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Brasile. L'esercito dei piccoli soldati, i numeri di una guerra
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Articolo di Donatella Poretti
9 settembre 2002 22:39
 
5.369 minorenni "lavorano" armati in 337 "bocas-de-fumo", i punti dello spaccio, nella sola regione metropolitana di Rio de Janeiro, dove in forma indiretta il numero dei minori legati al narcotraffico arriva a 7.000. Questi i numeri della ricerca dell'Istituto Brasiliano di Innovazione nella Salute Sociale (Ibiss).
Contemporaneamente l'Iser, l'Istituto Superiore di Studi della Religione, con il movimento "Viva Rio", ha realizzato uno studio sulle morti di questi ragazzi, i "bambini soldati", o "bambini combattenti", come vengono chiamati nella gerarchia del narcotraffico delle favelas di Rio de Janeiro. Lo studio rivela che il numero dei minori morti per arma da fuoco a Rio e' maggiore che nelle zone in guerra. I conflitti armati in Colombia, Sierra Leone, Jugoslavia, Afghanistan, Uganda e Medio Oriente, da quando sono iniziati fino al 2000, hanno ucciso meno bambini e meno adolescenti che i conflitti quotidiani di Rio tra il 1997 e il 2000. In Israele, nel conflitto con i palestinesi, per esempio sono morti 467 minori tra il dicembre 1987 e il novembre 2001. Nello stesso lasso di tempo, a Rio i minori morti per arma da fuoco sono stati 3.937. Nel 1999 in tutto lo Stato della California sono stati 163 i morti, nello stesso anno, nella sola citta' di Rio i morti sono stati 216, un tasso otto volte maggiore rispetto ai minori coinvolti.

Ogni 20 minuti una persona passa attraverso il "Disque-Denuncia", un telefono per le denunce sulla violenza e il narcotraffico, anche anonimo, per dare informazioni sulla localizzazione delle "bocas-de-fumo" o per raccontare episodi di violenza dei trafficanti. Delle 300 telefonate ricevute al giorno, il 38,2% riguardano il narcotraffico, un aumento del 6% rispetto al 1998. Le cifre sono motivo di soddisfazione, e se studiate offrono uno spaccato sul cambiamento che sta avvenendo nelle favelas. Se venti anni fa i capi della droga a Rio si conquistavano il silenzio degli abitanti con una pratica assistenzialista, pagando i funerali, distribuendo i beni alimentari essenziali e alle volte, compiendo il ruolo dello Stato, oggi questa relazione e' cambiata, i trafficanti si impongono seminando il terrore, e circa un milione di abitanti sono ostaggio della paura e della violenza. "I trafficanti negli anni Ottanta erano piu' vecchi, non consumavano droghe e erano della comunita'. Oggi sono piu' giovani, cominciano a tirare cocaina molto presto, diventando aggressivi anche per questo, e molti non sono cresciuti nelle favelas. Sono invasori", commenta Marina Maggessi, capo ispettore del Settore Investigazioni del Dipartimento di Repressione degli Stupefacenti.
Anche il sociologo Ignacio Cano ritiene valida questa interpretazione, il trafficante e' visto dagli abitanti delle favelas sempre piu' come "un invasore e un nemico e si comporta come tale". "Il dominio e' sempre stato fatto attraverso l'oppressione, la minaccia. La protezione che esisteva anticamente era fragile, dipendeva comunque dalla conoscenza, dalla relazione di fiducia tra il protetto e il protettore. Il potere della vita e della morte ha sempre comandato. Oggi c'e' un'evoluzione in relazione all'eta'. I trafficanti muoiono sempre piu' giovani, onnipotenti e senza esperienza. Il traffico e' anarchico, non ha un ordine di lealta'. Le relazioni sono imposte attraverso il potere delle armi", commenta il coordinatore del movimento "Viva Rio", Rubem César. Per il politologo Joâo Trajano, nonostante i progressi del Brasile nella democrazia, "esiste questo potere dispotico derivato dall'assenza dello Stato" che lascia sempre piu' escluse le favelas, "i ragazzi che entrano nel narcotraffico, per esempio, non hanno niente da perdere, giacche' niente e' loro offerto. Fanno parte di una schiera considerata gia' morta per il mondo".
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