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Bioetica e biotecnologie. Ma l'uomo rimane sempre lo stesso....
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Articolo di Cinzia Colosimo
30 settembre 2002 19:16
 
La cornice e' quella di un piccolo paesino toscano di provincia, racchiuso fra le mura di un castello e intrappolato nelle verdi distese delle colline pisane. Il quadro invece, l'oggetto vero e proprio della mia riflessione, mostra i tortuosi e contraddittori cammini di una non-scienza, quale quella della bioetica. Una non-scienza che detiene l'impegnativa responsabilita' di giudicare cio' che e' o non e' eticamente accettabile nel campo della ricerca, della sperimentazione e delle applicazioni scientifiche. Infatti il convegno del 27 e del 28 settembre, tenutosi a Lari, ha tentato di sottoporre ad un'analisi piu' o meno approfondita questa materia, che con il tema "Bioetica e Biotecnologie", racchiudeva i vari rami e le possibili argomentazioni. Tra i relatori, membri del Comitato Nazionale di Bioetica, professori, docenti e ricercatori, ciascuno dei quali argomentava le proprie tesi con la cautela e la previdenza tipici dei temi cosi' delicati. Poche, a dire la verita', le posizioni nettamente schierate nei campi che, anche se spesso indirettamente, possono influire in modo tangibile sulla vita della comunita' sociale. Campi che vanno dagli Ogm destinati ad uso alimentare, alle normative giuridiche sulla ricerca scientifica, all'attualissimo dibattito sulle cellule staminali. Interessante si e' rivelato il fatto che da una disciplina gia' di per se multiforme, come la "scienza" in senso lato, siano emerse considerazioni filosofiche, storiche, sociologiche e talvolta religiose.

Questo mischiarsi ambiguo non ha molto contribuito ad un'informazione squisitamente "tecnica", mentre ha aperto invece la strada a lunghe disquisizioni in materia di opinione pubblica, in materia di "vox populi". Il venerdi' infatti ha visto l'aprirsi del convegno con una tavola rotonda dal tema "Gli Ogm oggi e domani", in cui il Prof. Sergio Bartolommei, relatore e docente di Bioetica alla Facolta' di Filosofia all'Universita' di Pisa, ha brillantemente spiegato come la famigerata opinione pubblica, oltre ad essere profondamente disinformata, sia di fatto prevenuta verso molte forme di sviluppo scientifico. Oltre che dissacrante, questo tipo di impostazione tende ad alimentare speculazioni (spesso illiberali) dettate dall'emotivita', e poco dall'analisi pura e razionale. La stessa analisi vale per le biotecnologie in generale, ma diventa ancora piu' complessa quando la ricerca scientifica include direttamente la "razza" umana, che al contempo diventa oggetto e soggetto dell'indagine. In particolar modo per quanto riguarda lo studio e i possibili usi delle cellule staminali, in quel processo definito col nome di "clonazione terapeutica". Il Prof. Giulio Cossu, Professore Ordinario di Istologia ed Embriologia all'Universita' di Roma "La Sapienza", ha su questo tema svolto un'interessante relazione, che, partendo dal procedimento tecnico dell'operazione ne mostrava poi le opportunita' terapeutiche. Il punto nodale della questione, quello che insomma solleva i problemi etici o morali, riguarda lo studio delle cellule staminali, quando queste sono presenti nell'embrione al quinto o sesto giorno di vita, ossia nella cosiddetta fase di blastocisti. Ma strettamente correlato a questo problema, vi e' il dato di fatto dei migliaia di embrioni in "soprannumero" inutilizzati nelle cliniche per la fecondazione assistita.

Essendo per natura curiosa, ho cercato di sapere che fine fanno questi embrioni, dal momento che rimangono crioconservati per un certo periodo di tempo. Ebbene, ho saputo che dopo 5 anni, gli stessi embrioni vengono "scongelati" e gettati via. Devo ammettere che l'idea di creare appositamente degli embrioni al solo fine della ricerca mi lascia un po' perplessa, soprattutto per la poca padronanza della materia. Ma allo stesso tempo trovo altamente immorale il fatto che embrioni gia' esistenti, e di fatto destinati alla distruzione, non possano essere donati dalle coppie, o comunque in qualche modo utilizzati per la ricerca e le possibili sperimentazioni. E su questo punto lo stesso prof. Cossu mi ha dato da riflettere quando, con dati alla mano, ha spiegato che la probabilita' di un embrione crioconservato, destinato alla ricerca, di vivere autonomamente, sia di 1 su un miliardo. Il prof. ha continuato poi con una riflessione personale ambigua ma forte: "Creare un embrione a fine di ricerca, scatena questioni intime delicate. Allo stesso tempo non si ottengono risultati scientifici senza ricerca. E le decine di migliaia di embrioni congelati sono la possibilita' e l'alternativa morale per la ricerca e la sperimentazione". Ora, al di la' di considerazioni moralistiche sul rispetto per la vita, considerazioni che seppur ovviamente lecite, spesso confluiscono in speculazioni poco laiche, rimane il fatto che gli embrioni in soprannumero oggi ci sono, e a meno che l'evoluzione non impazzisca e li faccia crescere senza un utero che li ospiti, senza una famiglia biologica e affettiva, questi rimarranno destinati alla morte.

Purtroppo da anticlericale convinta, quello che mi inquieta e' che ci si scandalizza ancora se un Testimone di Geova rifiuta una trasfusione, ma non ci si scandalizza se un esponente piu' o meno eminente della Chiesa detta legge in materia di coscienze altrui. Recidere i legami con una mentalita' troppo spesso oscurantista, non significa necessariamente permettere all'uomo di giustificarsi l'innata pazzia. Come non significa oltraggio e insulto verso valori come la vita, la crescita, ma anche la ricerca e lo sviluppo. Sono molto giovane, e sinceramente non so dove stia la giusta misura, ma per quel poco che so, capisco che non mi va che la scienza debba essere sempre subordinata ad una religiosita' ancestrale e talvolta aggressiva. Le manifestazioni "pubbliche" di questo atteggiamento non sempre sono correlate alla religiosita' visibilmente attiva. Forme piu' sottili di freni e di ostacoli li ritroviamo nelle stesse normative che regolamentano le biotecnologie in generale. La Prof.ssa Eleonora Sirsi, Ricercatore e Docente di Diritto Agrario alla Facolta' di Giurisprudenza di Pisa, in questo campo ha portato l'esempio del cosiddetto "principio di precauzione", principio utilizzato come parametro regolativo. In sostanza, se la scienza da' risposte controverse sui rischi irreversibili e non di una determinata applicazione, l'amministrazione pubblica deve prevedere "freni" e limiti all'azione scientifica. In tal modo l'assenza di risposte "certe" fa scattare questo tipo di intervento. Il problema e' che, da quel poco che so, di certezze su cui confidare non e' che ce ne siamo moltissime; e se in base a questo principio l'azione scientifica dovesse bloccarsi ad ogni incertezza, allora il salto da sosta a fermata diventerebbe brevissimo. Ma allora chi decide come impostare il Freno? Leonardo da Vinci avrebbe risposto: "La necessita' e' maestra e tutrice della natura. La necessita' e' tema e inventrice della natura, e freno e regola eterna".

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