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Vendola, l’acqua pubblica e l’inutile stupore post referendario
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Articolo di Alessandro Gallucci
2 luglio 2011 11:45
 
 Hanno fatto discutere nei giorni scorsi le affermazioni del governatore della Puglia sulla tariffa dell’acqua. Nichi Vendola ha affermato che "e’ indispensabile fare i conti con la realta’ per non precipitare nei burroni della demagogia: sull'Acquedotto Pugliese abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’efficientamento e su quella proseguiremo. Per questo non abbasseremo le tariffe". Eppure una spinta al trionfo della demagogia aveva contribuito anche lui a darla. La campagna referendaria sull’acqua, infatti, lungi dallo basarsi sulle effettive conseguenze legate alla vittoria del SI o del NO, e’ scivolata come, spesso accade, sul binario degli slogan e della mistificazione della realta’. La vittoria di una o dell’altra delle opzioni in campo, questa era l’impressione comune, avrebbe schiuso le porte ad un mondo migliore o alla peggiore delle prospettive. Ad ogni modo cio’ che pareva certo e’ che la vittoria dei due SI avrebbe tolto dalle mani dei privati sia le gestione dell’acqua sia, probabilmente la cosa piu’ importante, la famigerata “remunerazione del capitale investito”. Il tanto vituperato 7% di guadagno assicurato e slegato da ogni logica sarebbe scomparso. Il pubblico avrebbe trionfato ai danni del maligno privato. L’enfasi propagandistica e’ quasi arrivata a intravedere nella diversa visione della gestione d’un servizio, uno scontro di civilta’. Il classico manicheismo dove bene e male sono contrapposti e la ragione rappresenta il terzo incomodo da tenere ben lontano. L’affermazione dei SI aveva spianato la strada a entusiastiche affermazioni del genere “riscossa popolare”, “vittoria della gente comune” ed altre amenita’ simili che solo la sbornia del successo rendeva credibili. La politica, naturalmente, non ha fatto da spettatrice ma soprattutto negli ultimi giorni della campagna elettorale ha cannibalizzato il confronto. Il presidente Vendola non e’ stato da meno. La sua politica di ripublicizzazione dell’acquedotto pugliese e’ stata venduta come la punta di diamante di un processo di collettivizzazione del bene acqua che pareva non dover trovare ostacoli. Agli accessi d’entusiasmo del periodo pre e post referendario va a sostituirsi, adesso, la normale amministrazione degli acquedotti. Le parole del governatore di Puglia, allora, suonano bislacche in relazione alle sue promesse ma non alla realta’ dei fatti. Il referendum ha abrogato norme e parti di esse contenute nel decreto Ronchi. Partendo da questo dato e’ sfuggito un concetto. La consultazione referendaria riguarda specifici testi di legge. I suoi effetti, dunque, possono estendersi agli atti che ne rappresentano una conseguenza e che in virtu’ dell’abrogazione dei primi non hanno motivo di essere applicati. Nel caso dell’acqua, pero’, la famosa maggiorazione del 7% e’ contenuta in un decreto ministeriale dell’agosto 1996 (d.m. 1 agosto 1996) che sebbene si occupi delle modalita’ di determinazione della tariffa per il servizio idrico, non era formalmente collegato con la legge oggetto della consultazione referendaria. Risultato: una vittoria vana visto che i suoi effetti per ora e chissa’ per quanto tempo non saranno tangibili. Le prodezze retoriche di Vendola saranno servite alla causa del SI ed i suoi comportamenti successivi restano pienamente rispettosi della legge. Al governatore e’ riuscito di avere la botte piena e la moglie ubriaca.
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