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 ITALIA - ITALIA - Morte Cucchi, ecco il racconto del testimone del pestaggio in cella
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11 novembre 2009 12:12
 
"Ha la pelle nera dell´Africa Occidentale l´uomo che ha visto Stefano Cucchi cominciare a morire in un sotterraneo del palazzo di Giustizia per mano di 'due guardie', due agenti di polizia penitenziaria, di piantone alle 'camere di sicurezza'. Ha i suoi stessi anni, 31. Era stato arrestato dai carabinieri la stessa sera (il 15 ottobre), alla stessa ora, le 23.30, per lo stesso reato (stupefacenti). Ma in un quadrante diverso della citta'. Tra il raccordo Anulare e Tivoli. La mattina del 16 ottobre - si legge sulla REPUBBLICA - ha visto crollare Stefano sotto due manrovesci al viso. Tra le urla, ha sentito il tonfo sordo dei calci delle 'guardie' accanirsi su quel corpo rannicchiato in terra e gia' fragile. Poi, quando i suoi polsi e quelli di Stefano sono stati chiusi allo stesso schiavettone che dal palazzo di Giustizia li doveva trascinare a Regina Coeli, ha raccolto le sue ultime parole: 'Hai visto questi bastardi come mi hanno ridotto?'. In questo incrocio di destini, l´uomo che 'sa', si chiama S. Y.
(Repubblica, che ne conosce il nome, ha accettato la richiesta del suo avvocato di tutelarne, almeno per il momento, un parziale anonimato), e' un clandestino ed e' detenuto in una cella del braccio "comuni" del carcere di Regina Coeli. Il 3 novembre, ha consegnato il suo segreto al pubblico ministero Vincenzo Barba. Quattro giorni dopo, sabato 7, nella sala colloqui del carcere ha fissato negli occhi il suo giovane avvocato, Francesco Olivieri, e con una smorfia gli ha confidato la paura di chi ora teme il prezzo di quella verita': 'Avvocato, ho raccontato al magistrato una cosa per cui ho paura che ora non mi faranno piu' uscire di qua'. Olivieri non e' ancora riuscito a tirare fuori S. da Regina Coeli. Ieri, ha bussato una prima volta alle porte degli uffici giudiziari per chiedere di sottrarre quel testimone al rischio di una possibile vendetta, di un´intimidazione, perche' i segreti, si sa, in carcere durano assai poco. Tornera' a farlo oggi. E ora - nel suo studio di via Tuscolana - promette che non mollera'. 'Intanto, sto facendo una colletta per raccogliere il denaro necessario a pagare l´ospitalita' della "Casa dell´Amore fraterno". Dieci euro al giorno per poter indicare al giudice almeno un indirizzo in cui disporre gli arresti domiciliari. Poi, comincera' l´altra battaglia. Diciamocelo pure, quella piu' difficile. La parola di un ragazzo di colore accusato di spaccio contro quella di uomini in uniforme'. (...) Stefano Cucchi e' nella cella di fronte alla sua. Anche lui e' solo.
Anche lui e' stato consegnato dai carabinieri alla polizia penitenziaria sulla soglia della porta blu cobalto. Anche lui e' li' per droga. Anche lui aspetta. Poi, accade qualcosa. S.
non sa dire che ora fosse ('Tarda mattinata', dice l´avvocato Olivieri nel riferirne i ricordi). Verosimilmente, prima delle 12.35, quando Cucchi entrera' nell´aula del suo processo per direttissima. Ma S., ricorda perfettamente cosa sente. Cosa vede. Il silenzio del sotterraneo si anima all´improvviso di urla. Le urla di Stefano Cucchi. S. si precipita allo spioncino della porta blindata che chiude la sua cella. E - per quello che riferira' prima al pubblico ministero e quindi al suo avvocato - vede quel ragazzo dal fisico esile 'trascinato nel corridoio dalle guardie'. 'E´ andato al bagno' e ora, a quanto pare, non vuole rientrare nella sua cella. I due agenti della polizia penitenziaria - prosegue S. - lo colpiscono al volto. Stefano Cucchi crolla in terra. I due finiscono di dargli una lezione a calci.
Quindi 'lo trascinano' nella cella chiudendosi la porta alle spalle. S. ritrova Stefano a fine mattina. Dopo il suo processo per direttissima. Anche lui non e' stato fortunato.
Il giudice ha rinviato il dibattimento al 18 dicembre e disposto che venga "tradotto" a Regina Coeli. Quando rientra nei sotterranei, Cucchi e gia' li'. E questa volta i due vengono sistemati nella stessa cella. S. ora puo' vedere i lividi che gonfiano e macchiano il volto di Stefano. Gli agenti della polizia penitenziaria gli chiudono i polsi allo stesso schiavettone, il guinzaglio con cui devono essere caricati sul furgone diretto al carcere. Stefano gli sussurra una parola all´orecchio: 'Hai visto questi bastardi come mi hanno ridotto'? S. ha visto. Forse non tutta la violenza di quel mattino. Forse solo l´inizio e non la coda, se dovesse trovare una qualche conferma l´ipotesi che di "lezioni" Cucchi ne riceva dai suoi custodi della Penitenziaria una prima e una dopo l´udienza del suo processo. Ma ha visto. E ha deciso di non dimenticare".
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