo una (e probabilmente non la più importante) delle componenti in grado di influenzare l’andamento del fenomeno nel suo complesso."

Se la legislazione non è così importante nell' influenzare l' andamento del consumo delle sostanze stpefacenti, come mai è presente un così forte rifiuto nel discutere una legalizzazione della cannabis? Allora perchè si richiama la necessità di una esplicitazione sanzionatoria nella legge, se la legislazione non è in grado di influenzare la diffusione di stupefacenti e perchè la si ritiene allo stesso tempo "di fondamentale importanza"? O la legislazione influenza i costumi oppure non è influente, di certo non può essere entrambe le cose.

Le contraddizioni in questo documento si sprecano. Sempre l' introduzione al documento citato continua:

"Molto più rilevanti infatti risultano le azioni correlate alla legislazione e cioè gli interventi e l’organizzazione generale costruibile e sostenibile che dovrebbero stare attorno a queste due scelte diametralmente opposte (proibizionismo e antiproibizionismo ndr), valutando nel complesso quindi anche il loro costo, la loro sostenibilità reale, la loro accettabilità sociale, l’organizzazione sanitaria e di controllo legale necessarie per mantenere nel tempo tali scelte, la reale efficacia nel medio lungo termine sui consumi e una attenta valutazione su tutto ciò che comporta il sostenere scelte ad alto impatto sociale e sanitario di questo tipo, con un’ ottica che non può essere di breve termine ma necessariamente di lungo termine."

Il secondo documento che porta la firma del direttore del DPA e di Giovanardi riguarda la "posizione italiana contro l' uso di droghe". Ed ecco cosa realmente si pensa della valutazione delle politiche proibizioniste e antiproibizioniste:

"Le prove di efficacia (evidence based approach) cosi come le analisi economiche di costo beneficio e costo efficacia, non possono da sole bastare a giustificare la scelte strategico-politiche di programmazione sanitaria per la prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie quali la dipendenza da sostanze. Queste scelte devono essere basate, oltre che sulle evidenze scientifiche, anche su criteri di tipo etico e cioè sulla necessità di assicurare il totale rispetto dei principi di solidarietà sociale, di legalità, di conservazione del diritto umano di avere cure adeguate a raggiungere e mantenere il massimo grado possibile di una vita dignitosa, socialmente integrata e libera da sofferenze."

Ecco che entra in gioco una visione soggettiva etica di ciò che è giusto operare a prescindere dall' oggettività dei dati. Infatti:

"Nessuna opzione che preveda la possibilità (regolamentata o no) di un aumento della disponibilità di sostanze stupefacente (e quindi in grado di far aumentare il numero dei consumatori e delle persone con evoluzione verso forme di addiction) può essere eticamente e socialmente accettabile, anche in presenza di evidenze scientifiche che comprovino la diminuzione dei costi sociali e sanitari. Pertanto, i costi/investimenti per la prevenzione e il contrasto devono essere considerati costi indifferibili e in nessun modo sacrificabili."

La preoccupazione del DPA, non è verificare che una legalizzazione o una proibizione delle sostanze stupefacenti possa ridurne la diffusione; la preoccupazione del DPA è contrastare la diffusione di sostanze stupefacenti creando una macchina divora risorse, condizionata da una visione "etica" personalistica della "guerra alla droga" che, incurante delle evidenze scientifiche e sociali, tollera costi, economici ed umani (le vittime del proibizionismo), che potrebbero essere ridotti o eliminati. Di più: implicitamente rifiuta proprio la proibizione delle sostanze stupefacenti, che è proprio l' opzione che in questi anni ha previsto un aumento della disponibilità di sostanze stupefacenti a fronte di un aumento di costi sociali e sanitari.
Basterebbero già questi presupposti per licenziare in tronco il direttore del DPA, ma effettivamente, le giustificazioni di una "politica Italiana contro la droga" sono troppo enormi, per essere ignorate e non portate ad argomentare la richiesta di dimissioni. Non è accettabile che le affermazioni presenti in un documento ufficiale del governo italiano, che rappresentano la nazione a livello internazionale, possano scartare, a causa di una "visione etica personalistica", tutto quello che è contrario a questa posizione.

Tra le tante, fuorvianti, argomentazioni, che il DPA porta a favore della proibizione delle sostanze stupefacenti, in primis la cannabis, si adottano ragioni di tipo economiche.

"Da un punto di vista tecnico-sanitario, per poterle rendere legali le sostanze stupefacenti destinate a tutti i vari tipi di consumatori (occasionali, abitudinari o dipendenti) dovrebbero essere prodotte da industrie professionali che garantiscano le necessarie caratteristiche farmacologiche, di sicurezza, stabilità e purezza per uso umano, finanziate o direttamente gestite dallo stato. Questo implicherebbe un ulteriore struttura produttiva di alto livello tecnologico ed un costo che graverebbe sul bilancio dello stato e quindi dei contribuenti."

"Significherebbe insomma finanziare un apparato statale strutturato a gestire la legalizzazione e lo
smercio, al fine di creare un mercato “competitivo” per la vendita delle sostanze (rispetto a quello delle mafie e del crimine organizzato) estremamente costoso, complesso e in realtà affatto competitivo
."

A prescindere dal fato che una simile industria, così descritta, potrebbe essere un volano per lo sviluppo tecnologico italiano, anche e soprattutto in campo farmaceutico; di più, una simile industria sarebbe tutt' altro che "affatto competitiva". Sempre il documento contrario alla legalizzazione recita:

"Una recente testimonianza di un ricercatore RAND ha concluso che "“I fornitori che lavorano nel mercato nero continuano a praticare la loro attività perché da essa ricavano un enorme profitto, in quanto possono coprire i costi della produzione e averne un buon margine di guadagno”."

Ma il documento fa notare la differenza che incorrerebbe tra la produzione pubblica e quella illegale:

"I costi produttivi per le organizzazioni criminali, considerate i loro bassi standard di produzione utilizzati, saranno sempre più bassi e competitivi rispetto a quelli della produzione industriale professionale che deve garantire sicurezza, qualità e stabilità del prodotto, caratteristiche che devono essere assicurate non solo per la produzione ma anche per il packaging e la distribuzione."

Ovviamente i costi per il pubblico che non permetterebbero la competitività con la malavita riguardano il packaging e la distribuzione delle sostanze. Come se non esistessero alternative tra la produzione statale e la produzione illegale, a fronte di simili forti argomentazioni economiche risulta alquanto difficile capire come mai il governo Olandese abbia autorizzato una società privata nella coltivazione di cannabis terapeutica e come questa società distribuisca cannabis terapeutica in Italia,forse, all' oscuro di Serpelloni-Giovanardi.

Quindi, oltre a lacunose argomentazioni di carattere economico, non si auspica una legalizzazione della cannabis per ragioni di tossicità.

"Le sostanze stupefacenti sono sempre sostanze fortemente tossiche, caratteristica questa che non va valutata solamente sulla possibilità di causare direttamente alti livelli di mortalità, ma anche rispetto alla possibilità di incrementare livelli di mortalità correlata ed indiretta (come per esempio da incidenti stradali, lavorativi, domestici provocati dal calo di attenzione e di riflessi, o da problemi medici da uso di droghe) e la capacità di alterare le importanti funzioni cerebrali o danneggiare le cellule neuronali e compromettere cosi lo sviluppo e la maturazione cerebrale negli adolescenti.
Pertanto, l'aumento dell'uso di queste sostanze porterebbe ad un forte incremento delle patologie fisiche e psichiatriche per i consumatori (come ampiamente dimostrato dalle evidenze scientifiche), ma anche ad un aumento dei danni a terzi.
"

Sembra che volutamente si vogliano ignorare tutte le ricerche in campo scientifico che smentiscono questa posizione.
Lo studio del professor Markus Leweke dell' Università di Colonia in Germania dimostra che composti presenti nella cannbis possono essere utilizzati come antipsicotici. Questo studio è solo uno dei numerosi che rivela la possibilità che la cannabis possa essere utilizzata in campo medico e proprio a cura delle patologie citate come possibili effetti collaterali dell' uso di cannabinoidi. Il consumo di cannabis e' associato ad una maggiore capacita' cognitiva nei pazienti schizofrenici, secondo una sperimentazione clinica pubblicata sulla rivista scientifica Neuro-Psychopharmacology & Biological Psychiatry.
Gli studiosi dell'Universita' di Berlino hanno analizzato l'impatto della cannabis sulla funzione cognitiva in persone affette da schizofrenia che avevano fatto precedentemente uso di cannabis e coloro che non ne avevano mai fatto uso. I ricercatori hanno rilevato che il consumo della cannabis non e' associabile alla diminuzione delle capacita' cognitive, e coloro che avevano ammesso di aver consumato marijuana precedentemente al primo episodio psicotico, dimostrano una capacita' cognitiva superiore ai pazienti schizofrenici non consumatori.
Un altro studio della Manchester Metropolitan University in Gran Bretagna aveva gia' dimostrato che i pazienti schizofrenici che avevano consumato cannabis prima dello sviluppo della malattia posseggono migliori capacita' cognitive dopo dieci anni rispetto ai non consumatori. Come mai queste evidenze scientifiche non vengono neppure menzionate? Come mai vengono negate? Forse a causa di una visione "etica" dei problemi legati alla diffusione di sostanze stupefacenti non conforme alla realtà.

"Fumare marijuana significa assumere anche altre sostanze tossiche per l’organismo quali l’ammoniaca e l’idrogeno cianide che sono presenti in un quantitativo di 20 volte superiore rispetto a quello normalmente riscontrabile nel tabacco. Secondo uno studio della British Lung Foundation “fumare tre o quattro volte al giorno marijuana corrisponde a fumare 20 sigarette di tabacco”."

E' interessante come anche questo studio, possa essere non solo smentito, ma risulti addirittura completamente inatendibile. Lo studio della British Lung Foundation, infatti rileva come sostanze tossiche per l' organismo le sostanze che sono riscontrabili nel tabacco che viene utilizzato per fumare cannabis e all' assenza di filtri in questo tipo di utilizzo della cannabis. Il problema legato alla combustione di cannabis e tabacco è stato superato in Olanda proibendo l' utilizzo di tabacco nei coffeshop. Ancora una volta gli studi riportati risultano altamente condizionati dalla "visione etica" del DPA.
Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of the American Medical Association, il consumo episodico di cannabis non sembra causare gli stessi problemi polmonari del fumo di sigaretta. Lo studio, firmato Mark Pletcher, ricercatore della University of California, porta a delle conclusioni diametralmente opposte rispetto a quello della British Lung Foundation proprio perchè tenendo conto della differenza tra fumo di cannabis e tabacco, evita l' influenza dell' utilizzo delle "bionde" nell' utilizzo di cannabis. Le conclusioni di questo studio affermano che un uso occasionale e cumulativamente basso di cannabis non è associato ad effetti avversi per la funzionalità polmonare.

Dunque, dopo considerzioni di carattere economico e sanitario, il DPA avanza argomentazioni di carattere pubblico sulla inappropriatezza di legalizzazione della cannabis o di qualsiasi altra sostanza stupefacente. Nel documento "Principi generali della posizione italiana contro l’uso di droghe" si fa riferimento proprio a questo:

"Contemporaneamente, azioni illegali quali la produzione, il commercio e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, costituiscono un rilevante problema di sicurezza pubblica, di sviluppo sociale ed economico del paese a cui è necessario dare risposte concrete e permanenti in termini di prevenzione e contrasto, senza criminalizzazione delle persone tossicodipendenti per il loro uso di sostanze (così come specificatamente già previsto dalla normativa italiana in materia) in quanto portatori di malattia, ma nel contempo senza tolleranza verso lo spaccio, il traffico di sostanze, la produzione illegale e la coltivazione domestica di cannabis."

Come si concilia questa posizione con in mente la chiara idea di rendere "socialmente disapprovabile" l' uso di sostanze stupefacenti attraverso una legge "chiaramente sanzionatoria" come il decreto fini-giovanardi.

Né "Le ragioni del perché NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti" vengono sviscerati i principi alla base della posizione del DPA:

"I sostenitori della legalizzazione affermano che i costi del proibizionismo -principalmente attraverso il sistema della giustizia penale– sono un grosso fardello sulle spalle dei contribuenti e dei governi. Ci sono certamente dei costi per gli attuali divieti, ma legalizzare la droga in realtà non diminuirebbe le spese del sistema di giustizia penale in quanto i problemi correlati alla produzione illegale, al traffico allo spaccio e alle atre attività criminali, non potrebbero essere concretamente essere ridotti."

Questo è quanto affermato da Sabet K., Senior Advisor To the Director, US Office Of National Drug Control Policy (ONDCP), the White House Executive Office of the President, durante il meeting Italia-USA, davanti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a Roma il 25-26 Luglio 2011. Nessuno studio a supporto di questa posizione, solo affermazioni ufficiali. Eppure, proprio negli USA, uno studio firmato da diversi premi nobel per l' economia ed oltre 500 economisti, stima proprio i risparmi che deriverebbero da una legalizzazione della cannabis a livello federale. Questo studio evideniza la totale inefficacia, numeri alla mano, delle politiche di proibizione sugli stupefacenti, quantificando il "danno economico" della guerra alla droga, specialmente sulla cannabis. Una legalizzazione della canabis porterebbe a risparmi per 7.7 miliardi di dollari derivanti da spese di repressione, vengono stimati in 2.4 miliardi di dollari le entrate statali di una legalizzazione della cannabis se tassata al pari di qualsiasi bene in vendita negli USA e le entrate aumenterebbero a 6.2 miliardi di dollari l' anno se venisse applicata la tassazione su alcolici e tabacco.

"Chi sostiene che legalizzare snellirebbe il sistema di giustizia penale non considera però che la legalizzazione favorirebbe l’aumento del fenomeno della criminalità e dei reati compiuti sotto gli effetti dell’uso di sostanze (come rapine, scippi, violenze): in tal caso la legalizzazione non giustificherebbe di certo l’immunità o impunità rispetto ad atti illegali agiti sotto l’influenza delle droghe che implicherebbero comunque la detenzione."

Ancora, proprio negli USA, a Seattle nel 2010, il capo procuratore Peter Holmes, dichiarò di non procedere più a perseguire penalmente il possesso di marijuana anche a seguito di una indagine istituzionale sui possibili effetti negativi della 'Initiative 75' approvata dal 58% della popolazione che allentò le misure contro i possessori di cannabis fino a 40 grammi. I risultati di questa indagine furono:
1. nessun aumento del consumo di cannabis fra i giovani e i giovani adulti;
2. nessun aumento del crimine;
3. nessun effetto negativo sulla salute pubblica.

Uno studio simile fu effettuato anche a Los Angeles; secondo chi si oppone ad ogni forma di regolamentazione della cannabis i distributori autorizzati di cannabis terapeutica incrementerebbero il tasso di criminalità nei vicinati in cui sono ubicati. Il capo della Polizia di Los Angeles, Charlie Beck dichiarò come una simile posizione sia più una percezione errata determinata da convinzioni ideologiche, che la realtà. All' epoca "Le banche hanno molte più chance di essere oggetto di rapine rispetto ai distributori di cannabis", spiegò Beck durante un incontro con i giornalisti del Los Angeles Daily News.
Beck aveva commissionato il rapporto, che offre un paragone fra banche e dispensari di cannabis terapeutica a seguito delle proteste di politici e comitati cittadini, che chiedevano maggiori restrizioni su queste strutture per evitare che accrescessero il crimine. E, con sua sorpresa, è risultato che le banche attirano quattro volte il tasso di crimine di qualsiasi dispensario. Nessuno si sognerebbe di impedire ad una banca di operare in un quartiere perché attira i criminali. Ma evidentemente, quando si parla di cannabis, le cose cambiano. Se poi si pensa che il rapporto non prende in considerazione i reati commessi in prossimità di bancomat, si capisce che i dispensari di cannabis hanno probabilità risibili rispetto alle banche di essere oggetto di attività criminali.

Le incongruenze, l' assenza di valutazioni oggettive, la prevalenza di una "eticità proibizionista" continuano nei documenti approvati dal consiglio dei ministri e firmati DPA e possono essere smentite una ad una. Una simile posizione non può rappresentare l' Italia a livello internazionale, basata semplicemente sulle valutazioni egoistiche ed egocentriche di un personaggio che non ha meriti, se non quello di mentire pubblicamente o di essere completamente disinformato sulla materia di competenza del suo dipartimento.

Per tutte queste ragioni deve essere presa in considerazione, seria ed urgente, la dismissione del "dipartimento per la propaganda antidroga", le dimissioni del dott. Serpelloni ed una rivisitazione complessiva delle politiche sulle sostanze stupefacenti in Italia, che vedano nell' oggettività il principio ispirante a sostegno di politiche di riduzione della diffusione di sostanze stupefacenti.

* Dr. Giorgio Gatti
Consulente in sviluppo economico ed economia della sicurezza pubblica
Blog: http://scrivialtuodirettore.blogspot.com/

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