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Cannabis terapeutica e il caso Cinquini: il giudice ha fatto il suo dovere, il problema e' la legge Fini-Giovanardi!
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Articolo di Carlo Alberto Zaina
23 dicembre 2013 11:49
 
Desidero esporvi la mia personalissima riflessione sulla vicenda del dott. Fabrizio Cinquini.
Ritengo che si debba tenere separato il diritto dalla politica e che, invece, si corra il rischio di una confusione fra i due profili.
Il dott. Cinquini è stato condannato da un giudice al termine di un processo penale, che non mi pare affetto da arbitrarietà.
Si può non condividere l'esito del processo stesso.
Taluno può ritenere che l'imputato avrebbe potuto essere assolto in virtù dell'applicazione di circostanze scriminanti. Tal'altro può non condividere la quantità di pena inflitta, perchè all'imputato avrebbero potuto essere concesse talune attenuanti.
Altro ancora può criticare la scelta di non sospendere il giudizio in attesa della decisione della Corte Costituzionale in merita alla legittimità della L. 49/2006, fissata per il prossimo 11 febbraio.
Si tratta di critiche, che, tutte seppure all'apparenza legittime e formulabili, scontano la fondamentale mancata conoscenza del processo, che è patrimonio proprio solo del dott. Cinquini e dei suoi difensori, i quali sono gli unici depositari di quanto avvenuto processualmente.
Dunque, non si può andare oltre a generiche valutazioni (che ribadisco non possono avere la pretesa di essere esaustive), in quanto tentare di discettare ulteriormente, costituirebbe atto di presunzione che soffrirebbe senza dubbio due limiti oggettivi.
Il primo è costituito - come detto - dal volere valutare un fatto-processo, non possedendo tutti quei dati cognitivi di fatto e di diritto, assolutamente necessari.
Il secondo, ancor più importante, consiste nel dimenticare che il processo penale (e/o civile) costituisce il momento di applicazione da parte del giudice della legge vigente.
Dunque non è tanto (o solo) il procedimento giudiziario a dovere essere investito dalla critica, bensì deve essere la legge da applicare (nella fattispecie il dpr 309/90 modificato dalla L. 49/2006) a dovere formare oggetto di dibattito, pena la confusione.
Non intendo, inoltre, ergermi a difensore dei magistrati (cosa che non mi è affatto congegnale) ma credo che lo sdegno della comunità non possa investire (solamente o prevalentemente) il giudice che ha operato secondo scienza e coscienza e la sentenza (frutto dell'iter valutativo della persona), quanto piuttosto debba indirizzarsi inesorabilmente verso il fatto che in otto anni nessuna forza politica ha sentito la coscienza civica e la necessità giuridico-morale di modificare la legge pur avendo possibilità.
Per parte mia posso, seppure con la cautela data dalla mia ignoranza del caso concreto, manifestare qualche perplessità tecnico-giuridica in ordine al mancato accoglimento della richiesta di sospensione del procedimento per la pregiudiziale costituzionale, questione che viene accolta quotidianamente (anche in Cassazione).
Posso ancora esprimere un prudente dubbio sul quantum di pena e riguardo la mancata concessione di attenuanti in favore dell'imputato.
Escludo, però, che si possa conferire significato politico a questa sentenza, pena incorrere in quell'errore gravissimo proprio di un "signore" che ha sempre giustificato i processi a proprio carico -e la recente sentenza di conferma della condanna di merito da parte della Cassazione - caricando gli stessi di un valore esclusivamente politico e, invece, privandoli del loro valore di esclusivo carattere giurisdizionale e che, per tale orientamento, è sempre stato bersagliato di biasimo di vario genere.
Penso, invece, che lo stesso dott. Cinquini abbia intenso consapevolmente dare un forte ed inequivoco segnale - assumendo su di sè i pesanti rischi personali e de libertate che derivano dal processo penale - perchè persuaso che sia la legge in primo luogo a dovere essere cambiata, e che, su tale abbrivio, certamente potranno cambiare anche gli approcci di coloro che la debbano applicare.
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