testata ADUC
Cancro alla prostata. Ancora dubbi sull'efficacia dell'analisi preventiva di massa
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
7 aprile 2011 18:04
 
Si possono salvare delle vite se tutti gli uomini, dopo i cinquant'anni, si sottopongono a screening per scoprire un tumore alla prostata? Oppure le analisi a cadenza regolare inducono a terapie inutili con pesanti effetti collaterali? Un nuovo studio svedese conferma che il danno supera il beneficio.

In Germania il cancro alla prostata è quello più diffuso tra gli uomini; ogni anno vengono diagnosticati 64.000 casi e i decessi sono 11.500, secondo l'Istituto Robert Koch. Per tentare di ridurne il numero, le speranze sono riposte nell'individuazione precoce. Questa l'idea: se tutti gli uomini a partire da una certa età fanno l'analisi, i casi mortali possono diminuire.
Invece alcune ricerche segnalano che l'indagine a tappeto può sì aiutare singoli casi, ma nello stesso tempo è un male poiché i tumori alla prostata di solito si sviluppano molto lentamente. Capita così che un uomo con un cancro alla prostata viva per anni senza soffrire di alcun disturbo, ed è probabile che muoia per tutt'altra causa. Ma se il tumore viene scoperto dall'indagine a tappeto, egli diventa automaticamente un paziente oncologico, e gli effetti collaterali della terapia possono causargli impotenza e incontinenza.
Una ricerca del 2009 ha mostrato che per impedire un decesso per tumore alla prostata ci volevano 1.400 uomini sottoposti a screening e 48 pazienti in cura. In questo solco si muove anche uno studio svedese, pubblicato su British Medical Journal. E' vero che con lo screening si può ridurre il numero di morti per cancro alla prostata, ma il rischio di trattamenti non necessari è molto alto.
L'équipe di Gabriel Sandblom del Karolinska Institut di Stoccolma ha seguito per vent'anni i casi di tumore alla prostata nella città di Norrkoeping. La durata rende lo studio interessante.

Più diagnosi di cancro nel gruppo soggetto a screening
I medici hanno tenuto conto di tutti gli abitanti maschi di Norrkoeping che all'inizio dello studio, nel 1987, avevano dai 50 ai 69 anni. (Sotto i 50 il tumore alla prostata è molto raro; la diagnosi riguarda in media uomini di 69 anni). Un sesto degli abitanti maschi, 1.494, veniva invitato ogni tre anni a fare un esame per l'individuazione precoce; gli altri 7.532 formavano il gruppo di controllo. In tutto ci sono state quattro scadenze, rispettate dal 70-78% degli uomini. I primi due test sono consistiti in un'esplorazione rettale, nel terzo e quarto è stata aggiunta la misurazione del PSA, che è la concentrazione dell'antigene specifico prostatico nel sangue; se questo valore risultava alto, si eseguiva una biopsia per confermare o smentire il dubbio di tumore.
I dati emersi dalla ricerca:
- Casi di cancro: durante l'individuazione precoce i medici hanno rilevato 43 tumori alla prostata; in altri 42 casi il tumore è stato scoperto tra una scadenza e l'altra. Complessivamente, i casi positivi nel gruppo dello screening sono stati il 5,7%; in quello di controllo il 3,9%. Nel primo sono stati scoperti più tumori in stadio precoce.
- Casi di morte: nel gruppo dello screening sono morti 30 malati di cancro alla prostata, il 2% dei partecipanti; nel gruppo di controllo erano 130, ossia l'1,7%. I ricercatori hanno poi calcolato quanti uomini con una diagnosi di cancro alla prostata sono morti per questa causa. E' risultato che i partecipanti allo screening godevano di qualche opportunità in più. Il 35% è morto di cancro, contro il 45% nel gruppo di controllo.
L'indagine a tappeto e il conseguente trattamento riducono la mortalità al massimo di un terzo. Ma il prezzo da pagare è un eccesso di diagnosi e di trattamenti inutili. Contro il cancro alla prostata si opera, si usano i raggi o s'interviene con terapia ormonale. In più c'è la "osservazione attiva" dei tumori meno aggressivi, vale a dire che si ritarda la terapia fino a quando il tumore ha veramente bisogno di un intervento o se è il paziente a richiederlo. Si potrebbe anche decidere di eseguire il test PSA solo tra individui ben informati sui rischi e i benefici dell'individuazione precoce, sostiene Sandblom. "Credo che lo screening di tutti gli uomini non sia una buona idea".

Ricerca già vecchia al momento della pubblicazione

Lo studio svedese ha qualche punto debole. Intanto perché il numero dei partecipanti è piuttosto basso rispetto a studi analoghi che arrivano anche a 182.000 partecipanti. I suoi dati sono perciò da prendere con molta cautela. "Lo studio è troppo piccolo per poter rilevare differenze nella mortalità dovuta al cancro alla prostata", sostiene anche lo statistico sanitario Hans-Hermann Dubben della clinica universitaria di Hamburg-Eppendorf.
Dubben ha riassunto in un articolo specialistico i problemi comuni alle ricerche di lunga durata. A proposito di quest'ultima, fa notare che i risultati dello studio si riferiscono a un gruppo che ha cominciato a partecipare allo screening 24 anni fa, e che da allora, la popolazione, la diagnostica e le opportunità di cura sono cambiati. "Il risultato è senza dubbio obsoleto. E per questi motivi, anche gli esiti di future ricerche di lungo corso saranno obsoleti". Nello studio svedese la cosa è molto evidente: per i primi due, dei quattro screening effettuati, ancora non era disponibile il test PSA.
Eppure, lo studio ci dà un risultato interessante, dice Dubben: l'eccesso di diagnosi è evidente. "Su 55 uomini del gruppo screening, solo per uno si ha una diagnosi di cancro con conseguente terapia più o meno aggressiva, di cui in fondo non avrebbe bisogno. Dovrebbe essere un chiaro monito", chiosa.

In Germania la decisione se sottoporsi o no al test PSA spetta al singolo uomo. Ove manchi il dubbio, il sistema sanitario non copre la spesa del test, che varia da 15 a 45 euro. Viceversa, la prova rettale una volta all'anno, a partire dai 45 anni, è gratuita.

I medici svedesi propongono d'indagare meglio in un'altra direzione. Si dovrebbe poter trovare il modo di distinguere i tumori leggeri da quali aggressivi, e di scoprire terapie per i primi, che siano esenti da effetti collaterali.

(articolo di Nina Weber per Der Spiegel del 01-04-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS