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CHE SCUOLA PAGHIAMO SE NON RIESCE AD ESSER VITA PIUTTOSTO CHE CASERMA O FABBRICA?
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Comunicato 
6 dicembre 2005 0:00
 

Firenze, 6 Dicembre 2005. No, non e' un film tratto dalle situazioni piu' assurde che potrebbero essere in una sorta di libro "Gian Burrasca" del 2000, ma e' un fatto vero. Bergamo fine del 2005: un liceale mette nella bottiglietta dell'acqua dell'insegnate una pasticca di popper (sostanza eccitante in libera vendita); la professoressa sente cattivo odore mentre sta per berne un goccio e si ferma, denuncia l'episodio al preside, comincia un pressing sulla classe perche' il colpevole venga fuori, e il ragazzo alla fine "confessa": 15 giorni di sospensione e i genitori lo ritirano dalla scuola cercandone un'altra. L'insegnante indignata ("un gesto sconsiderato") ma convinta di essere di buon cuore perche' non ha provveduto ad una denuncia nei confronti del ragazzo e dice di volersi porre alcune domande, soprattutto per il "problema della circolazione di queste sostanze tra i ragazzi".
Chi non ha sognato, in tempo di liceo, di fare altrettanto con la propria professoressa di matematica o di chimica... alzi la mano! Magari qualche anno fa non sarebbe stato usato il popper, ma per qualche sostanza che avrebbe potuto dare fastidio, c'era solo la difficolta' della scelta. E a parte la professoressa che solo ora si accorge che per esser tale occorre farsi (continuamente) delle domande, sarebbe successo altrettanto scandalo se invece del popper fosse stato peperoncino? Crediamo di no. Eppure entrambe sono sostanze in libera vendita. Solo che la prima fa parte dell'immaginario sessuofobico, cioe' l'eccitante proibito dalla propria morale, il secondo lo usiamo tutti i giorni sulla pastasciutta. E per questa differenza, un ragazzo viene espulso e, quando trovera' un nuovo liceo che lo accogliera', sara' marcato a vista.
Questo episodio e' successo in una scuola, non in caserma o in fabbrica (dove ci si va per guadagnare soldi), ma nel luogo in cui lo Stato pensa di poter insegnare vita e cultura. Ma probabilmente si tratta di un tipo di vita senza popper, con insegnanti solo adorati dagli studenti, con una ferrea gerarchia e disciplina basata sul piu' forte: un luogo in cui la risata non esiste, lo sberleffo e' offesa, la comicita' e' nei racconti del passato e comunque di altri. Cioe' -a nostro avviso- dove la vita e' monca, perche' e' solo quella degli insegnanti, dei presidi e delle loro gerarchie autoritarie: dove gi studenti sono solo contenitori della loro capacita' o incapacita' di comunicazione, soggetti passivi le cui reazioni devono rispondere a determinati schemi, oltre i quali scatta il delitto... non il confronto o al limite il castigo, ma il delitto... con la bella frase di rito "sento che dobbiamo porci alcune domande", facendosele pero' con il preside, magari fra professori o in qualche trasmissione televisiva, ma mai coi ragazzi, prima durante e dopo qualunque episodio.
E noi paghiamo per questa scuola. Magari accettiamo anche alcune riforme che dovrebbero renderle piu' moderne e in linea con le prospettive future dei ragazzi... ma gli insegnanti non sanno parlare coi ragazzi, non sanno cosa sia la loro vita e i loro desideri, non parlano del popper ma danno per scontato il peperoncino. Quella di Bergamo e' una punizione esemplare? Colpiscine uno ed educane cento? Ma per quale reato oltre la lesa maesta' nella fabbrica/caserma?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
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