Sara' sepolto oggi il dirigente cocalero Casimiro Huanca, ucciso dalle forze armate dislocate in Chapare lo scorso 3 dicembre, la stessa giornata in cui un altro morto si era aggiunto alla lista nera, dopo 15 giorni di agonia in ospedale.
Dal 1987 ad oggi sono 53 i cocaleros morti, tra cui anche bambini e donne: gli ultimi scontri dal 27 settembre di quest'anno hanno prodotto ben sette morti. 600 sono state le persone ferite. Oltre 4 mila quelle detenute illegalmente, con denunce di torture e maltrattamenti.
Il Difensore del Popolo condanna quest'ultimo fatto di sangue e chiede un'indagine perche' vengano chiariti i fatti e si individuino i responsabili. Il Governo se da un lato incolpa il leader dei cocaleros Evo Morales per l'inasprirsi della situazione, dall'altro lo valuta come un 'semplice' incidente. Tuttavia sara' una commissione militare che indaghera' al suo interno per verificare le responsabilita'.
Il movimento dei cocaleros e' diviso al suo interno. I dirigenti emergenti Luis Cutipa e Delfin Oliveira, rappresentano l'ala piu' intransigente rispetto a Morales, e sostenitori dell'idea di creare un esercito cocalero per la propria difesa. Morales e' attaccato anche dall'esterno. In Parlamento e' iniziato un procedimento per revocargli l'immunita', una sorta di commissione parlamentare ha espresso un giudizio sul suo operato da deputato poco ligio ai suoi doveri, poco presente in aula e poco attivo. Questa vicenda comunque gioca a suo favore, nel farlo apparire una sorta di vittima simbolo da difendere.
Il problema di fondo e' che il Governo di Jorge Quiroga continua nella linea dura di 'coca zero', cercando di venire incontro a quei coltivatori di coca che decidono di convertire le proprie piantagioni. L'ultima offerta e' quella dei 73 Usd mensili per 15 mesi alle famiglie che accetteranno la conversione, promettendo anche un mercato garantito e supporto con pesticidi. I cocaleros ufficialmente insistono sulla richiesta del 'cato di coca' (un terzo di ettaro a famiglia da coltivare a coca), e se tra loro c'e chi sarebbe disposto ad accettare l'offerta dell'esecutivo, c'e' anche chi e' pronto a scatenare una vera e propria guerriglia, che si risolverebbe in un suicidio collettivo, viste le forze in campo.
Il presidente Quiroga, non e' un militare come il suo predecessore Hugo Banzer, ma dal punto di vista della repressione militare in Chapare abbinata alla meta di 'coca zero', non si e' distinto da Banzer e la lista dei morti tra le fila dei cocaleros lo dimostra. Quiroga deve evitare il congelamento dei finanziamenti internazionali, piu' che necessari vista l'economia del Paese.
Nel mercato del narcotraffico mondiale la Bolivia occupa l'uno per cento della produzione, ma appartenere alla lista nera limita le sue possibilita' di inserirsi nei mercati internazionali. In questi giorni Quiroga, in pellegrinaggio negli Usa, ha cercato di confermare l'impegno per far uscire il suo Paese dal circuito di quelli produttori di droga, le cronache giornalistiche lo raffigurano come uno che si muove bene ('como Pedro por su casa'), mentre si prende complimenti per la linea dura e irreversibile che ha intrapreso contro la coca, ma questo non basta.
La coca in Bolivia cresce quasi da sola, si vende bene ed e' ben pagata, finche' ce ne sara' richiesta da parte dei Paesi consumatori. Per molte famiglie e' l'unica fonte di sostentamento, le offerte per la conversione delle piantagioni sono allettanti, ma la sfiducia su cosa accadra' dopo i 15 mesi di garanzia, frenano molti; gli altri contadini non se la passano certo bene e il Paese non versa in condizioni economiche buone. Tutto fa supporre che sara' difficile che si arrivi ad una soluzione definitiva in tempi brevi.