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Il Condominio. Certificato di abitabilità: quando la mancanza è causa di risoluzione del contratto di compravendita?
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Articolo di Laura Cecchini
15 gennaio 2022 11:06
 
Il tema che interessa la pronuncia della Corte di Cassazione in commento (sentenza n.39369/2021) ha ad oggetto la disamina delle conseguenze sul contratto di compravendita di un immobile qualora quest'ultimo sia privo del certificato di abitabilità per successiva intervenuta revoca.
Sul punto l'indagine della Corte si incentra sulla illustrazione e verifica dei presupposti affinché possa ritenersi giustificata la risoluzione del contratto per grave inadempimento nell'ipotesi in cui l'immobile non abbia l'abitabilità.
In proposito assume particolare importanza la analisi della sussistenza o meno dei requisiti per poter ottenere la suddetta certificazione.

Contratto di compravendita di immobile e mancanza del certificato di abitabilità: la vicenda
La questione che concerne l'insorta controversia ha origine dalla citazione in giudizio della impresa di costruzioni che ha realizzato l'immobile oggetto di vendita con la quale è stata avanzata dagli acquirenti domanda di risarcimento danni, per revoca del certificato di abitabilità e contestuale condanna alla realizzazione delle opere necessarie a conseguirlo nonché, in via subordinata, risoluzione del contratto
Nel giudizio di primo grado, il Tribunale ha dichiarato risolto il contratto accogliendo anche le altre richieste formulate.

In sede di gravame, la Corte d'Appello ha confermato la sentenza resa dal Giudice di prime cure, ed ha, quindi, rigettato la domanda di riforma della stessa promossa dalla impresa venditrice.
In particolare, i Giudici hanno ritenuto configurabile la fattispecie di vendita aliud pro alio stante l'intervenuta revoca della abitabilità da parte del Comune e, altresì, considerato come irrilevante la successiva attività posta in essere dalla impresa per conseguirla nuovamente in quanto posteriore alla azione di risoluzione e, comunque, perché non aveva comportato l'effetto desiderato.
Ravvisando come ingiusta e contraria al diritto detta pronuncia, l'impresa ha formulato ricorso per cassazione ripercorrendo gli eventi sostanziali e determinanti ai fini del decidere all'uopo sollevando due motivi.
In proposito, per una compiuta lettura della vicenda de qua, appare indefettibile premettere che (i) al momento della stipula della compravendita l'immobile era dotato del certificato di abitabilità, (ii) avanti al Giudice di primo grado era stato chiesto il risarcimento dei danni nella misura delle spese occorrenti all'eliminazione dei vizi, (iii) l'impresa aveva provveduto a porre in essere quanto sufficiente ad ottenere l'abitabilità la cui concessione era stata impedita dalla condotta degli acquirenti che non avevano consentito l'esecuzione delle opere propedeutiche alla stessa tanto che era rimasta l'unica unità dell'intero edificio priva della stessa.
Infine, l'impresa ravvisa come illegittima la dichiarazione di risoluzione non essendo presumibile un grave inadempimento.
Ad avviso della Corte di Cassazione, in accoglimento delle censure mosse, la statuizione della corte territoriale deve essere ritenuta erronea, per le ragioni in appresso esposte.

Abitabilità e risoluzione del contratto
In via preliminare, riconoscendo l'ammissibilità del primo motivo di impugnazione, i Giudici di Legittimità hanno argomentato che, nel caso, non può ricorrere l'a fattispecie di aliud pro alio, in quanto la medesima si realizza quando il bene (i) è totalmente difforme da quello dovuto e tale condizione differente sia di importanza fondamentale e determinante nella economia del contratto, (ii) appartiene ad un genere del tutto diverso dal bene oggetto della compravendita oppure (iii) è privo delle caratteristiche funzionali necessarie o dei requisiti giuridici essenziali.
Sotto tale profilo, è opportuno precisare che, ad avviso della Corte d'Appello, ulteriormente rispetto alla decisione del Tribunale, la problematica inerente l'assenza dell'abitabilità non era stata risolta dal venditore, ovvero dalla impresa, per cui la risoluzione del contratto di compravendita doveva reputarsi giusta conclusione del giudizio in quanto tale circostanza persisteva.
Nella motivazione della sentenza in commento, diversamente, gli Ermellini ricordano che, seppur il certificato di abitabilità rappresenta un requisito giuridico essenziale per il legittimo godimento e la commerciabilità del bene, la sua mancata consegna non compromette inesorabilmente l'equilibrio negoziale poiché la sua assenza può anche essere correlata a contingenze che non ostacolano in modo significativo la obiettiva predisposizione del bene a realizzare le attese del compratore.
A conferma è appropriato riportare l'orientamento della Giurisprudenza secondo cui «In sostanza, nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancata consegna della agibilità impone una indagine volta ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che il suo omesso rilascio può dipendere da molteplici cause, quali una grave violazione urbanistica, la necessità di interventi edilizi oppure dall'esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che non attengono alla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico-sociale.
Pertanto, l'eventuale relativo inadempimento del venditore può assumere connotazioni di diversa gravità senza necessariamente esser tale da dare luogo a risoluzione del contratto» (Corte appello Milano sez. IV, 18/03/2021, n.871).
Da tale principio ne deriva che, per l'effetto, potrà essere dichiarata la risoluzione del contratto di compravendita solo ove non sussistano le condizioni per ottenere il certificato di abitabilità.
Ebbene, dalla documentazione in atti emerge che, al contrario, l'abitabilità era esistente al momento della compravendita e che, in seguito alla revoca, era stata "riattivata" in favore delle altre porzioni del compendio ad eccezione delle proprietà oggetto di lite per il mancato assenso degli acquirenti alla esecuzione degli interventi prescritti ed atti ad ottenere la nuova concessione.
Pertanto, è di tutta evidenza come la Corte d'Appello non abbia operato una ricognizione approfondita sulla esistenza o meno dei presupposti per il suo rilascio prima di dichiarare la risoluzione per vendita di aliud pro alio, che sarebbe potuta intervenire solo qualora ne avesse accertato la presenza di impedimenti assoluti.
Parimenti, la Corte di Cassazione non condivide l'assunto dei Giudici d'Appello, qualificandolo come palesemente contra legem, laddove quest'ultimi hanno affermato che l'impresa non avrebbe potuto riparare alla mancanza del certificato in ragione della preclusione di cui all'art. 1453 c.c., in relazione al tentativo di adempimento tardivo.
In proposito, i Giudici di Piazza Cavour rammentano che, oltre a quanto sopra affermato, la tesi alla base della decisione di primo grado è erronea anche per la chiara formulazione da parte dei compratori della domanda di risoluzione solo in via subordinata.
Invero, nelle conclusioni avanti al Tribunale era stata avanzata in via principale domanda di risarcimento del danno per la eliminazione dei vizi e richiesta di condanna della impresa alla regolarizzazione urbanistica ed edilizia del bene immobile.
In conseguenza è manifesto come non possa operare il disposto dell'art. 1453, comma 3, c.c., in quanto la preclusione imposta presuppone che la domanda di risoluzione sia stata sollevata senza riserva alcuna, ipotesi che non è configurabile nel caso in esame in ragione della subordinazione alle domande volte ad ottenere l'adempimento.
Alla luce delle argomentazioni illustrate la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d'Appello rinviando la causa a quest'ultima in diversa composizione.

(da Condominioweb.com)
 
 
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