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L'eutanasia sara' routine come lo e' divenuto l'aborto
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Articolo di Richard Smith *
9 giugno 2006 0:00
 
Nel 1978 pubblicai uno dei miei primi articoli in una rivista di medicina - sull'aborto. Scateno' moltissime proteste, come del resto hanno fatto tutti gli articoli sull'aborto che sono stati pubblicati nei 10 anni successivi. Ci siamo mossi -posso dire siamo progrediti?- in un periodo di 50 anni dal rifiuto totale dell'interruzione di gravidanza di una donna la cui vita era a rischio proprio perche' incinta, ad un regime che di fatto e' di aborto su richiesta.
Credo di osservare una progressione simile sul tema dell'eutanasia. Len Doyal, "uno dei piu' importanti esperti di etica medica", nel sostenere che l'eutanasia attiva puo' essere accettata, ha fatto un altro passo lungo la via del cambiamento. Len puo' forse essere all'avanguardia, ma gran parte della gente non gli e' cosi' lontana. Altri Paesi e Stati -l'Olanda, il Belgio, la Svizzera, l'Oregon, ed i Nothern Territories- sono avanti, ma sicuramente un Paese post-religioso come la Gran Bretagna li seguira' molto presto. La proposta di legge di Lord Joffe sul suicidio medicalmente assistito sara' stato anche bloccata per un po', ma presto riprendera' il suo cammino.
Questa progressione non e' capitanata soprattutto da medici ed esperti di etica, ma -come deve essere- dalla gente. Perche' no all'eutanasia, pensano molti. "Non voglio restare al mondo mezzo demente, incontinente, un peso, incapace di gioire. Usciro' di scena quando la vita e' sempre relativamente accettabile. Non saro' spazzato via in una di quelle miserabili case di cura. Io voglio essere al comando". Questa opinione sta divenendo sempre piu' diffusa con l'avvicinarsi della morte per la generazione dei "baby boomers". Abbiamo avuto vite molto piu' privilegiate -e molta piu' liberta' di scelta- dei nostri genitori, e vogliamo che sia cosi' fino alla fine. Gli esperti di etica della medicina usano una parola molto colta per descrivere questo tipo di pensiero: autonomia. Le persone decidono del loro destino. Non devono fare cio' che medici, insegnanti, politici e esperti di bioetica dicono loro di fare. Una scuola di etica medica (non cara a Len) crede che tutti i temi etici possono essere analizzati secondo quattro principi. Uno di questi e' l'autonomia. Gli altri sono la beneficenza (fare del bene), la non maleficenza (non fare del male - a la Google), e giustizia. La non maleficenza non potrebbe andare d'accordo con l'ammazzare qualcuno, ma Len sostiene che e' meglio uccidere attivamente qualcuno che e' divenuto non senziente piuttosto che lasciarlo morire di fame.
I medici (ed il Papa) hanno sempre percepito una differenza fra l'uccisione attiva e la totale passivita' che porta alla morte o dare alla gente grandi quantita' di farmaci per aiutarli a soffrire meno sapendo che quel dosaggio li uccidera'. I filosofi generalmente non percepiscono alcuna differenza. Ma e' il dottore e non i filosofi che sono (o non sono) nel business, e credono di avere diritti particolari. Una risposta e' stata quella di suggerire il "suicidio filosoficamente assistito". Non si ha bisogno di conoscere molto la medicina per dare a qualcuno un cocktel letale.
E questo e' quanto. E' OK togliersi la vita. Perche' un medico non dovrebbe aiutarti? Non e' in fondo quello che i medici dovrebbero fare? Non abbiamo tutto sommato il compito di creare "un sistema sanitario guidato dai pazienti"? Molti medici si sentono profondamente a disagio -non sorprendentemente- con l'accorciare la vita, ma pare che la maggioranza di loro a un certo punto lo abbiano fatto -solitamente somministrando al paziente forti dosi di antidolorifici sapendo bene che l'avrebbe finito per uccidere. E' meglio che cio' avvenga in un regime legislativo in cui possono essere potenzialmente perseguiti penalmente o e' meglio per tutti accettare che cio' accada gia' e cambiare la legge?

Traduzione di Pietro Yates Moretti
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* Richard Smith e' direttore esecutivo di United Health Europe, membro del consiglio di amministrazione della Public Library of Science, docente presso la London School of Tropical Medicine, e membro del consiglio generale dell'Universita' di Londra. In passato e' stato l'editore del British Medical Journal.
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