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Firenze. Nel tunnel senza una visione
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Articolo di Stefano Fabbri
10 settembre 2024 14:02
 
La speranza è che si tratti degli ultimi scampoli di creatività estiva prima di dedicarsi sulle emergenze più evidenti di Firenze. E non dei piatti forti che Regione e Comune hanno tenuto in serbo per il capoluogo toscano. 

La pietanza principale è il restauro del tunnel sotto l'Arno tra lungarno della Zecca Vecchia e la Torre di San Niccolò. Pochi mesi fa le foto del governatore Giani con l'allora sindaco Nardella in canotto nel tubone allagato. Ora è la volta della prima cittadina Sara Funaro che, sempre con Giani — una passione per le gallerie e grande sponsor dell'idea — annuncia i lavori di prosciugamento. 

Secondo i novelli Mosè l'opera servirà per indirizzare una parte dei flussi turistici verso la scoperta dell'Oltrarno. O meglio di quel fazzoletto della sponda sinistra dove resistono una manciata di artigiani e residenti che potranno essere mostrati come personaggi del presepe di una Firenze che non c'è quasi più. 

A dire il vero sfugge un po' il motivo che dovrebbe spingere i visitatori a infilarsi nel tunnel mentre a meno di cento metri c'è un comodo ponte. Davvero non c'era qualche progetto più rispondente alle emergenze da finanziare con 7,5 milioni di euro dei fondi europei di coesione? 
Il secondo è invece il piatto (riscaldato) della sorte della centrale termica ex Fiat a Novoli. Ospiterà un centro di produzione culturale per musica, teatro, danza e arti visive. Siamo, salvo sbagliare i conti, alla quarta o quinta ipotesi in 20 anni.

Prima il concorso di idee vinto da Controradio nel 2004 con un progetto che ne prevedeva anche la sostenibilità economica, poi in Era Renziana si parlò di un «ristorante di qualità», quindi di un city center sullo sviluppo della città, poi di aree espositive a turno tra Museo Novecento, Archivi Alinari e Palazzo Pitti. Insomma, prima si restaura un bene, poi si pensa cosa farne e si finisce con il rischio della supercazzola della «polivalenza». 
Dessert, anche se di dolce c'è poco, la questione Fulgor e dintorni. Lo scenario dei giorni successivi al Grande Pattuglione è sintetizzato dalla foto di un ragazzo che ancora si fa di crack davanti all'ingresso del cinema dismesso. Siamo sicuri che basti la pur importante e volonterosa presenza di forze dell'ordine? Oppure, come ha notato Cecilia Del Re in un suo intervento su queste pagine, niente è destinato a cambiare se non si interviene sul tessuto sociale di quella zona? 

Questi tre esempi — il tunnel, la torre Fiat, il Fulgor — sono gli allarmanti segnali di spari nel buio senza che emerga una visione della città, con le sue priorità e le sue logiche. E tra queste non sembrano rientrare, come osservava qualche giorno fa Alessio Gaggioli, forme di incentivo di cui non si sente il bisogno al già pervasivo overtourism, sia pure underground. 

Ma soprattutto ciò mette in luce quanta distanza vi sia con altre esperienze, come quella di Bologna che talvolta il nostro birignao ci fa guardare dall'alto in basso. D'accordo: il capoluogo emiliano ha problemi diversi, ma essersi concentrati su un grande investimento per la nascita di una cittadella del digitale e dell'innovazione, come ci informavano domenica sul Corriere Fiorentino i docenti universitari Vieri Calogero e Giorgio Ricchiuti, significa che c'è una strategia per rispondere alla crisi di un vecchio modello di quella città proponendone un altro per i prossimi 20 anni. La nostra non può aspettare oltre e ha bisogno di segnali concreti adesso. In un tunnel Firenze c'è già e in fondo non si vede ancora la luce.

(pubblicato sul Corriere fiorentino - Corriere della Sera del 10/09/2024)
 
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