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"Conexión Habana" per dimostrare la relazione tra Cuba e il narcotraffico
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Articolo di Donatella Poretti
22 gennaio 2005 16:36
 
Dimostrare la relazione di Cuba con le reti del traffico internazionale di droghe e' l'obbiettivo di "Conexión Habana", un libro che due giornalisti spagnoli, Santiago Botello e Mauricio Angulo hanno presentato il 17 gennaio a Madrid dopo una inchiesta da cui, secondo quanto hanno raccontato, ne sono usciti "vivi per miracolo".
Questi due giornalisti hanno vissuto un'odissea di un anno per documentare il loro lavoro, da infiltrati nelle mafie del narcotraffico con una telecamera nascosta, per cercare di dimostrare che "Cuba non esporta droga, ma ne permette il traffico", ha spiegato Botello.
Cuba occupa un luogo privilegiato nella geografia delle rotte del narcotraffico e la maggior parte della cocaina che proviene dalla Colombia e dal Venezuela fa scalo nell'isola prima di partire verso l'Europa e gli Stati Uniti. Secondo Botello "e' piu' facile portare droga in un aereo che viene da Cuba rispetto ad un altro che viene dalla Colombia, o dal Venezuela, perche' e' meno vigilato".
Angulo, per parte sua, ha sottolineato che "e' impossibile che in un Paese dove tutto e' controllato, come e' Cuba, si muovano quantita' di cocaina tanto importanti come quelle che abbiamo mosso noi senza che il Governo o la polizia ne fossero informati". "Al manifestare ai nostri contatti il timore che ci creava trattare quantita' cosi' importanti di droga, circa 8 chili di cocaina, questi ci assicuravano che non c'era nessun problema". Inoltre "non e' possibile che un 'narco' si arrischi a burlare tante misure di sicurezza senza avere protezioni dall'alto".
Di tutti questi contatti "attualmente nessuno e' in carcere!", ha detto Botello, mentre tre persone che "trattarono con noi nella maniera piu' innocente sono in carcere, dopo essere stati detenuti, torturati e processati senza alcuna garanzia" per fatti "completamente falsi".
Botello e Angulo hanno ottenuto la descrizione dell'arresto di "El Latas", Dun-Dun González e Onliyú, a cui e' dedicato il libro, grazie a "incontri con cubani che hanno conosciuto l'orrore delle carceri di Castro".
Nel corso dell'anno che e' durata quest'inchiesta, i due, hanno viaggiato insieme nell'isola una sola volta e Botello vi e' tornato solo in un secondo momento. La prima volta avevano viaggiato come turisti e avevano realizzato tutto il lavoro di infiltrazione, lasciandosi vedere ad incontri come le lotte dei galli, e prendendo contatti con narcotrafficanti coperti dal capo di una famiglia di narcos spagnola.
L'obbiettivo del secondo viaggio, in cui Botello si era presentato come giornalista, "era di avere una versione del Governo", per cui aveva fatto arrivare alle autorita' dell'isola una registrazione con il materiale ottenuto nel primo viaggio. "L'unica cosa che sono riuscito ad ottenere e' stata quella di venire confinato in un hotel per due settimane, fino a che si era presentato un funzionario alla mia camera per minacciarmi in caso il reportage venisse trasmesso o pubblicato". Inoltre "e' significativo che il primo messaggio di Fidel Castro dopo aver fatto circolare le mie inchieste si concentrasse sulla droga", spiega Botello.
Infatti Castro disse testualmente che "senza il socialismo, Cuba non sarebbe la piu' solida barriera nel continente contro il traffico di droghe, e questo a beneficio, anche, della societa' nordamericana. Senza il socialismo, non avremmo un Paese senza droghe, bordelli, case da gioco, o criminalita' organizzata".
Alla presentazione del libro "Conexión Habana" ha partecipato Delfin Fernandez, ex agente cubano in esilio in Spagna dal 1999, che ha assicurato che "la realta' del libro e' cruda tanto quella che vivono attualmente i cubani". Per Fernandez, Botello e Angulo, "hanno agito da irresponsabili perche' non sapevano a cosa andavano incontro. Se lo avessero scoperto, oggi sarebbero morti".
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