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Cento anni dopo la Grande Guerra, proclamiamo la Repubblica europea!
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Articolo di Redazione
9 novembre 2018 17:06
 
 Mentre la commemorazione, in Italia e non solo, della Grande Guerra sta avvenendo in pompa magna, una iniziativa abbastanza poco conosciuta, la “European Balcony Project”, celebra il centenario della fine delle ostilità abbozzando l’Europa di domani. Un’iniziativa, avviata dalla politologa tedesca Ulrike Guerot e lo scrittore austriaco Robert Menasse, fa appello agli europei perché proclamino – simbolicamente – la Repubblica europea il 10 novembre alle 16 da più balconi possibile e in tutti i luoghi possibili e immaginabili d’Europa. Dalla Lituania al Portogallo, dalla Gran Bretagna alla Grecia, più di 120 teatri e istituzioni culturali nonché semplici cittadini parteciperanno all’evento che culminerà nella lettura pubblica di un manifesto scritto per l’occasione.
Con questa iniziativa, i promotori intendono ri-editare la proclamazione della Repubblica di Weimar – che fu in realtà proclamata due volte: dal socialdemocratico Philipp Scheidemann da un balcone del palazzo del Reichstag e, due ore dopo, dal comunista Karl Liebknecht dal balcone del castello di Berlino. Al di là del gesto rivoluzionario, l’intenzione di “European Balcony Project”, non poteva essere più lontana dall'avvenimento, in nome del principio di nazionalità, della miriade di repubbliche indipendenti fondate sulle rovine degli imperi multinazionali (tedesco, austro-ungarico, turco) sconfitti nell'autunno del 1918.
Riappropriarsi dell’Europa
La “European Balcony Project” punta il dito sulla responsabilità (o piuttosto irresponsabilità) degli Stati membri nella crisi politica profonda, che dura da tempo e con varie sfaccettature che attraversa l’Unione europea cento anni dopo. Sempre pronti a far valere il loro “interessi nazionali” al di sopra dell’interesse generale europeo, tra cui aizzare i popoli europei gli uni contro gli altri, i governi degli Stati membri sono diventati un ostacolo all’integrazione europea, fino a mettere in pericolo le conquiste dell’integrazione europea (si prenda ad esempio la Brexit). Partendo da questa constatazione, il manifesto riprende le parole di Jean Monet - “la nostra missione non è quella di coalizzare gli Stati, ma di unire degli uomini” - e fa appello ai cittadini europei perché si approprino del loro destino politico fondando una Repubblica europea.
Al di là della retorica rivoluzionaria - “Il Consiglio europeo è destituito dalle sue funzioni!”. “I poteri legislativi sono affidati al Parlamento europeo!” - e il cenno storico, la “European Balcony Project” solleva la questione dei fondamenti e della finalità del progetto europeo in un momento critico della sua storia. Nel momento in cui il campo politico tende a ridursi nel confronto tra l’Europa delle nazioni (nazionalismi) e l’Europa neoliberale, la Repubblica europea incarna un’alternativa per tutti coloro che rifiutano sia l’una che l’altra.
Contro l’Europa delle nazioni (nazionalismi)
La Repubblica europea riconosce i limiti della sovranità nazionale (e la vanità del nazionalismo) in un mondo “globalizzato” dominato dalle grandi potenze. C’è democrazia reale là dove i governi sono effettivamente capaci di mettere in opera le scelte collettive dei cittadini. A livello europeo, questa capacità è oggi sia inesistente (per esempio in materia di politica estera e di difesa) sia confiscata dai governi nazionali, ansiosi soprattutto - ma come possono essere biasimati? - di difendere gli interessi dei propri elettorali. La soluzione: fondare una Repubblica europea sovrana e democratica al servizio del bene comune europeo.
Si potrà obiettare che non esiste la nazione europea. Ma precisamente, niente nel concetto di Repubblica – a differenza dell’acronimo Stato-nazione – esige o suppone una coincidenza tra nazionalità e cittadinanza. Al contrario: dopo la Repubblica romana, la Repubblica è sempre stata, essenzialmente in Francia e in Usa, un modello politico particolarmente dedito a unire una società multietnica e multiconfessionale.
Contro l’Europa neoliberale
La Repubblica postula che non ci sarà o avrà libertà reale per tutti senza uguaglianza e solidarietà. Uguali, i cittadini di una Repubblica lo sono minimamente davanti alla legge, in politica col suffragio universale, di fronte al fisco così come in ambito di diritti sociali. Se la libertà di lavoro, commercio, impresa, investimento e studio in tutta l’Ue è garantito dai trattati e protetto dalla Corte di Giustizia europea, è diverso con l'uguaglianza politica, fiscale e sociale. In tutti questi ambiti, i cittadini europei sono ancora lontani dal godere dei medesimi diritti: essi eleggono i loro deputati al Parlamento europeo in numero proporzionalmente ineguale e secondo modalità specifiche per ogni Stato, essi sono sottomessi a differenti regimi fiscali, essi hanno accesso a livelli di protezioni e prestazioni sociali variabili secondo il luogo di residenza e/o di lavoro, etc. - come molti ostacoli all'unione politica e legale dei cittadini europei.
Infine, la Repubblica prende atto della necessità di inquadrare politicamente ed istituzionalmente la “solidarietà di fatto” (Jean Monnet) tra i popoli europei, prodotta da decenni di integrazione europea. Né carità, né arricchimento spirituale, la solidarietà è, in ogni società democratica, una questione di diritti e di istituzioni. Questi meccanismi di solidarietà sono oggi largamente in default in Ue, e quando esistono (fondi strutturali, fondi di solidarietà in caso di catastrofi), essi funzionano solo a livello interstatale. Per cui l’Europa non sarà veramente unita se non quando la solidarietà sarà istituzionalizzata tra i cittadini europei, per esempio, attraverso l'assicurazione contro la disoccupazione e, infine, la previdenza sociale europea.
Ecco, a qualche mese dalle elezioni europee, delle vie di riflessione da esplorare e dei cantieri da aprire per una vera riforma dell’Europa che risponda alle attese dei cittadini. W la Repubblica europea

Julien Deroin, incaricato alla ricerca all’European Democracy Lab (Berlino), Ulrike Guerot, professoressa di scienze politiche, direttrice del Dipartimento di politica europea e di studio della democrazia all’Università del Danubio (Krems, Austria)

(pubblicato dal quotidiano Libération del 09/11/2018)
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