testata ADUC
Se anche il debito Usa fa paura
Scarica e stampa il PDF
Editoriale di Alessandro Pedone
20 aprile 2011 17:36
 
Da molti mesi ci stiamo occupando di debito pubblico dal punto di vista dei risparmiatori. Qualcuno ci ha garbatamente criticato per questa insistenza. La ragione, dal nostro punto di vista, è molto semplice. Questo spazio è rivolto in particolar modo ai semplici risparmiatori poco avvezzi alle cose finanziarie. Da sempre sosteniamo che questa categoria d'investitori dovrebbe avere come strumento finanziario di riferimento i titoli di stato.
Senza addentrarci troppo in numeri e statistiche, possiamo dire che da Ottobre a Marzo i titoli di stato sono andati malissimo. In molti si domandavano se non fosse stato il caso di vendere i BTP in favore dei titoli tedeschi. Sarebbe stato un grave errore e ci sembrava giusto sottolinearlo con tutta la misera forza di comunicazione di cui disponiamo.
E' sempre più facile far leva sulla paura che sul ragionamento. Questo vale in tutti i campi (nella politica abbiamo esempi giornalieri) e quindi anche in finanza. L'informazione “terroristica” sui titoli di stato spadroneggiava sui grandi mezzi di comunicazione. Mi ricordo alcune interviste alla RAI di consulenti finanziari indipendenti -che pure stimo- i quali ventilavano l'ipotesi di default dell'Italia (per inciso: la mia stima nei loro confronti continua perché conosco per esperienza diretta le capacità manipolatorie dei giornalisti, specie quelli televisivi). In quel contesto noi abbiamo cercato di dare un punto di vista più ragionevole.
Da circa metà Marzo la pressione sui titoli di stato italiani si è allentata.
Dal 9 marzo (punto di minimo per i BTP) tutte le principali asset class obbligazionarie denominate in euro hanno continuato il loro andamento negativo che dura, a fasi alterne, ormai da molti mesi, mentre i BTP si sono distinti per essere in controtendenza. Non possiamo sapere, ovviamente, se Marzo 2011 segnerà l'inizio della risalita dei BTP, ma restiamo convinti che chi si è fatto spaventare dal terrorismo mediatico sui titoli di stato italiani ha fatto un grave errore.
Lunedì scorso, 18 Aprile, una notizia ha gettato scompiglio sui mercati finanziari: Standard & Poor's ha abbassato l'outlook (cioè l'aspettativa circa una possibile modifica futura) sul rating (giudizio sul merito di credito) del debito pubblico Usa. E' sensato pensare ad un default degli Usa? No.
Ciò non significa che non esistono problemi, anche gravi, sui debiti pubblici dei Paesi sviluppati. A mio avviso, però, molti “esperti” di finanza cadono in un errore tipico di tutti gli esperti, cioé leggere tutto il mondo solo con le lenti deformanti che si utilizzano nel proprio settore.
Capita così che per gli architetti tutto è problema di forma, per i medici tutto è un problema di salute, per i giuristi tutto è un problema di norme, e così via.
La finanza -ormai da troppi anni- ha travalicato di gran lunga il ruolo di supporto all'economia ed è diventata una sorta di “mostro” il quale vive di vita propria e, non di rado, crea gravissimi problemi alla stessa economia a cui dovrebbe servire.
Ciò nonostante, le leve ultime della finanza restano in mano alla politica. Non è pensabile che i governi di nazioni il cui debito pubblico ha un impatto sistemico gigantesco sulla finanza mondiale (e quindi sull'economia) -gli Usa in primis, ma lo stesso discorso vale per Giappone, Inghilterra, Italia, Francia, Germania e simili in termini di percentuali sul debito pubblico mondiale-... non é pensabile possano dichiarare default, nemmeno parziale. E' possibile (forse anche auspicabile!) che piccoli Stati (in termini di percentuale di debito) come la Grecia possano proporre una ristrutturazione del debito che consenta di fornire ragionevoli certezze sulla sostenibilità del debito ristrutturato. L'impatto sistemico del loro debito è gestibile.
Nel caso dei grandi debiti, il discorso è diverso.
Il costo che il sistema dovrebbe pagare sarebbe enorme. Vi sono soluzioni economiche -comunque molto costose- meno traumatiche, mi riferisco all'inflazione. Gli Stati, possono, in ultima istanza, “stampare moneta” (in forme oggi un po' più sofisticate e con procedure decisionali molto più articolate) e continuare a finanziare il proprio debito generando inflazione che va a diminuire il peso reale del debito stesso.
Questa è una soluzione estremamente costosa, ma meno di ciò che significherebbe un default di uno dei grandi debitori mondiali.
Prima di ricorrere a questa “soluzione”, gli Stati ovviamente faranno di tutto per ridurre il debito pubblico attraverso le politiche di bilancio.
E' difficile che queste possano essere decisive per la soluzione del problema. I debiti sono -mediamente- così elevati che potrebbero essere risolti solo con l'aiuto di una crescita economica sostenuta (nell'ordine del 3/4% annuo) per vari lustri. E' difficile che ciò accada, specialmente in concomitanza con politiche di bilancio statali restrittive.
Nel medio/lungo termine, quindi, i pericoli che si possono intravedere non sono i default dei grandi debitori governativi mondiali, bensì i seguenti:
1. una fase prolungata di stagnazione economica;
2. una fiammata inflazionistica;
3. un mix delle prime due, cioè un periodo di stagflazione.

In sintesi, il problema dei debiti pubblici del G7, più che un grave problema finanziario è un gravissimo problema economico.
Pubblicato in:
 
 
EDITORIALI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS