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La critica della Commissione Globale all’imperialismo sulle politiche per le droghe di USA e ONU
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Articolo di Claudia Sterzi *
16 agosto 2011 17:32
 
 Anche se in Italia se ne è parlato poco, in tutto il mondo il Rapporto della Global Commission ha riacceso il dibattito sulle possibili strategie da usare per combattere gli aspetti negativi della diffusione di droghe, cioè, da una parte l’abuso e la dipendenza; dall’altra le conseguenze che le strategie proibizioniste hanno provocato, quali l’arricchimento smisurato delle criminalità organizzate di tutto il mondo e la conseguente ondata di corruzione e violenza che sta devastando Paesi come il Messico, la Guinea Bissau o l’Afghanistan.
Abbiamo visto come la Commissione Globale per le politiche sulle droghe giunga alla conclusione che è necessario intensificare la lotta ai grandi spacciatori e alle mafie internazionali concentrando su questo tutte le risorse che oggi vengono disperse nella persecuzione dei consumatori, dei piccoli spacciatori, dei tossicodipendenti; i numeri del consumo mondiale dimostrano che con le attuali strategie poliziesche e repressive il consumo continua a crescere, e soprattutto continuano a crescere i casi di abuso, dipendenza, oltre alla diffusione di malattie quali l’ AIDS.
Molti giornalisti, nel riportare la notizia dell’uscita di questo rapporto, nel giugno scorso, ingannati dalla presenza nella Commissione di autorevoli ex alti funzionari dell’ONU, uno fra tutti Kofi Annan, lo hanno indicato come un documento proveniente dalla stessa ONU; ancora pochi giorni fa, a due mesi di distanza, un articolo pubblicato su Il Foglio si è attirato gli strali del sottosegretario con delega alle politiche sulle droghe, senatore Carlo Giovanardi, che ha dichiarato: “Ci spiace far presente all’autrice dell’articolo dal titolo “ E’ davvero l’ora di piantarla” che il documento al quale fa riferimento non è affatto un documento ONU, ma di una associazione privata di persone che hanno espresso la loro semplice opinione”.
In effetti la Commissione non fa parte dell’ONU, anzi è alquanto critica verso quello che viene definito letteralmente l’“imperialismo sul controllo delle droghe” esercitato per 50 anni da USA e ONU; L’ONU –afferma il rapporto– “attraverso la Commissione per il controllo internazionale degli stupefacenti, e in particolare gli Stati Uniti (particolarmente con il suo procedimento di “certificazione”), hanno indefessamente lavorato negli ultimi anni per assicurarsi che tutti i Paesi adottassero lo stesso rigido approccio alla politica sulla droga –le stesse leggi, e lo stesso impiego severo delle forze dell’ordine. Quando i governi nazionali sono arrivati a una maggiore consapevolezza della complessità del problema e delle opzioni di risposta politica sui loro territori, molti hanno usato flessibilità nei riguardi della Convenzione, tentando strategie e programmi nuovi, come le iniziative di decriminalizzazione o i programmi di riduzione del danno. Quando questo ha compreso un approccio più tollerante all’uso di droga, i governi hanno dovuto affrontare pressioni diplomatiche internazionali per “proteggere l’integrità della Convenzione”, anche quando le strategie erano legali, efficaci e ricevevano consensi nel Paese”.
Un atto di accusa forte e chiaro, basato sui dati che la stessa ONU fornisce, corredato da un elenco dei risultati negativi che questo unidirezionale approccio, imposto a tutti i Paesi in modo uguale, senza considerare le differenze tra Paesi produttori, consumatori o di transito, e tra i diversi e particolari contesti, ha prodotto. Tali risultati vengono descritti, nel rapporto, dall’ex Direttore esecutivo dell’Ufficio dell’ONU su droga e crimine, Antonio Maria Costa, che li ha raggruppati in cinque categorie:
1. La crescita di un enorme mercato nero criminale finanziato dai profitti, commisurati al rischio, ottenuti nel soddisfare la domanda internazionale di droghe illecite.
2. Una destabilizzazione della legittimità politica, come risultato per aver usato risorse inadeguate nel dispiegamento di azioni di polizia indirizzate contro il mercato criminale.
3. Un dislocamento geografico, spesso conosciuto come “effetto mongolfiera”, con il quale la produzione di droga cambia luogo per evitare le attenzioni delle forze dell’ordine.
4. Uno spostamento nelle sostanze, cioè lo spostamento dei consumatori verso nuove sostanze quando la loro droga, scelta precedentemente, diventa difficile da ottenere, per esempio per le pressioni delle forze dell’ordine.
5. La percezione e il trattamento dei consumatori di droga, che vengono stigmatizzati, emarginati ed esclusi.
Appare, nonostante la stizza di Giovanardi, assai razionale la richiesta di poter sperimentare politiche diverse, che già hanno dimostrato, dalla Svizzera all’Olanda, dal Portogallo al Regno Unito, di poter far fronte ai più temuti pericoli per la salute pubblica e per la sicurezza dei cittadini. “L’idea che il sistema internazionale di controllo sulle droghe sia immutabile e che ogni emendamento –per quanto ragionevole o minimale– sia una minaccia all’integrità dell’ intero sistema, non è lungimirante. Così come tutti gli accordi multilaterali, le convenzioni sulle droghe devono essere sottoposte ad una costante revisione e modernizzazione alla luce delle variabili e mutevoli circostanze. In particolare, deve essere permesso ai governi nazionali di esercitare la libertà di sperimentare risposte che siano adeguate alle circostanze. Questa analisi e lo scambio di esperienze è un elemento cruciale del processo di apprendimento sulla efficacia relativa ai diversi approcci”. … segue

Qui un articolo precedente in materia

* segretaria dell'Ara, Associazione radicale antiproibizionista
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