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A ciascuno il proprio 8xmille. Il caso Hartmut Zapp in Germania
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Articolo di Rosa a Marca
5 maggio 2010 16:29
 
Germania. Un professore cattolico contro l'imposta di culto. La sua battaglia ha appena subito un colpo d'arresto, ma prosegue.
Tre anni fa, un garbato signore settantenne si presentò all'Ufficio Anagrafe del Comune di Staufen chiedendo d'essere esonerato dall'imposta di culto a favore della chiesa cattolica. Richiesta del tutto legittima, e infatti l'impiegata non fece una piega. Allora il signore le chiese cortesemente d'aggiungere una breve postilla nello spazio riservato ai chiarimenti: chiesa cattolica, "ente di diritto pubblico". Anche stavolta l'impiegata lo accontentò e digitò sulla tastiera quelle quattro parole. Innocue? All'apparenza sì, in realtà con implicazioni forti, come si vedrà.
Il protagonista di questa storia si chiama Hartmut Zapp, è professore in pensione e specializzato in diritto canonico. Il suo intento era di rendere manifesta la propria volontà di continuare a professarsi cattolico senza essere costretto a pagare l'imposta alla chiesa, ente di diritto pubblico.
Uscire dalla chiesa pur rimanendo cattolici o protestanti? Impossibile, stando alla concezione delle autorità religiose tedesche, le quali considerano appartenente alla comunità religiosa solo chi è disposto a pagare l'imposta di culto. Di conseguenza, colui che nell'apposita casella dichiara di non voler pagare il tributo alla chiesa -cattolica in questo caso- è automaticamente scomunicato, ossia non è più ammesso ai sacramenti, viene privato del diritto di sposarsi in chiesa e d'essere sepolto con rito religioso. O ancora, non potrà più essere assunto da un ente ecclesiastico. E' contro tutto questo che si è mosso il professor Zapp. Egli sostiene che lo stesso Vaticano, nel 2006, aveva chiarito come il semplice atto amministrativo non equivalga a un rifiuto interiore, e che un autentico "abbandono della chiesa" si ha solo dopo una libera decisione in tal senso, comunicata al proprio parroco o al vescovo.
Non la pensavano certo allo stesso modo gli avvocati dell'arcivescovado di Freiburg, che infatti hanno cercato di far invalidare l'atto dal tribunale amministrativo cittadino. La loro istanza è stata però respinta, e il professore ha ottenuto una prima parziale vittoria.
Si può parlare di uno scricchiolio nel sistema dell'imposta di culto istituita in Germania nel 1919, che prevede una quota tra l'8% e il 9% dell'imponibile, riscossa dallo Stato, il quale incamera il 3% per il servizio reso? Difficile dirlo. La strada è in salita.
Contro la decisione del tribunale amministrativo l'arcivescovado si è appellato al tribunale di seconda istanza di livello regionale -nella fattispecie del Baden-Wuerttemberg- e il 4 maggio 2010 è stata resa nota la sua decisione. Ribaltata la sentenza precedente. Il succo di questa decisione è che, in base alla legge attuale, la dichiarazione di Zapp non basta a esonerarlo dall'imposta garantendogli i benefici dell'appartenenza alla comunità ecclesiale. Sta alla chiesa sciogliere eventualmente il nodo tra appartenenza e tributo fiscale, non è competenza dei giudici.
Esulta la curia: il tribunale di Mannheim ha riconosciuto che così come una donna non può essere un po' incinta, "non si può uscire soltanto un pochino dalla chiesa", spiega il suo legale, Felix Hammer.
Ma il professore ribelle non demorde. In questi anni ha versato alla chiesa una quota equiparabile all'8 per mille italiano, in conformità alle prescrizioni vaticane, finora disattese dai vescovi tedeschi. "Nel marzo 2006, Papa Benedetto XVI ha emanato delle direttive vincolanti che prevedono il finanziamento volontario, non un prelievo forzoso attraverso le imposte. La chiesa dovrebbe finanziarsi con le offerte e non tramite l'imposta di culto stabilita per legge e riscossa dallo Stato", sostiene Hartmut Zapp, deciso a proseguire la battaglia. E come primo atto vuole sottoporre i quesiti rimasti aperti a un tribunale ecclesiastico vaticano.
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