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Colombia. Vertice Farc e Governo: un nulla di fatto, mentre il Paese e' sull'orlo di un precipizio
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Articolo di Donatella Poretti
5 gennaio 2002 22:20
 
Grande attesa per il vertice tra il gruppo marxista delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) e il Governo colombiano tenutosi il 3 e 4 gennaio a Los Pozos, Caguán, che e' terminato con un nulla di fatto. Rimandata alla prossima settimana qualsiasi decisione, pur di non decretare la fine del dialogo.

Verso il negoziato
L'attesa era dovuta ai quasi tre mesi le parti non si erano "parlate". La situazione era peggiorata dopo che il presidente colombiano Andres Pastrana aveva intensificato i controlli di sicurezza dell'esercito intorno alla zona di distensione, l'area smilitarizzata di oltre 42 mila chilometri quadrati gestiti interamente dalle Farc. Il 17 ottobre 2001, nonostante le proteste delle Farc, il presidente Pastrana aveva confermato i controlli nei territori di confine, sospendendo cosi' il tavolo di dialogo. Alla vigilia di Natale e' stato il Governo stesso a confermare l'incontro di Lo Pozos, ma dopo soli due giorni le Farc con un loro comunicato avevano ristretto i temi da mettere in dialogo ribadendo il loro quasi unico interesse, ovvero quello di continuare a gestire il loro territorio (la zona di distensione scade infatti il prossimo 20 gennaio), stendendo un pietoso velo di silenzio sull'abbandono delle armi e della violenza da parte loro. Il primo di gennaio l'anno e' stato battezzato con una serie di morti tra civili e militari in scontri a seguito dell'attacco da parte delle Farc del Municipio di Coconuco, Cauca. Due giorni dopo, mentre prendeva il via il negoziato a Los Pozos, veniva sventato il terzo attentato contro il candidato presidenziale, Alvaro Uribe Velez. I due arrestati erano dei guerriglieri delle Farc.

La campagna elettorale
Se queste erano per sommi capi le premesse, gli esiti non potevano essere che quelli di un fallimento annunciato, anche se ancora non ufficialmente riconosciuto. Riconoscere la fine delle trattative di pace all'avvio della campagna elettorale, quella appena iniziata in Colombia, vorrebbe dire la tragedia, e le autorita' colombiane non vogliono certo una stagione in cui il Paese sia ancora piu' ingestibile di quanto lo sia attualmente. Senza contare che il Governo Pastrana e' ormai giunto al termine del suo mandato che scade il 7 di agosto, un Governo che non puo' far molto di piu' che passare la patata bollente a quello che lo seguira'. Certo e' che i vari candidati alla presidenza della Repubblica sembrano confidare molto sui negoziati per un verso, ma per l'altro la sensazione che le Farc non facciano altro che tirare una corda in procinto di spezzarsi e' molto forte.
Il candidato del partito Primero Colombia, Alvaro Uribe Velez, nel commentare il vertice di questi giorni, aveva chiesto alle Farc la fine delle ostilita': "quello che stanno facendo e' un'ipocrisia. Mentre si abbracciano per la televisione, proseguono ad uccidere e a sequestrare i colombiani". Che questo incontro non potesse essere altro che l'ultima opportunita', e' la sottolineatura del liberale Horacio Serpa Uribe, ribadita dal candidato conservatore Juan Camilo Restrepo, secondo cui il processo di pace non puo' diventare "un dialogo senza risultati".
Tuttavia anche la campagna elettorale non sembra essersi concentrata piu' di tanto per cercare di mettere una parola definitiva su quello che e' chiamato processo di pace, e che solo per l'anno 2001 ha prodotto 3 mila sequestri, 2 mila civili uccisi, senza contare i leader sindacali, politici e dei diritti umani uccisi o costretti all'esilio, oppure i campi minati che solo nell'anno appena conclusosi si sono quadruplicati. La paura di perdere anche un solo voto nella ragnatela della Colombia, non fa dire parole chiare.

Guerriglieri e paramilitari, cioe' narco-terroristi
Cosi' se le Farc sono il gruppo piu' grosso da un punto di vista numerico, visto che possono contare su piu' di 16 mila uomini, e anche da un punto di vista di "prestigio" internazionale, la situazione si complica anche per l'esistenza sia del gruppo guevarista delle Eln (Esercito di liberazione nazionale) con poco piu' di 4 mila uomini, che dei paramilitari di destra delle Auc (Autodifesa Unite della Colombia), con oltre 8 mila uomini.
Se l'Eln e' in forte declino, pur contando su un appoggio di Cuba che ha messo a disposizione il suo territorio per i negoziati che hanno portato alla tregua di Natale, i paramilitari delle Auc sembrano un tassello di cui non e' possibile fare a meno. Innanzi tutto perche' nemici acerrimi dei gruppi guerriglieri, poi perche' tra le loro fila si vantano amicizie e legami con l'esercito ufficiale, e infine per la strategia politica messa in campo dopo i fatti Usa dell'11 settembre.
Per una strana coincidenza del destino, se Farc e Eln erano gia' nella lista dei gruppi terroristi stilata dagli Usa, le Auc vi sono entrate esattamente il 10 di settembre. Resesi conto che il loro appeal era in forte ribasso, hanno lanciato una campagna d'immagine contro il narcotraffico anche al loro interno.

War on drugs e Plan Colombia
La Colombia e' certo uno dei Paesi in cui la war on drugs Usa ha i suoi effetti piu' dirompenti grazie al discusso, e discutibile, Plan Colombia, sostenuto con 1.300 milioni di Usd. Le Auc, dopo aver denunciato che tutti i gruppi in azione in Colombia, loro incluse, si finanziano grazie alla coltivazione della coca, hanno lanciato questa "apparente" battaglia al narcotraffico. Che sia unicamente d'immagine, e' sottolineato quotidianamente dagli scontri per il dominio sui territori con laboratori e piantagioni illegali.
Del resto una fonte d'entrata cosi' facile e cosi' corposa come quella del narcotraffico e della produzione di foglia di coca, dove mai potrebbero trovarla dei gruppi di guerriglieri, o di terroristi, come sarebbe piu' corretto dire? E infatti nessuno degli attori in campo ha intenzione di dismettere questo affare. In primis quelli delle Farc con la loro zona di distensione di oltre 42 mila chilometri quadrati completamente sotto controllo. Il Plan Colombia infatti non ha diritto di accesso nella zona di distensione, le piantagioni di coca non saranno distrutte con la forza da parte dell'esercito e con l'ausilio del glisofato lanciato agli aerei (il terribile erbicida dagli effetti ancora non troppo chiari). Ad eliminare le piantagioni di coca nel "loro" territorio saranno le stesse Farc, come da loro promessa. Peccato che nel frattempo dalle cronache dei reportage che vengono dai villaggi in mano alle Farc arrivano notizie decisamente di segno opposto.

I contadini denunciano
Il quotidiano El Tiempo pubblica il 5 gennaio un articolo di Nubia Camacho Bustos, dove si denuncia come un gruppo di una sessantina di famiglie di tre villaggi del Caguán, dove si e' tenuto il vertice con il Governo, stanno compiendo una lotta disumana contro la poverta' e contro le minacce di morte, perche' si rifiutano di seminare i propri campi con la coca. L'articolo e' un racconto kafkiano di questi contadini minacciati dalle Farc per non volere coltivare la coca, e al tempo stesso burocraticamente trattati dalle autorita' colombiane, nonostante il Plan Colombia che avrebbe dovuto aiutare le coltivazioni alternative oltre che distruggere quelle illegali. Le risposte migliori sono state quelle che non ci sono state, lasciando ancora un filo di speranza ai contadini che nel frattempo hanno costituito la Corporacion Nueva Floresta.

Inutile quindi meravigliarsi se le Farc hanno come primo interesse il mantenimento della zona di distensione, sarebbe curioso il contrario. Terrorismo e narcotraffico hanno gia' dimostrato la loro capacita' distruttiva in Afghanistan, e la Colombia, pur con le sue diversita', non e' molto lontana da quel prodotto esplosivo in cui ideologie, guerriglia e narcotraffico si potrebbero stringere in un abbraccio mortale.
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