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Il diritto alla salute, dietro le sbarre
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Articolo di Annapaola Laldi
24 marzo 2020 10:41
 
 Oggi desidero segnalare un ampio approfondimento sul tema della salute nelle carceri, esploso di fronte all’opinione pubblica con le rivolte in alcune carceri iniziate il 9 marzo scorso. Lo pubblica l’agenzia di stampa NEV (Notiziario Evangelico) nel suo numero 12 del 18 marzo scorso, che ringrazio per il permesso accordato [le sottolineature sono mie].
Tale approfondimento consta di due parti, l’intervista alla pastora Tomassone (Firenze) e le proposte contenute nel documento congiunto delle associazioni Antigone, Anpi, Arci, Cgil e Gruppo Abele, pubblicato il 14 marzo scorso.

Roma (NEV), 16 marzo 2020 – “Rimettere l’attenzione alla salute al centro delle politiche carcerarie, questa è la cosa più importante, che sia in tempi di coronavirus o nella quotidianità”. Inizia così la riflessione della pastora della chiesa  valdese di Firenze Letizia Tomassone, anni di esperienza nelle carceri, dopo i fatti degli scorsi

“In carcere – continua – è tutto molto difficile, ottenere farmaci, una visita medica, una prescrizione. Anche progetti di educazione sanitaria portati avanti negli anni passati con le Asl sono stati interrotti ormai da tempo. La salute di chi è rinchiuso non è considerata prioritaria”.

Dunque cosa è successo con la pandemia in corso?
“Oggi è difficile restare immuni dal virus. Il personale penitenziario va avanti e indietro, e anche in assenza di colloqui con le famiglie, non si vive in una bolla. Questa è solo l’idea che si fa la società esterna, incapace di conoscere, di entrare in contatto, di fare di quel pezzo di società un pezzo di cui ci si prende cura. Come fuori. Dall’inizio di marzo si è pensato di imporre una ghettizzazione insopportabile per chi sta in carcere, ma questo fatto ha colpito tutta la comunità a cerchi che si sono allargati sempre più: prima le famiglie e i detenuti, poi quanti sono in contatto con loro, e infine tutti quanti, alla vista delle fiamme e delle sommosse nelle carceri”, prosegue la pastora Tomassone.

Nel frattempo sono passati dei giorni, le “rivolte” nelle carceri si sono placate ma per chi vive la condizione detentiva “la chiusura diventa doppia e crea paura, per via dei contatti inevitabili in spazi troppo stretti, per via dell’assenza forzosa dei volontari, quelli delle associazioni e di tutte le fedi religiose, degli insegnanti, degli animatori di teatro, di tutti coloro che lavorano per dare un senso al tempo passato in cella. Con la chiusura di ogni contatto con i volontari e le volontarie, il carcere diventa ancora più isolato, un luogo “non visto”, posto fuori dalle città, un luogo abbandonato”. 

Una quarantena nella quarantena, dunque.
“Questa barriera è dannosa per i detenuti e anche per la società, si ripercuote in forme di disumanizzazione dell’altro. Invece il detenuto non coincide solo con il suo reato. Tutte le misure alternative come l’affidamento in prova sono benvenute, perché ricreano ponti tra le diverse parti della società, ricreano comunità e legami. Oggi le associazioni spingono anche per un indulto, per le misure alternative, per i domiciliari e gli affidamenti in prova. Continuano cioè il loro impegno di far transitare da dentro a fuori e da fuori a dentro il senso di essere una comunità coesa, che spezza la solitudine anche dei detenuti e non li lascia soli con le loro paure”, conclude la pastora di Firenze.

E proprio le associazioni impegnate per i diritti dei detenuti sono tornate a fare luce sulle problematiche urgenti degli istituti di pena ai tempi del Covid-19. In un documento congiunto pubblicato sabato scorso, 14 marzo, le associazioni Antigone, Anpi, Arci, Cgil e Gruppo Abele hanno infatti proposto una serie di interventi urgenti.
Intanto quest’oggi il Partito radicale ha rinnovato un appello al governo per un provvedimento immediato che affronti il problema del sovraffollamento.

“I posti disponibili nelle carceri italiane sono 50.931 – hanno ricordato le organizzazioni della società civile – , cui vanno sottratti quelli resi inagibili nei giorni scorsi. I detenuti presenti, alla fine di febbraio, erano 61.230. Alcuni istituti arrivano a un tasso di affollamento del 190%. Ogni giorno i detenuti sentono dire alla televisione che bisogna mantenere le distanze, salvo poi ritrovarsi in tre persone in celle da 12 metri quadri. Le condizioni igienico-sanitarie sono spesso precarie. Nel 2019 Antigone ha visitato 100 istituti: in quasi la metà c’erano celle senza acqua calda, in più della metà c’erano celle senza doccia. Spesso mancano prodotti per la pulizia e l’igiene. Con questi numeri, se dovesse entrare il virus in carcere, sarebbe una catastrofe per detenuti e operatori”. Da questi numeri, quindi, le associazioni prendono le mosse per lanciare alcune idee concrete, “per superare l’isolamento dei detenuti, per deflazionare il sistema penitenziario senza ripercussioni per la sicurezza, per proteggere i lavoratori”.
Ecco, di seguito, nel dettaglio, tutte le proposte per misure da attuare nel più breve tempo possibile, prima che la pandemia faccia ancora più danni e vittime di quanti non ne abbia già fatti nelle carceri italiane:

LE NOSTRE PROPOSTE PER RIDURRE IL NUMERO DEI DETENUTI E PROTEGGERE I PIU’ VULNERABILI
- L’affidamento in prova in casi particolari di cui all’art. 47-bis della legge 354/75 è esteso anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19 con finalità anche di assistenza terapeutica.
- La detenzione domiciliare di cui all’articolo 47-ter, primo comma, della legge 354/75 è estesa, senza limiti di pena, anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19.
- A tutti i detenuti che usufruiscono della misura della semilibertà è concesso di trascorrere la notte in detenzione domiciliare.
- Salvo motivati casi eccezionali, i provvedimenti di esecuzione delle sentenze emesse nei confronti di persone che si trovano a piede libero sono trasformati dalla magistratura in provvedimenti di detenzione domiciliare.
- La detenzione domiciliare prevista dalla legge 199 del 2010 e successivamente dalla legge 146 del 2013 è estesa ai condannati per pene detentive anche residue fino a trentasei mesi.
- La liberazione anticipata è estesa fino a 75 giorni a semestre con norme applicabili retroattivamente fino a tutto il 2018.

LE NOSTRE PROPOSTE PER RIDURRE L’ISOLAMENTO DEI DETENUTI IN QUESTA FASE DIFFICILISSIMA
- La direzione di ciascun istituto penitenziario provvederà all’acquisto di uno smartphone ogni cento detenuti presenti – con attivazione di scheda di dati mobili a carico dell’amministrazione – così da consentire, sotto il controllo visivo di un agente di polizia penitenziaria, una telefonata o video-telefonata quotidiana della durata di massimo 20 minuti a ciascun detenuto ai numeri di telefono cellulare oppure ai numeri fissi già autorizzati.
- Verranno attivati canali di corrispondenza e-mail con i parenti autorizzati alle visite

LE NOSTRE PROPOSTE PER LA PREVENZIONE DEL CONTAGIO E PER SOSTENERE LO STAFF PENITENZIARIO
- Fornitura immediata e straordinaria di dpi a tutto il personale penitenziario.
- Immediata e progressiva sanificazione di tutti gli ambienti carcerari, a cominciare dagli spazi comuni di socialità, da quelli adibiti a caserme e uffici del personale, dalle officine di lavorazioni e dai magazzini.
- Piano straordinario e immediato di assunzioni di personale penitenziario.
- Riportare la salute in carcere al centro delle politiche sanitarie, nazionali e territoriali, attraverso il reclutamento straordinario di medici, infermieri e operatori socio-sanitari da destinare all’assistenza sanitaria in carcere. L’assunzione di specifici piani di salute e prevenzione per ogni singolo istituto penitenziario. Vanno ripresi e rafforzati il percorso, i principi e le finalità contenute nella legge vigente: deve essere garantita qualità ed uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie nei confronti dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimenti restrittivi.
 
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