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L'ascesa e la caduta del populismo. Cosa fare per difendere la società aperta (liberale)
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Articolo di Redazione
8 novembre 2017 14:22
 
Non molto tempo fa, il 2017 era considerato l'annus mirabilis della politica europea, un anno in cui l'establishment liberale nei principali paesi UE sarebbe stato spazzato via, facendo spazio ai loro avversari populisti. I rappresentanti di questa ondata illiberale che avevano già conquistato il potete, come Kaczynski in Polonia e Orban in Ungheria, pensavano a se stessi come ad una avanguardia del nuovo mainstream europeo. I nazional-conservatori polacchi (PiS) erano così sicuri che lo spirito dei tempi fosse a loro favore, che nell'ambito dell'UE si sono dichiarati alleati dell'euroscettico Regno Unito (invece della Germania). Il PiS era fermamente convinto che l'idea britannico-polacca di meno Europa e più poteri alle capitali fosse destinata a prendere il volo. Ma questa previsione si è rivelata errata. Invece, i libri di storia racconteranno un 2017 in cui l'Europa ha potuto fare un sospiro di sollievo, soprattutto grazie a Emmanuel Macron e alla sua controparte tedesca (chiunque sia). Si può ora prevedere che i futuri cambiamenti nell'architettura dell'UE seguiranno un copione diverso da quello invocato da Kaczynski, Orban e (in passato) Cameron.

Se i liberali e progressisti europei possono finalmente tirare un sospiro di sollievo, non possono certo rilassarsi. Quando la piccola Austria avrà eletto un nuovo governo ad ottobre 2017, e la ben più grande Italia avrà fatto altrettanto nella primavera del 2018, l'umore potrebbe oscurarsi nuovamente. Il successo di Macron e la stabilità della Germania sono elementi incoraggianti, ma non sono abbastanza per bloccare l'onda populista che si sta affermando come un elemento strutturale della politica occidentale. La recente esplosione di populisti alla stregua di Marin Le Pen, Hans-Christian Strache e Beppe Grillo non sono solo il risultato di crisi multiple e simultanee in Europa (disoccupazione, migrazioni e valuta). La ragione principale che ha consentito al populismo di elevarsi, da marginale distrazione per il mainstream liberale, fino a diventarne il principale e duraturo sfidante, è molto più profonda: la politica basata sulle classe si sta trasformando in politica basata sull'identità.

Ci sono molteplici studi, tra cui quello di Ronald Inglehart e Pippa Norris, che confermano questo nuovo trend nella politica occidentale. La classica contrapposizione tra sinistra e destra, delineata dalle opinioni degli elettori su questioni economiche e sociali (il ruolo dello stato nell'economia, l'entità della redistribuzione) ha perso la sua dominanza. Un nuovo conflitto ha cominciato a polarizzare le società occidentali, un conflitto incentrato su valori culturali: le opinioni sui cosiddetti 'altri' in termini di razza, comunità e globalizzazione. Sono proprio questi termini, "combinati con fattori sociali e demografici, [che] offrono la spiegazione più coerente e parsimoniosa del sostegno elettorale per i partiti populisti", scrivono Inglehart e Norris. Se alcune persone vedono la globalizzazione, l'immigrazione e il pluralismo culturale/religioso come qualcosa di neutro o di positivo, altri rifiutano questi fenomeni perché li ritengono in conflitto con gli interessi nazionali e i valori tradizionali, o comunque dannosi alla loro identità. La contrapposizione di questi due approcci scandisce in larga parte il sostrato culturale della politica moderna.

Non c'è alcun motivo per pensare che la politica identitaria sparisca velocemente e che ritorni la tradizionale divisione tra sinistra e destra. Gli effetti della globalizzazione e delle migrazioni internazionali, delle strutture sociali e di classe che cambiano, e della rivoluzione nel mercato del lavoro, non sono ormai più reversibili. Siamo già entrati in una nuova era politica in cui i liberali (in poche parole, i sostenitori di una società aperta, dell'integrazione UE e dello stato di diritto) hanno bisogno di nuove strategie e risposte alle preoccupazioni dei cittadini. I valori e i modelli liberali semplicemente non sono più senza opposizione. Infatti, sono ora al centro del conflitto e delle divisioni politiche.

Non esiste alcuna bacchetta magica a disposizione dei liberali per difendersi. Ci vorrà tempo perché si adattino pienamente alle nuove circostanze e comprendano a pieno la grandezza della sfida cui li pone di fronte la politica identitaria. Allo stato attuale, però, la resistenza contro i sostenitori del nativismo e dell'illiberalismo non avrà alcun successo a meno che i liberali non rivedano tre fondamentali componenti della loro agenda politica.

Per prima cosa, l'appeal populista trae vantaggio dal bisogno di comunità e appartenenza della gente. I liberali non sono particolaremente bravi a ragionare in termini di comunità. Tendono invece a sottolineare l’importanza dell'individuo e della diversità. Ma l'idea di bene comune, coesione sociale e unità non sono in contrasto con i principi liberali. E' vero il contrario. I liberali hanno semplicemenbte ignorato l'importanza di questi concetti, lasciandoli alla destra e, più recentemente, ai populisti. La nascita dei nazional-conservatori in Polonia non sarebbe stata possibile se i liberali non avessero completamente ignorato la storia, l'identità nazionale e la cultura, considerandoli argomenti non politici. Nell'era della politica identitaria, questo atteggiamento garantisce il fallimento. La politica è diventata di nuovo (molto) emotiva, e per vincere è necessario trovare modi per non lasciare agli avversari il monopolio del dibattito sull'identità e sulla cultura. Una nuova narrativa liberale deve pertanto prendere sul serio la nozione di comunità, ma deve plasmarla secondo i propri valori.

La seconda questione politica fondamentale che i liberali devono sviluppare è una politica migratoria onesta e efficace che possa far fronte alle sfide emergenti. Se c'è un argomento che più di altri fomenta la politica identitaria e che favorisce i populisti, è proprio l'immigrazione. I liberali non possono più limitarsi a lodare la diversità a spese dell'unità e della coesione, ma non possono neanche compromettere i loro valori quali i diritti umani, lo stato di diritto e la responsabilità verso la comunità internazionale. Questi valori devono rimanere credibili e devono continuare a costituire il cuore dell'appeal emotivo liberale. Pertanto una nuova polica migratoria deve raggiungere un equilibrio tra due fondamentali esigenze: la protezione della comunità e il pieno rispetto delle obbligazioni umanitarie e legali verso i rifugiati. Esistono già ottime idee su come far funzionare tutto questo, ad esempio quelle formulate dal think tank European Stability Initiative. Queste proposte dovrebbero essere fatte proprie da tutto coloro che vogliono dare forma ad una risposta credibile alla propaganda nazionalista e xenofoba.

Terzo, l'Europa (o l'UE) devono svolgere un ruolo centrale nel ridare slancio al contenuto emotivo del messaggio liberale. Come ogni altro principio della società liberale, aperta, l'integrazione Europea è divenuta una questione bollente, che polarizza paesi e provoca conflitti. Nel breve termine, tutto questo rappresenta una minaccia per un progetto originariamente tecnocratico e condiviso. Ma guardando ad un futuro meno prossimo, l'integrazione Europea rappresenta anche una grandissima opportunità per i liberali, che possono rappresentare l'Unione Europea come il collante necessario a garantire la protezione dei valori europei. Macron ha dimostrato che una adesione emotiva all'UE non è controproducente. Infatti è stata una mossa vincente. E a lungo andare, questo tipo di adesione emotiva al progetto europeo è l'unico modo per prevenire la distruzione dell'UE e per difendersi dalla rivolta populista.

Articolo di Piotr Buras, European Council on Foreign Relations, originariamente pubblicato in inglese il 30 agosto 2017 su EastWest magazine
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