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Il Condominio. Scolo acque, regole ed applicazione
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Articolo di Laura Cecchinii
3 dicembre 2021 16:31
 
La vicenda che interessa la sentenza della Corte di Cassazione (n.32648/2021) oggetto del presente commento affronta compiutamente una tematica non usuale né ricorrente: lo scolo delle acque la cui disciplina è illustrata all'art. 913 c.c.
Nel caso de quo, è stato promosso ricorso avanti ai Giudici di Legittimità avverso la pronuncia della Corte d'Appello, dopo l'intervenuto giudizio di rinvio, che ha rigettato la richiesta di risarcimento danni per infiltrazioni provenienti e derivanti dal fondo sovrastante.
Nella fattispecie, i ricorrenti hanno rappresentato tre motivi di impugnazione con i quali hanno denunziato la violazione e falsa applicazione (i) dell'art. 913 c.c. e dell'art. 2051 c.c. con espresso riferimento alla intervenuta esclusione della responsabilità oggettiva per cose in custodia, (ii) dell'art. 913 c.c. per averne esteso l'ambito di applicazione anche ai fabbricati e manufatti e (iii) dell'art. 383 c.p.c. per non aver risposto ai quesiti formulati dalla Corte di Cassazione in ordine alla natura del terrapieno, in quanto da un lato se ne riconosce la natura antropica, dall'altro si considera di origine naturale per vetustà dei luoghi.
Le censure sollevate sono apparse prima facie inammissibili ed infondate ed il ricorso è stato respinto in considerazione di argomentazioni che trovano conforto proprio in precedenti giurisprudenziali che denotano un orientamento costante e consolidato in materia.

La normativa sullo scolo delle acque ex art. 913 c.c.
In via preliminare appare confacente riportare il testo dell'art. 913 c.c., propedeutico ad una giusta disamina del contesto applicativo ed interpretativo, secondo cui . Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l'opera dell'uomo.
Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso.
Se per opere di sistemazione agraria dell'uno o dell'altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un'indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio. .
Dalla lettura della richiamata norma emerge ictu oculi il principio in rispondenza del quale sia il proprietario del fondo sovrastante che quello del fondo inferiore sono soggetti ad un limite reciproco nell'utilizzo della di loro proprietà.
Invero, entrambi soccombono al divieto di realizzare ogni alterazione (non correlata ad opere di sistemazione agraria), che abbia, quale effetto, quello di rendere più gravoso ovvero di ostacolare il naturale deflusso delle acque a valle.
Da ciò, ne deriva la sussistenza, a carico di entrambi i soggetti citati, di un obbligo di non facere, strumentale a detto scopo (Cass. 14 novembre 2001 n. 14179).
Tanto premesso e considerato, la tutela che sottintende la disposizione in esame non è circoscritta ai soli fondi rustici ed urbani ma comprende anche i fabbricati rurali e quelli urbani, ragion per cui la obiezione sollevata sul punto dai ricorrenti è destituita di qualsivoglia fondamento.
Al contempo, non si può ignorare che il precetto contenuto nell'art. 913 c.c. non rappresenta un divieto assoluto dovendo il Giudicante, nell'esprimere il giudizio, rispondere e rispettare il criterio dell'alterazione apprezzabile.

Che cosa significa?
In pratica, previa prudente valutazione del giudice, possono essere realizzate tutte quelle modificazioni che, seppur incidono sul deflusso delle acque, tuttavia non modificano sensibilmente lo scolo e non aggravano la condizione delle due proprietà coinvolte (superiore ed inferiore).
Tuttavia, gli Ermellini ricordano come, in ogni caso, l'esecuzione di manufatti che rendono più gravoso lo scolo delle acque non legittima il proprietario del fondo inferiore al risarcimento di tutti i danni, compresi quelli imprevedibili e lontani nel tempo.
Posto ciò, è indubbio ed indiscutibile che l'applicazione del dettato normativo dell'art. 913 c.c. non può prescindere da un accertamento di fatto che, però, è incensurabile in sede di legittimità, eccezion fatta nel caso di non congrua o insufficiente motivazione.
Ebbene, nel giudizio innanzi alla Corte d'Appello, anche dalle risultanze della CTU espletata, non si evince alcuna alterazione e/o intervenuta modifica dello stato dei luoghi ed il percorso logico-giuridico della motivazione è ben argomentato anche sulla base della relazione resa come risulta da alcune considerazioni estrapolate dalla stessa.
Invero, non emerge a carico delle parti convenute la esecuzione di alcun intervento che possa anche solo ritenersi causa necessaria e sufficiente al manifestarsi e verificarsi delle infiltrazioni lamentate dai ricorrenti.

Responsabilità, danni e risarcimento
Nel caso portato avanti ai Giudici di Piazza Cavour non possono essere accolti i motivi di doglianza dei ricorrenti ritenuto che i medesimi chiedono, nella sostanza, una rivisitazione del merito della vertenza, o meglio un nuovo accertamento in fatto precluso in sede di legittimità.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, è coerente, oltre che conforme e condivisibile la pronuncia in commento laddove, dopo un'ampia esposizione della disciplina di cui all'art. 913 c.c. e dei risvolti applicativi nella pratica, nonché dei principi espressi ad opera della Giurisprudenza, respinge il ricorso non essendo emersa alcuna prova atta a dimostrare l'avvenuto aggravamento o modificazione dello stato luoghi dalle proprietà sovrastanti.
Al contrario, dalla relazione resa dal consulente tecnico d'ufficio (CTU) è stato escluso "categoricamente" qualsivoglia intervento "umano" che possa aver incrementato lo scolo delle acque.

(da Condominioweb.com)
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