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La decisione su Gerusalemme: niente reazioni. Il mondo islamico fa parlare di più la strada
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Articolo di Redazione
19 gennaio 2018 11:15
 
Il giorno, in cui  il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele, ha per la Turchia un significato particolare
Erano cento anni dalla consegna di Gerusalemme ai Britannici da parte degli Ottomani, dopo che questi ultimi vi avevano perso 30.000 uomini. Questa coincidenza storica di significato simbolico ha portato in Turchia a proteste particolarmente grandi. Inoltre la decisione ha notevoli conseguenze per la politica turca interna ed estera. In Turchia la questione palestinese ha unito eccezionalmente nella protesta tutti i partiti. Anche se essa dovesse portare alla rottura con Trump, verso il quale Erdogan si era adoperato per avere buoni rapporti, permette allo stesso Erdogan di cambiare l’agenda in tempi, in cui, proprio come accade a Netanjahu, lo stanno incalzando delle inchieste sulla corruzione, e di atteggiarsi a “capo del mondo musulmano”. Ma ci sono alcuni punti oscuri che potrebbero rendergli difficile questa operazione:
In una visita in Israele, nel 2005, Erdogan non reagì al saluto dell’allora premier Ariel Sharon che lo accolse così: “Benvenuto a Gerusalemme, capitale di Israele”. E nel trattato di normalizzazione  dei rapporti del 2016, dopo che ci si era trovati sull’orlo di una guerra con Israele, c’era già come capitale Gerusalemme invece di Tel Aviv. Ora, dato che egli protesta, questo accordo viene tirato fuori.
Ma Erdogan ha trasformato la crisi in una opportunità e ha immediatamente chiamato i capi di stato dell’organizzazione per la cooperazione islamica a tenere una seduta straordinaria a Istanbul, visto che in questo periodo è la Turchia, a cui spetta il turno di presidenza. Neppure la decisione di Trump su Gerusalemme sembra riuscire a saldare le profonde divergenze di opinione presenti nel mondo islamico. E’ su di esse che Trump potrebbe avere contato quando ha firmato la decisione in tutta tranquillità. La debole protesta della maggior parte dei governi del mondo islamico non può però essere intesa come silenzio da parte di questo mondo. Questa mancanza di reazione farà sì che sul territorio islamico l’iniziativa passerà dai governi alle organizzazioni e che, al posto della diplomazia, a parlare sarà la strada. Tenere a freno questa protesta non sarà poi così facile come ottenere il silenzio degli sceicchi del petrolio. A vincere non saranno coloro che si adoperano per la pace del Vicino Oriente, ma i radicali.

(articolo di Can Dündar, pubblicato su Da “Die Zeit” n. 52/2017 del 13 dicembre 2017)
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