testata ADUC
Carceri latinoamericane: scuole del crimine
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
17 settembre 2017 16:16
 
 L’America Latina e’ la regione piu’ violenta del Pianeta Terra, tra quelle che sono fuori da una guerra convenzionale. Secondo stime del Banco Interamericano di Sviluppo, la regione ha il 9% della popolazione mondiale, ma registra un terzo delle vittime di omicidio a livello globale e 6 ogni 10 furti vi sono commessi con l’uso di violenza.
La giustizia non e’ riuscita a far fronte al problema. Il 90%degli assassini non vengono perseguiti e le carceri, che dovrebbero offrire alternative perche’ i reclusi abbandonino il crimine, hanno fallito la loro missione.
Uno ogni tre delinquenti latinoamericani e’ recidivo, la maggior parte per crimini piu’ gravi rispetto a quelli per cui era entrato in carcere la prima volta. Molte delle prigioni piu’ emblematiche dei Paesi della regione sono diventate delle vere e proprie scuole del crimine. Scuole in cui si sviluppa una societa’ parallela, senza controllo da parte dello Stato, e che sono uno dei fattori che contribuiscono alla crisi di sicurezza pubblica che si vive nei vari luoghi dell’America Latina.
In Brasile, per esempio, i gruppi del crimine organizzato, come Primero Comando de la Capital (PCC) e Comando Vermelho, nascono nelle carceri e da li’ coordinano ed espandono le proprie attivita’, fino ad aver messo su una industria transfrontaliera che si estende in Bolivia e Paraguay.
I suoi leader, Marcola e Fernandinho Beira-Mar, rispettivamente, non hanno mai avuto nessun ostacolo per portare avanti i propri piani. E quando le loro forze e i loro alleati si scontrano, il saldo e’ monumentale, obbligando il governo federale ad intervenire con i soldati. Come quella volta, ad inizio di quest’anno, che hanno provocato 140 morti tra i prigionieri, molti dei quali mutilati.
Le molteplici fughe dal carcere del capo del cartello di Sinaloa, Joaquin “el Chapo”, hanno da sole contribuito ad alimentare la sua leggenda, inclusi i tunnel, inganni e tangenti che gli hanno fatto superare le restrizioni piu’ severe. In attesa di sottoporsi ad altre vicende simili, il governo messicano si e’ sentito sollevato quando el Chapo e’ stato estradato in Usa. Per i capi delle organizzazioni criminali, a volte è ancora meglio essere nelle sale dietro i bar che per le strade. Per loro e’ piu’ sicuro perche’ li’ ricevono protezione contro i propri rivali. E’ il caso, per esempio, dei leader delle pandilla Mara Salvatrucha 13 (MS-13) e el Barrio 18 in El Salvador.
Le carceri hanno acquisito un nuovo significato nelal regione. Mentre i membri piu’ giovani delle pandilla possono salire di rango con rapidita’ quando sono dentro piuttosto che fuori, i piu’ vecchi possono approfittare della propria condanna per pensare ed incrementare meglio le loro strategie. Talvolta ci sono prigioni dove le bande interne sono diventate delle vere e proprie istituzioni, con regole e la propria versione della storia. A Puerto Rico, ci sono almeno sette gruppi carcerari che si distinguono: 27, Jibaritos, 25, Huevo, Bacalao, 31 e Neta. Quest’ultimo ha quasi quaranta anni. Le sue regole includono il non rubare, non considerare il proprio compagno come oggetto sessuale e non umiliare i nuovi internati. Tra coloro che vengono accettati come membri ci sono persone addestrate, nell’ambito della tradizione dell’organizzazione, durante gli anni da parte di “maestri”.
L’insicurezza e’ uno dei principali argomenti tra le preoccupazioni urbanaìe, parti fondamentali nelle spese pubbliche dei governi e attrattivi argomenti di campagna elettorale per i candidati, da rio Grande fino alla Tierra del Fuego.
I governi latinoamericani hanno implementato una serie di politiche molto severe per catturare e portare in giudizio i delinquenti. Secondo un confronto tra statistiche, realizzato dal Grupo de Diarios América (GDA), i primo motivi che portano le persone in carcere nella maggior parte degli 11 Paesi monitorati e’ il furto, il tentato furto e alcune infrazione alle leggi sulle droghe. Gli altri motivi, piu’ distaccati, sono: estorsioni (El Salvador), omicidi (Argentina, Colombia, Costa Rica, El Salvador e Venezuela) e violenza sessuale (Peru’).
Secondo Marcelo Bergman, direttore del Centro de Estudios Latinoamericanos sobre Inseguridad y Violencia, con sede in Argentina, il problema delle politiche attivate dai governi latinoamericani e’ che quando arrestano un delinquente, lo stesso viene rapidamente rimpiazzato da un altro. “Il risultato e’ che si riempiono le carceri senza risolvere il problema dei crimini”.
Questo duplice sforzo per catturare e denunciare, opzione preferita per far fronte al crimine e alla insicurezza, non va di pari passo con un miglioramento delle condizioni di detenzione, assicurano gli esperti. Ad eccezione di Puerto Rico, tutti i Paesi dell’America Latina hanno un tasso di affollamento superiore al 100%. Nel caso del Venezuela, la quantita’ di reclusi e’ di quattro volte superiore al numero di posti di tutto il sistema carcerario.
Secondo la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, questi livelli di affollamento generano un “massacro silenzioso” e aggravano i problemi, con malattie ed esposizione dei delinquenti minori a nuovi e maggiori livelli di criminalita’.
Per l’affollamento c’e’ difficolta’ a separare i reclusi in base alla gravita’ del loro reato e, quanta piu’ gente e’ incarcerata, piu’ difficile e’ per gli agenti mantenere controllo ed ordine. Dopo un incendio di un carcere in Cile nel 2010, dove morirono piu’ di 80 reclusi, ci si rese conto che negli stessi padiglioni convivevano persone che erano incarcerate per aver venduto film piratati per strade ed ad assassini.
La sovrapopolazione e’ spesso connessa anche al carcere preventivo. Le cause giudiziarie dei vari casi possono durare anni e le carceri si rimepiono poco a poco di persone che non sono state condannate. Mediamente, il 33,4% dei reclusi della regione sono in carcerazione preventiva.
“Nel fondo del mio cuore, se dovessi andare a scontare una condanna in qualcuna delle nostre carceri, preferirei morire”, ha detto una volta il ministro della Giustizia del Brasile, José Eduardo Cardozo.

(articolo di Amanda Marton Ramaciotti, pubblicato sul quotidiano El Nuevo dia del 17/09/2017)
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS