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Democrazia partecipata. Il bluff in assenza di norme… dal caso fiorentino...
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Articolo di Vincenzo Donvito
16 novembre 2018 10:12
 
 La città di Firenze sarà chiamata alle urne la prossima primavera per rinnovare l’amministrazione comunale. Il Partito Democratico, che oggi governa la città col Sindaco Dario Nardella, ha deciso che lo stesso primo cittadino sarà proposto ai cittadini per la prossima tornata. La cosa di per sé ci riguarda solo marginalmente: affari interni del maggiore partito della città. Speriamo solo che questa candidatura non sia troppo distraente per l’attuale primo cittadino che, comunque, ha, da qui alle elezioni, ancora il fardello di amministrare la città.
Quello che ci interessa invece, in clima di democrazia diretta, partecipazione, popolo che viene chiamato in gioco un momento sì e l’altro pure, evidenziare come ciò che ci viene presentato come importante da parte dei partiti, è solo strumentale al potere e alle decisioni degli stessi. Stiamo parlando delle primarie che, il partito per eccellenza che le ha usate in passato in modi molto eclatanti, a livello locale quanto nazionale (le investiture dell’allora leader Matteo Renzi fanno scuola), oggi non è più interessato. Questo in un contesto in cui uno dei principali oppositori di questo partito, il M5S che ha la maggioranza nazionale e co-governa il nostro Paese, è riuscito a far macchietta di questa partecipazione con la ultra-strombazzata e-democrazia, dove alcune decine o centinaia di persone decidono le posizioni del loro intero partito che, invece, conta centinaia di migliaia di aderenti.
Tutto lecito: l’opportunismo del Pd e quello del M5S. Lascia amari quello del Pd chè, in tante altre occasioni, non solo si era avventurato nelle primarie ma aveva consentito la partecipazione non - come sembrerebbe logico - ai propri iscritti, ma a tutti coloro che versavano qualche euro al momento del voto primario. Noi lo abbiamo chiamato populismo del voto e del consenso, loro massima espressione della democrazia. Ad ognuno i propri “paletti” culturali.
A noi le primarie piacciono. Le ammiriamo quando le vediamo in Paesi come gli Usa, dove la gente si iscrive ai partiti per parteciparvi e la legge le disciplina (addirittura in Usa bisogna iscriversi anche per votare). Ma appunto, quando ci sono delle regole, uguali per tutti coloro che poi si apprestano a proporre i propri candidati al voto di chiunque. In Italia non esistono regole per le primarie, se non quelle che ognuno sceglie di darsi. Liberi di farlo, ma non esente da valutazioni politiche e scientifiche.
Politiche: qualificano chi decide di farle solo quando le ritiene opportune (è il caso del candidato Dario Nardella a Sindaco di Firenze) per valutazioni che non ci interessa valutare, ma che ci preme evidenziare per come viene intesa la democrazia e la partecipazione da parte di coloro che oggi sono tra i principali attori del nostro Paese.
Scientifiche, nel senso di scienza della politica: pur sommersi di analisi e valutazioni sul nostro sistema democratico, coi continui richiami alla Costituzione per cercarsi di legittimarsi meglio nei confronti dei propri avversari, ci sembra che ci sia un grande vuoto in materia; non perché non se ne parli, ma perché dalle parole non si passa mai ai fatti. Questo per noi significa che la democrazia, la partecipazione e le sue regole non vengono intese come fondamentali e pilastro del nostro regime, ma da modificare e usare alla bisogna con l’intento di affermare/procrastinare il proprio potere.
Qualcuno la chiama “democrazia imperfetta”, noi preferiamo chiamarlo “regime”.
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