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I Curdi e il teatro della democrazia
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Articolo di Redazione
4 dicembre 2019 7:46
 
 Il governo turco ha fatto mettere in galera la dirigenza della maggior parte dello HDP curdo. Erdogan nega loro la democrazia e provoca una soluzione militare

I Curdi in Turchia si chiedono: devono continuare a impegnarsi nella politica democratica? O è meglio uscire. Ankara sembra imporgli la risposta: il governo ha fatto mettere in galera la dirigenza della maggior parte dello HDP curdo [Partito Democratico dei Popoli]. Circa un terzo delle sindache e dei sindaci dello HDP (tutti all’incirca eletti con oltre il 50 percento) è stato destituito dal governo e sostituito con amministratori coatti, mentre 13 di loro sono stati incarcerati. Ciò è possibile a causa del decreto varato dopo il tentativo di golpe, che dichiara lo stato di emergenza (nel frattempo ufficialmente revocato) e trasferisce ampie competenze al ministro degli Interni Süleyman Soylu. Questi, che si annovera tra i falchi nazionalisti del governo, ha dichiarato che le destituzioni corrispondono alle norme europee, e ha portato come esempio l’arresto dei deputati catalani in Spagna.
Il conflitto col PKK [Partito dei Lavoratori del Kurdistan – organizzazione paramilitare], che ormai dura da 35 anni, è costato la vita, in Turchia, a quasi cinquantamila persone. I confronti armati sono diminuiti quando i Curdi, rafforzati a livello nazionale e locale, si sono messi ad agire sul piano della politica legale. Ma Erdogan, che ha inteso il tentativo di golpe del 2016 come un’opportunità, è ricorso a una politica repressiva e ha preso di mira anche i politici curdi. Quattro mesi dopo la repressione del colpo di stato del 15 luglio furono arrestati, coi due copresidenti Selahattin Demirta? e Figen Yüksekda?, anche nove deputati dello HDP. Nonostante il giudizio contrario della Corte di Giustizia Europea per i diritti umani, Demirta? è ancora in carcere. E contro gli attuali co-presidenti sono state intentate indagini per l’accusa di propaganda a favore di una organizzazione terroristica. Secondo informazioni dello HDP, negli anni scorsi, sono stati arrestati cinquemila membri del partito.

Qualcuno pensa che Erdogan speri di ottenere un motivo per la sua politica e di poter ancora rafforzare la repressione, portando i Curdi ad abbandonare le vie legali e a tornare a compiere atti di violenza. Con la recente operazione in Siria ha attuato questo piano anche nella politica estera. Sembra che sia riuscito a cementare il proprio potere all’interno, rompere la resistenza dei Curdi e allontanarli dal confine meridionale. Tuttavia, così facendo, ha dato al problema curdo una dimensione internazionale e ha contribuito a far sì che dallo stato d’animo contro di lui nasca simpatia per i Curdi.

Adesso i Curdi perdono uno dopo l’altro i loro risultati a livello nazionale e locale e con ciò anche la loro fiducia nelle elezioni. Così si chiedono se abbia ancora senso continuare ad assumere un ruolo di alibi in questo “teatro della democrazia”. Soprattutto tra i giovani Curdi con tendenze radicali si ridesta la protesta contro il governo, ma anche contro la dirigenza dello HDP, a cui rimproverano l’inerzia – e contro i Turchi che non si mettono con chiarezza contro ciò che sta accadendo. Il clima formatosi prima della recente votazione di Istanbul, clima di solidarietà e di speranza di una soluzione democratica sta svanendo.

Invece di insistere in questa fase, che forse mira alla conquista di tutti i loro Comuni, all’arresto di tutti i loro deputati e infine al divieto dello HDP, alcuni raccomandano di ritirarsi e di tornare nel “grembo del popolo”. Una formula che significa lotta extraparlamentare. Ma la maggior parte crede che un simile atteggiamento radicale non abbia alcun vantaggio se non quello di rendere più facili le cose a Erdogan.
Il fatto che, in relazione ai Curdi, Erdogan sbarri le vie democratiche e punti a una soluzione militare avrà ad ogni modo conseguenze massicce per la politica in Turchia e nella regione.

(Articolo di Can Dündar su “Die Zeit” n. 48/2019 del 20 novembre 2019)
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