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Cani. E all'improvviso non vuole più solo giocare
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Articolo di Peter Stenitzer
29 aprile 2010 13:46
 
Germania. L'attacco mortale di un incrocio di husky a un bambino conferma che l'aggressività canina non è questione di razze, bensì di come il cane è stato allevato.
Nel fine settimana, a Cottbus un incrocio di husky ha buttato a terra la carrozzina con dentro un bambino di otto settimane; l'ha azzannato e il bambino è morto. Era il cane di famiglia e la sua razza non è tra quelle definite "da combattimento". Diversamente da altri episodi simili avvenuti negli anni scorsi, l'husky non era stato addestrato dai suoi padroni per difendere o attaccare. Eppure, qui si dimostra quanto gli esperti sostengono da tempo: l'aggressività non dipende dalla razza; quel che conta è il corretto rapporto uomo-cane.
Benché la legge per la "lotta ai cani pericolosi" sia in vigore da dieci anni, le aggressioni a persone continuano a capitare. (...) Le cronache attribuiscono gli attacchi quasi sempre alle stesse razze -bull terrier, american staffordshire terrier, pitbull terrier- per citarne solo alcune. Sono razze che la legge classifica come pericolose; non solo loro, ma anche gli incroci tra queste razze, più alcune altre menzionate nelle specifiche normative regionali. Il termine è "cane da combattimento". In effetti, se si guarda alla loro storia, la definizione ha un senso. Pit bull terrier, bull terrier e staffordshire terrier venivano addestrati proprio per i combattimenti. Nell'antica Roma, il mastino napoletano, che in alcuni Laender è inserito nell'elenco dei cani pericolosi, serviva per i combattimenti al Colosseo o nei campi di battaglia. Il dogo argentino, anche lui presente in alcune liste nere, in Sudamerica era addestrato a cacciare i felini. E tuttavia, non è la loro storia a renderli pericolosi.
"Non si può ancorare la definizione di cane da combattimento a una razza. Le razze sono composte di molti individui con una loro particolare storia di vita e un comportamento sociale specifico con la propria o le proprie persone di riferimento. Il fulcro è questo: come è stato allevato l'animale? come e con quale affidabilità il suo comportamento è stato plasmato dalla o dalle persone cui si riferisce? Un cane pericoloso è un essere che non è stato socializzato, che non conosce i rituali del comportamento con l'uomo, che non ha zone tabù e non conosce la giusta distanza dall'uomo. La razza riveste, ammesso che entri in gioco, un ruolo inferiore", dice l'etologa Dorit Feddersen-Petersen dell'Università Christian Albrecht di Kiel, esperta di comportamento canino e famosa a livello mondiale.
Ma allora perché il legislatore menziona esplicitamente certe razze?
"Esiste un retroterra complesso. Molte razze hanno la fama d'essere aggressive, particolarmente forti e coraggiose. Per questi motivi sono ambite in certi ambienti criminali. Ma non è l'animale a essere responsabile delle azioni che fa; è il suo padrone, spiega Franz Breitsamer, del governo bavarese ed esperto in materia.
Poiché in Germania non si può impedire a qualcuno di tenere un cane se non per motivi ben precisi, il legislatore ha pensato di redigere l'elenco di quelli pericolosi. Però, secondo Breitsamer, sarebbe molto meglio se le autorità competenti proibissero a determinate persone d'avere un cane. Anche una ricerca dell'Università di Hannover, condotta dalle veterinarie Angela Mittmann e Tina Johann, porta a concludere che non è la razza a rendere pericoloso il cane. La signora Mittmann ha valutato il comportamento di 415 esemplari delle razze american staffordshire terrier, bull terrier, rottweiler, dobermann, staffordshire bull terrier e alcuni tipi di pitbull, mentre il gruppo di controllo era rappresentato da 70 golden retriver, considerati mansueti. Il test è consistito nel sottoporre i cani a varie situazioni che possono indurlo a reagire, ed è il test voluto dal legislatore per stabilirne l'aggressività.
Nessun nesso tra razza e aggressività
Lo studio non ha rilevato differenze significative tra le varie razze in merito a comportamenti aggressivi.
Un cane dovrebbe saper difendere se stesso e il suo padrone da un attacco, dice Breitsamer, "ma non reagire con violenza a qualsiasi stato d'irritazione". Stato d'irritazione per un cane è semplicemente "qualcosa di diverso". Per esempio, si può agitare di fronte a un disabile motorio che cammini in modo strano. Sta al suo padrone saper gestire una situazione di quel tipo. E non sempre ci si riesce.
"Molti padroni non sanno educare il loro cane in modo da renderlo sicuro oppure si limitano a stabilire un buon rapporto tra loro due. Così capita che l'animale non sappia cosa ci si aspetti da lui e quale sia la zona tabù", spiega Feddersen-Petersen.
I cani discendono dal lupo e perciò tendono a vivere in branco. Il cane ha bisogno di una guida, deve adeguarsi al comportamento dell'uomo e imparare che è sempre l'uomo il capobranco. "Con cani ben addestrati capitano raramente degli incidenti", dice Breitsamer. Sembra logico. A quelli da combattimento si attribuisce una qualità aggiuntiva: riescono a mordere con più forza degli altri. Ma l'etologa ribatte che non è mai stato scientificamente provato. Non esiste nessun studio che dimostri questa forza superiore nei cani da combattimento, conferma Breitsamer, che però aggiunge: "per mia esperienza, un bull terrier o un rottweiler hanno probabilmente più forza di un hovawart o di un golden retriever".
Il paragrafo 28, capoverso 1, della normativa sulla sicurezza stradale prescrive che una persone debba essere "idonea" a tenere un cane considerato pericoloso. Cosa non facile da controllare. Le regole sono così severe che è quasi impossibile ottenere l'autorizzazione. A Monaco, per esempio, bisogna inoltrare la richiesta all'autorità competente, cui va aggiunto un attestato d'idoneità e un certificato rilasciato dal Comune; inoltre bisogna dimostrare d'essere in grado di mantenere il cane in buone condizioni; sono prescritti anche un microchip e l'assicurazione per la responsabilità civile, oltre a "un interesse giustificato per il suo possesso". Interesse giustificato potrebbe essere anche la ricerca scientifica. Ma tutte queste regole non impediscono che in città vi siano almeno un centinaio di animali illegali, ritiene Breitsamer.
I cani hanno bisogno del capobranco
Molti prendono un cane senza sapere come ci si comporti con i quattrozampe. Che hanno bisogno di un ordine gerarchico stabile e di essere occupati -la semplice giratina sotto casa non gli può bastare.
Un cane ha dunque bisogno di una guida e vorrebbe vedersi assegnati dei compiti dal suo capobranco. Feddersen-Petersen suggerisce: "Chi vuole avere un cane farebbe bene a chiedere consiglio a un veterinario esperto di comportamento canino". Consiglio di solito bellamente disatteso. E spesso la conseguenza è uno stato di stress per l'animale e il suo proprietario.
La soluzione potrebbe essere un patentino che si ottiene dopo aver dato un esame. In realtà l'esame esiste già: si chiama Dogs-Owner-Qualifications-Test (D.O.Q.) e consiste in una parte pratica e una teorica; dura due ore, e s'incentra sulla natura e la cacapità di ubbidire del cane in oggetto. In linea di massima lo si può fare presso ogni veterinario. Il guaio è che è su base volontaria e costa 150 euro -soldi che molti preferiscono risparmiare, mentre invece potrebbero garantire un rapporto migliore tra il cane e il padrone e l'ambiente circostante.
Sia Breitsamer che Feddersen-Petersen concordano che un patentino aiuterebbe a migliorare la situazione. Ma è di competenza regionale, e dunque non si arriverà mai ad avere una normativa unitaria.

(traduzione di Rosa a Marca dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung del 29/04/2010)
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