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Conservazione della natura, si cambia: meglio abbracciare gli stranieri
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Articolo di Redazione
5 aprile 2011 15:38
 
Nelle isole Galapagos anziché lottare contro i "bioinvasori" si prova a integrarli.

"Dichiarata la guerra ai ratti!", "Lotta all'albero della Cina!", "Santiago liberata dalle capre!". Quando in Rete si cerca la parola bioinvasori si legge che sono forme di vita portate dall'uomo in zone dove prima non c'erano, in grado di causarne la rovina. A Guam (arcipelago delle Marianne) non si sente quasi più cantare un uccello da quando, nella Seconda guerra mondiale, con le Forze aeree Usa arrivarono anche certi passeggeri clandestini: i serpenti. Prima hanno decimato gli uccelli; poi a soffrirne sono stati gli alberi, giacché i loro semi non venivano più propagati (dalle defecazioni degli uccelli, ndr).
Immagini ancora più desolanti arrivano dall'icona della natura incontaminata, ossia le isole Galapagos. Nel 1970 sull'isola Isabella sono state introdotte le capre; alcune di queste si sono inselvatichite, e nel 1997 centocinquantamila di loro l'hanno resa completamente brulla, tanto che le tartarughe sono rimaste senza più cibo. Allora i custodi della natura hanno fatto l'impossibile per correre ai ripari -dall'impiego degli elicotteri al ricorso alle "capre Giuda", ossia capre femmine imbottite di ormoni al punto da essere sempre in calore per attirare a sé, e a tiro di fucile, gli ultimi maschi selvatici. Nel 2009 Santiago era liberata dalle capre.
Ma con altre forme di vita le cose sono meno semplici. Difficile liberarsi da certe piante, e di alcune -soprattutto da un tipo di mora- ci sono regioni come l'Isola Santa Cruz così infestate che non cresce praticamente altro. "Su una superficie di 30.000 ettari, le more hanno ridotto la biodiversità di almeno il 50 per cento", calcola Mark Gardener, responsabile da vent'anni della Charles Darwin Research Station (CDRS) per l'integrità degli ecosistemi.

"Le isole Galapagos non diventeranno mai più primitive"
Gardener ne ha abbastanza e vuole cambiare rotta: "Come ricercatori e protettori della natura dobbiamo riconoscere di non essere riusciti nell'intento: le isole Galapagos non saranno mai più natura incontaminata. E' arrivata l'ora di abbracciare gli stranieri. Per me, la mora è da considerare ormai come una delle piante locali delle isole Galapagos" (Science, 331, p1383). Non la si dovrebbe più estirpare, ma solo cercare di contenerla entro certi limiti.
Questa posizione crea sangue amaro all'interno del CDRS. In primo luogo ci sono troppi invasori -quando l'uomo si  insediò alle Galapagos le specie vegetali erano 500, da allora se ne sono aggiunte 640; in secondo luogo non se ne viene a capo: contro 24 specie si sono utilizzate la zappa, i pesticidi e un milione di dollari, con il risultato d'averne debellate quattro. E in terzo luogo, non è affatto detto che sia un bene sconfiggere gli invasori; forse è meglio accoglierli. Dal 2006 è in corso un dibattito dai toni piuttosto accesi sul significato di "natura originaria". Allora, i ricercatori del gruppo di Richard Hobbs (University of Western Australia) si spesero molto per far passare l'idea di "nuovi ecosistemi" che includessero gli immigrati. Essi sostenevano che nelle foreste di Panama la biodiversità aumentava con l'arrivo dei nuovi. E qualcosa di simile era successo anche in Nuova Zelanda: ai 2068 alberi autoctoni, con l'arrivo dell'uomo se ne erano aggiunti 2069 nuovi, e solo tre erano stati scacciati. Dave Cox (Brown University) li ha valutati e ha concluso che il nesso esotico=male non ha significato scientifico (Pnas, 105, p11490).
La corrente contraria frena: "Chi si è rassegnato a gestire nuovi ecosistemi, altro non fa che omogeneizzare il mondo vegetale sulla Terra", spiega William Laurence (James Cook University). "Ciò porterà a un'era terrestre del tutto inedita: l'omogocene".

(articolo di Juergen Langenbach per Die Presse, 01-04-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
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