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Argentina. Intervista a Nelson Feldman: la tossicodipendenza non puo' essere reato
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Articolo di Mariana Iglesias
30 aprile 2008 0:29
 
Per lui, il consumo di sostanze e' una decisione personale e 'non un reato'. Depenalizzare non e' la stessa cosa di legalizzare. Il tossicodipendente ha un problema di salute, e non si rimedia criminalizzandolo. Lo Stato dev'essere preparato a curare i consumatori bisognosi d'assistenza.

L'autore di queste frasi e' Nelson Feldman, argentino residente in Svizzera, specialista di droghe presso il Servizio d'abuso di sostanze del Dipartimento di psichiatria dell'ospedale universitario di Ginevra. Feldman si trova a Buenos Aires per una conferenza al ministero di Giustizia, Sicurezza e Diritti Umani. E' che, di recente, il ministro Anibal Fernandez ha sorpreso con il cambio d'atteggiamento manifestato nella Sessione Straordinaria delle Nazioni Unite sul consumo di droghe e narcotraffico. Ha detto che occorre 'rivedere le norme' e 'smetterla con un sistema che persegue il consumatore e lo criminalizza'. Cosi', e' stato istituito un Comitato con l'incarico d'elaborare un progetto per depenalizzare il consumo di tutte le droghe.

La Svizzera, paese federale (suddiviso in Cantoni), non ha depenalizzato per legge l'uso di droghe, ma nei fatti si potrebbe dire di si'. 'Di otto milioni di svizzeri, 300 mila sono consumatori di droghe. Se si applicasse la legge, ci sarebbero 300 mila persone fuorilegge. Per quanto attiene l'uso di stupefacenti, il giudice applica il cosiddetto principio di opportunita', che in pratica non punisce una persona perche' fa uso di droghe, ma cerca d'avviarla a un centro di recupero'.

-Com'e' che in Svizzera non e' stata conseguita la depenalizzazione?
-Perche' la gente pensava che potesse portare alla legalizzazione delle droghe. E in realta' ci sono due dibattiti differenti: depenalizzare significa non punire il consumatore, mentre legalizzare e' autorizzare la vendita in certi luoghi, come avviene nei 'coffee shop' in Olanda.

Pero' esiste un sistema di salute che tratta il tossicodipendente...
Si', certo. In materia di droga esiste una politica basata su quattro pilastri: la prevenzione, il trattamento, la riduzione del danno e la repressione, che ha a che vedere con la lotta al traffico. E sono tutti complementari.

Vi ha influito l'Aids?
L'Aids e' stato il catalizzatore del cambiamento nella politica delle droghe.

Come si applica il concetto di riduzione del danno?
Si cambiano le siringhe vecchie con quelle nuove, si danno cannule per aspirare e, nei trattamenti di sostituzione, si fornisce metadone fino all'eroina, pura. Esiste un'associazione civile, 'Prima linea', con presidi per le strade, dove i tossicodipendenti si possono drogare in modo sicuro. Cosi' si evitano le overdose, il contagio dell'epatite o dell'Aids. E la polizia non interviene.

Coloro che si oppongono alla depenalizzazione dicono che il consumo cessa di essere un problema individuale quando, per effetto della droga, si causano danni ad altre persone.
Tutte le droghe, anche l'alcol, sono sostanze psicoattive, vale a dire, che cambiano il comportamento. Per questo la legge dev'essere chiara e punire, per esempio, coloro che guidano sotto l'effetto di droghe. In Svizzera si porta la persona al commissariato per sottoporla all'analisi delle urine e vedere se ha consumato droghe. In Francia il test viene fatto con la saliva.

Con un argomento simile usato contro il divorzio, gli oppositori dicono che depenalizzare indurra' all'aumento del consumo.
E' un errore. E' evidente che, malgrado la legge punizionista, il consumo e' enorme in tutte le classi sociali. La societa' deve adeguare le sue leggi alla realta'. Criminalizzare il malato e' discriminarlo, emarginarlo. Mi azzarderei a dire che, da una certa prospettiva, la depenalizzazione e' persino un fatto umanitario.

Intervista tratta dal quotidiano argentino Clarin, traduzione di Rosa a Marca

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