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Debito pubblico enorme e in crescita. Ecco perché le rottamazioni peggiorano la situazione
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Articolo di Redazione
29 marzo 2025 10:02
 
Finalmente qualcuno dice la verità. È la Corte dei conti, a cui ora la maggioranza di governo vorrebbe spuntare le unghie. Se il cosiddetto magazzino dei debiti che gli italiani hanno con il Fisco ha raggiunto, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’incredibile somma di 1.272,9 miliardi di euro, la responsabilità è anche delle rottamazioni. Secondo i giudici contabili, il problema «è costituito dall’accrescersi dei fenomeni di inadempimento, potenzialmente alimentati dalle ripetute rottamazioni, annullamenti, stralci e dilazioni, che rafforzano le aspettative di futuri abbattimenti o cancellazioni o rateazioni delle posizioni debitorie».

Tesi identica a quella dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che parla però di una cifra decisamente diversa. Il magazzino avrebbe raggiunto a novembre del 2024 la spettacolare cifra di 1.865 miliardi di euro: somma che oltrepassa il 60% del debito pubblico. E che per giunta si sarebbe incrementata di ben il 36,5% nel corso dei cinque anni dal 2019 a oggi. Se fosse davvero così, i debiti a vario titolo degli italiani non onorati con gli apparati pubblici, dalle multe alle tasse non pagate fino ai contributi previdenziali non versati, sarebbero lievitati di 500 miliardi in cinque anni: 100 miliardi di euro l’anno.

Ma anche prendendo per buoni i dati nettamente più contenuti dell’Agenzia delle Entrate, il problema rimane. Secondo le cifre ufficialmente comunicate dal Fisco alla fine del 2015, alla vigilia della stagione delle rottamazioni, il magazzino dei debiti fiscali ammontava a 1.058 miliardi di euro. Nove anni dopo ha toccato, appunto, 1.272,9 miliardi. Qualcosa come 215 miliardi in più, ovvero quasi 24 miliardi di euro l’anno. Segno che non soltanto quei 24 miliardi non sono stati pagati, ma nemmeno il pregresso è stato onorato, come la logica delle rottamazioni avrebbe dovuto suggerire. A lungo si è poi discusso di quanto si potrebbe recuperare dell’immenso magazzino. Non più di una cinquantina di miliardi, si calcolò nove anni fa. Adesso fanno sapere che 537 miliardi in ogni caso ce li dobbiamo dimenticare. Ma è una stima assolutamente ottimistica, visto come stanno andando le cose.

Il vero impatto delle rottamazioni
E qui c’è davvero qualcosa che non va, pure nelle trionfali esternazioni dei politici. La prova? Poco più di un anno fa, nel febbraio 2024, la sottosegretaria al ministero dell’Economia Lucia Albano dichiarò alla Camera che le prime tre rottamazioni avrebbero inciso sul magazzino per 30 miliardi. E con le misure di stralcio, cioè di annullamento delle posizioni debitorie per un totale di 82 miliardi, si sarebbe arrivati a una riduzione del medesimo magazzino nell’ordine di 112 miliardi di euro. Come fosse compatibile questo resoconto con le cifre riportate contestualmente dall’Ansa, per cui il magazzino ammontava «secondo gli ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate a circa 1.200 miliardi» (cioè già un anno fa 150 miliardi più di quando le rottamazioni erano iniziate, nel 2016), rimane un mistero.

La realtà dei numeri era ben diversa. A rigor di logica dovrebbe accadere il contrario. Le rottamazioni avrebbero dovuto ridimensionare quella enorme massa di debiti, che i contribuenti avrebbero difficoltà a pagare per il peso di sanzioni e interessi capaci di far lievitare gli importi delle cartelle a livelli insostenibili. Questa, almeno, è la motivazione politica a base delle misure prese da nove anni a questa parte da tutti i governi che si sono succeduti.

La verità, invece, è che hanno finito per favorire chi a pagare proprio non ci pensa. E spiega bene ciò che è successo Valeria De Bonis, professoressa di Scienze delle Finanze alla Sapienza nonché componente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio: «Gli interventi degli ultimi anni non hanno contribuito in maniera rilevante allo smaltimento dei crediti da riscuotere. Gli introiti da definizione agevolata, ad eccezione di quelli della più conveniente rottamazione quater, sono significativamente inferiori rispetto alle attese per effetto dell'elevata incidenza di contribuenti che dopo l’accesso al programma (e quindi dopo il pagamento delle prime rate, ndr) omettono di completare il pagamento dell'intero importo dovuto».

Dunque in gran parte dei casi si innesca una spirale infinita, con cartelle rottamate che vengono ri-rottamate e poi ri-ri-rottamate e ri-ri-ri-rottamate ancora. Senza che il debito venga estinto, proprio nella speranza che la spirale non si interrompa mai. Una speranza che viene continuamente alimentata dalle promesse della politica. L’ultima, quella della quinta rottamazione sponsorizzata dal leader leghista e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini: rateizzare i debiti - tutti, s’intende - in dieci anni senza sanzioni né interessi.

Ogni anno 20 milioni di cartelle esattoriali
Il fatto è che anziché grattare la pancia agli evasori, in un Paese nel quale il 15% dei contribuenti sopporta il peso del 100% del costo dei servizi pubblici, la politica dovrebbe avere il coraggio di cambiare radicalmente rotta. Se ogni anno l’Agenzia delle Entrate emette qualcosa come 20 milioni di cartelle esattoriali (una ogni tre abitanti comprendendo anche neonati e minorenni) significa che c’è in Italia una patologia collettiva. Una patologia sociale alimentata proprio dalla logica dei condoni, di cui le rottamazioni sono appena una variante. Lo Stato ti chiede di pagare per i servizi che ti fanno vivere in un posto civile, dall’ospedale che ti cura quando ne hai bisogno alla scuola che forma i tuoi figli, dalla strada che percorri tutte le mattine all’autobus oppure alla metropolitana che prendi per andare al lavoro; poi però chi va al governo ti strizza l’occhio invitandoti a non pagare perché tanto arriverà un condono e poi un altro e un altro ancora. E così all’infinito, incuranti del fatto che paga il conto soltanto chi non può evadere e che prima o poi il Paese rischierà la bancarotta. Ma poco importa, perché è una rogna che tocca sempre a chi verrà dopo…

(Sergio Rizzo su Milano Finanza del 28/03/2025)


 
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