Narrano le cronache che in quei primi giorni del 1992 un bambino di poco piu' di due anni andava alla scoperta di una gelidissima Parigi comodamente seduto nella sua carrozzina o portato nello zaino dall'intrepida genitrice, non disdegnando pero' di camminare da solo e anche di correre all'impazzata sui boulevard e nei giardini; del resto il primo incontro con la citta' era stato celebrato con un volo giu' dalle scale della pensione per una mezza rampa buona, mentre un inserviente magrebino, che assisteva alla scena, non poteva fare altro che esclamare un trepido "Mon Dieu!" ...
Rialzatosi da terra piangente ma indenne, il bambino aveva dunque iniziato il suo giro per Parigi, alternando lunghe passeggiate all'aperto a visite forse altrettanto lunghe a musei e gallerie, finche' approdo' al Museo Marmottan, dove scopri' Monet. Le cronache sono concise nel descrivere le lamentele del pargolo, portato, sospinto, quando non trascinato di sala in sala, ora rimproverato ora blandito allorche' s'impuntava nella sua volonta' di uscire il prima possibile a sfidare i rigori dell'inverno parigino, ma riportano invece l'episodio saliente di quella visita con una certa dovizia di particolari, anche se tutto accadde abbastanza velocemente.
Pare che il bambino transitasse, con la sua mamma, beninteso, per un corridoio da cui si accede ad alcune sale dove sono esposti, fra gli altri, anche celebri quadri che raffigurano le ninfee. Me lo posso immaginare; sta piagnucolando che vuole uscire, forse sta dicendo alla mamma che il ricatto, che lei gli sta facendo per trattenerlo, e' "butto bettiale", quando all'improvviso si arresta, smette di protestare, fissa qualcosa che e' nella sala di fronte e, protendendo in avanti una manina, corre verso un tripudio di ninfee al grido di
"Beo cadro!", a cui fanno immediatamente eco tutti gli allarmi possibili e immaginabili.
"Beo cadro" - chissa' se lo vedro' anch'io quel quadro che afferro' e attiro' a se' con tanta potenza il mio piccolo amico -che nel frattempo ha compiuto 15 anni ed ama ancora farsi raccontare questo episodio, segno di una precoce sensibilita' ed educazione alla bellezza.
Me lo chiedo mentre vado a Brescia per visitare la mostra
"Monet la Senna le ninfee" -me lo chiedo, ma solo fino a quando sono sulla soglia, perche' dopo i dipinti mi prendono nella mente e nell'anima e non c'e' piu' spazio per i ricordi e le aspettative personali. Pittori famosi come Pisarro e Renoir, che anch'io conosco nella mia ignoranza, e pittori di cui non sapevo neppure il nome, come Sisley e Caillebotte, sono li' a comunicare qualcosa di se', non solo con le immagini, ma con la materia stessa di cui sono fatti i quadri -la tela e i colori, che loro, proprio loro, hanno toccato e trattato con le loro mani, osservato con i loro occhi, approvando o disapprovando, apportando qualche semplice ritocco o correzioni radicali.
Il mondo ormai e' pieno delle riproduzioni, anche molto belle, di tante di queste opere, ma qui, davanti a me, adesso, ci sono gli originali, ci sono le opere in cui materialmente si e' trasfuso qualcosa di questi uomini che le dipinsero; la tela trattiene non solo le forme e i colori, ma anche il tocco con cui quelle forme furono tracciate e i colori furono stesi. La forza (e magari la rabbia) e la delicatezza, la rapidita' e l'esitazione del lavoro del pennello e della spatola sono presenti fisicamente dentro queste opere, e in qualche modo comunicano l'umanita' dell'uomo, che il lavoro ha compiuto, in tutta la sua complessita', il mistero sacrale della sua interiorita' -che chiede di essere ascoltata, interrogata, anche. E a volte il dialogo accade per davvero: un solo attimo di pura silente contemplazione, di cui -ora lo capisco- "beo cadro!" e', puo' essere, un originale rendimento di lode e di grazie.
E che cosa rappresenta, poi, quel correre del mio piccolo amico incontro alle ninfee con la manina protesa? Un modo di continuare il dialogo con una carezza? L'espressione del desiderio di fare propria quella ineffabilita' a cui diamo il nome di bellezza? Apposta non metto una "o" disgiuntiva tra i due interrogativi. Perche' anche l'umanita' dell'interlocutore che osserva il dipinto e' complessa, e in quel gesto spontaneo del bambino ci puo' essere tutto insieme: la tenerezza e la prepotenza -due facce di un medesimo sentire.
Che cosa farne della nostra complessita'? Come conviverci senza farle violenza, separandola in "contrari" o "opposti", come dir si voglia, ma neppure fare violenza alle altrui complessita'? Eh, si', venire a capo di cio' sembra una faccenda molto seria. Ma:
e se fosse questo, solo questo, tutto il compito della nostra vita?
NOTA
Sembra che Monet si presti ad essere visto con occhi di bambino. L'amica, a cui racconto questa storia, mi dice che anche suo figlio, quando aveva sui quattro-cinque anni, dimentico' ogni noia di fronte ad altre ninfee del pittore, e fece delle osservazioni che dimostravano una interrelazione fra lui e il dipinto.
La stessa amica mi mette in mano un libro piccolo e raffinato su Monet, scritto proprio per giovanissimi interlocutori del pittore. La protagonista e' una bambina svedese di nome Linnea, la quale va alla scoperta di Monet a Parigi e nella casa di Giverny insieme a un suo anziano amico, il signor Bloom. Il libro, di appena 53 pagine in formato 16x24, scritto sotto forma di diario della bambina, dimostra come sia possibile unire la correttezza dell'informazione a una scrittura semplice, viva e affascinante per ogni eta', il tutto illustrato da una serie di nitide immagini consistenti in disegni originali e nella riproduzione di alcuni dipinti di Monet.
In libreria mi dicono che e' ancora in commercio, anche se, forse, di non facile reperimento. Comunque lo segnalo qui:
BJORK/ANDERSON, Linnea nel giardino di Monet, Giannino Stoppani edizioni, Bologna 1992.
A quanto ho potuto vedere su Internet, la "Giannino Stoppani" e' una cooperativa culturale con sede a Bologna (Via Nazario Sauro, 21, tel. 051/6154463). L'indirizzo elettronico e'
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