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Brasile. La legalizzazione delle favelas e il narcotraffico
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Articolo di Donatella Poretti
21 gennaio 2003 21:42
 
L'idea e' quella del sociologo peruviano Hernando De Soto, che il neopresidente brasiliano, Luiz Ignacio Lula da Silva ha fatto sua fin dai primi giorni dal suo insediamento. Secondo la teoria di De Soto concedere titoli di proprieta' delle baracche e del terreno sul quale risiedono a migliaia di persone, per legalizzarle, avrebbe l'effetto di far emergere milioni di dollari immobilizzati nel sommerso, e offrire a chi ha una casa -ma non il titolo legale di proprieta'- la possibilita' di accedere a crediti bancari e creare cosi' un mercato legale di investimenti e di lavoro.

La traduzione in pratica e' storia di queste ore, ed essendo la prima, presenta i suoi problemi. Il ministero della Giustizia ha deciso di delegare i poteri direttamente alle associazioni degli abitanti per regolarizzare la proprieta' dei lotti nelle favelas. Il capo gabinetto del ministero, Sérgio Sérvulo da Cunha, ha terminato la redazione di un decreto che autorizzera' le associazioni di abitanti a rilasciare i "certificati di proprieta'" dei terreni. Questi certificati potranno essere utilizzati come garanzia in un eventuale programma di credito che verra' offerto alla popolazione a basso reddito. Secondo il decreto, avranno diritto al certificato gli abitanti che vi risiedono da piu' di un anno. Saranno escluse le zone a rischio, quelle degradate o con vincoli ambientali. Gli abitanti dovranno redigere una dichiarazione in cui descrivono l'abitazione accludendo i propri dati personali. Inoltre dovranno aggiungere testimonianze dei vicini o documenti (bollette della luce, dell'acqua, ecc) attestando che vi risiedono da piu' di un anno. La documentazione sara' presentata alle associazioni degli abitanti. Non avranno diritto al certificato chi ha occupato il terreno con l'uso della violenza. Le associazioni di abitanti potranno rilasciare i certificati ma senza trarne lucro.
Le prime critiche sono arrivate dalla categoria degli ingegneri, che si vedono defraudati del loro lavoro, essendo infatti completamente esonerati da questa operazione. Valga per tutti il commento del presidente del Consiglio Regionale di Ingegneria e Architettura di Rio de Janeiro, Reynaldo Rocha Barros: "sara' uno stimolo alla costruzione abusiva. Con il decreto, il Governo sta dicendo: occupate, perche' bastera' provare che voi avete comprato un mattone, che noi legalizzeremo. Questo stimolera' l'anarchia, perche' tutti andranno a costruire in maniera irregolare. Chi e' obbligato a fare tutto seguendo le regole, come restera' davanti a questa situazione?".

Ma, a parte le rivendicazioni di categoria, il problema pratico potrebbe essere un altro. Le favelas, abbandonate dallo Stato e dai poteri pubblici, hanno altre leggi e altre regole, e spesso sono quelle del narcotraffico.
Nel giugno dell'anno scorso, il quotidiano brasiliano "O Globo" aveva pubblicato un reportage basato su un documento dell'Assemblea legislativa di Rio de Janeiro mostrando il potere parallelo del traffico di droghe nei movimenti delle comunita'. Una ricerca della Commissione contro la Violenza e l'Impunita' dell'Assemblea relativa agli anni 1992-2001 identificava circa 400 capi delle comunita' povere legati alla criminalita'. Altri 400 sono stati assassinati o espulsi dai trafficanti. Secondo il deputato Carlos Minc, che presiede la commissione, non si puo' affermare che la maggior parte delle associazioni di abitanti delle favelas sia dominata da trafficanti, ma comunque sono molti i dirigenti che hanno rapporti con i criminali.
Il piano della commissione era, a partire dalla relazioni sulle comunita', quello di fare delle riunioni con le autorita' di sicurezza e con le organizzazioni non governative, Chiese e associazioni di abitanti. Di fronte alla relazione dell'Assemblea, un leader di una comunita' era arrivato a dire che piu' di 200 dirigenti delle associazioni delle favelas erano stati giustiziati dai narcotrafficanti nel decennio degli anni 90.
I deputati ad esempio sapevano di casi come quello dell'ex presidente della Federazione delle Favelas dello Stato di Rio de Janeiro, João Passos, che era morto di una emorragia cerebrale il 15 aprile, a 60 anni. Quattro giorni prima, a Passos gli era venuto un infarto, mezz'ora dopo essere stato obbligato da trafficanti di droghe a legittimare la presidenza di una associazione di abitanti di una favela a Penha.
Il sociologo Geraldo Tadeu, studioso delle relazioni tra il narcotraffico e le comunita', aveva precisato, in quel reportage di "O Globo", che il coinvolgimento dei capi comunitari con i trafficanti era una regola. Secondo Tadeu, la mancanza del potere pubblico nelle favelas aveva aumentato il potere dei trafficanti.

La situazione che potrebbe venirsi a creare sarebbe che la legalizzazione delle favelas dovrebbe passare dalle autorizzazioni rilasciate dal narcotraffico. E l'ipotesi non sembra poi troppo peregrina. Ancora una volta lo Stato avrebbe l'aspetto e il volto del narcotraffico, arrivando a concedere quei titoli di proprieta' tanto agognati dai milioni di brasiliani che vivono nelle favelas. L'ennesimo effetto distorsivo dell'illegalita' senza fine che genera il proibizionismo sulle droghe, se ce ne fosse stato bisogno.
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