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I girotondi della ricerca pubblica in Italia
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Articolo di Massimo Lensi
15 settembre 2002 13:24
 
I ricercatori italiani hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Il 10 settembre si sono riuniti in assemblea e hanno dato vita ad un vero e proprio movimento di protesta, redigendo anche una "Carta dei Principi" contro la privatizzazione e lo smantellamento degli enti di ricerca. Il documento, sottoscritto da numerosi scienziati italiani, tra cui il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e Tullio De Mauro, nasce per "individuare i confini entro i quali la politica possa muovere i suoi giusti passi per riformare e orientare". Ma cosa e' successo? Perche' i nostri ricercatori hanno sentito l'esigenza di denunciare questo pericolo? Dobbiamo a questo punto fare un passo indietro, anzi due.

Alla fine di luglio e' circolata una "bozza fantasma" uscita, si dice, ufficiosamente dai corridoi del Ministero dell'Universita' e della Ricerca, contenente un primo progetto di riordino degli enti di ricerca e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Ne era seguita un'immediata smentita del Ministero che assicurava la sua estraneita' alla vicenda e asseriva essere "voci totalmente prive di fondamento" quelle inerenti alla paternita' del documento incriminato. Tuttavia lo stesso Ministero riteneva opportuno far sapere di aver avviato "studi preliminari per continuare nella riforma gia' avviata degli enti di ricerca" (Adnkronos, 26 luglio). Il quotidiano La Repubblica, in un articolo pubblicato il 2 agosto dal titolo "La ricerca commissariata", indicava l'esistenza invece di un documento in versione ormai definitiva nel quale veniva previsto la soppressione di diversi Enti Pubblici di Ricerca (1) e la sostanziale riforma di altri (2). Per arrivare da questa notizia alla carica dei nostri ricercatori, il passo e' stato breve. Per bocca del Presidente del Cnr, Lucio Bianco, i ricercatori italiani hanno indicato in tre punti fondamentali, i principi su cui si dovrebbe basare la politica sulla ricerca in Italia: maggiori finanziamenti, ricerca finalizzata a obiettivi prioritari e strategici e un'ottica di lungo periodo che sfugga a logiche di aziendalizzazione.

Bene, anzi benissimo. Tuttavia qualcosa ancora non ci torna. Innanzitutto perche' attaccare cosi' duramente il Ministero sulla base di un documento fantasma? Di cui si ha per di piu' smentita ufficiale. In una situazione di dialogo, quale deve essere quello del rapporto tra scienziati e politica, prima di avere una qualsiasi sicurezza nel merito della questione, non si organizza una riunione nazionale dei ricercatori, dal taglio decisamente sindacale, andando poi a redigere addirittura una Carta di Principi contro pero' una bozza fantasma. E poi, cosa ci stava a fare il Segretario dei Ds, Piero Fassino, a tale assemblea? Il sospetto che, forse, vi sia l'eredita' della precedente riforma da difendere e' abbastanza forte. Non ci sarebbe niente di male, ma Fassino si pronuncia, e sostiene "inaccettabile il fatto che il Governo stia cercando di trasformare un'attivita' essenziale per il Paese e per la sua competitivita', in un impresa economica e commerciale sacrificando la ricerca di base". Ma da dove il Segretario Ds ha appreso tutto cio'? Forse da La Repubblica? Sempre, quindi, di bozza fantasma stava parlando. Da questo emblematico scambio di battute si puo' intravedere un primo problema, che definiremo di stile. Se da una parte il Ministero ha incautamente lasciato trapelare imprecise e contraddittorie informazioni, forse col calibrato obiettivo di tastare il terreno della ricerca italiana, dall'altra la risposta dei ricercatori (piu' Fassino) e' stata quella dell'esuberanza, con l'aggiunta di qualche "leggera" pennellata di pregiudizio. In altre parole, una specie di girotondo degli scienziati italiani.

E se da una parte e' giusto, come ha osservato Lamberto Maffei del Cnr di Pisa, che "non si possono tenere i ricercatori in un limbo che annuncia catastrofi" (La Stampa, 4 settembre), dall'altra siamo d'accordo pure con Roberto Battiston dell'Universita' di Perugia per il quale "non si sa molto di questo progetto, nonostante riguardi un'area strategica per il Paese e per il lavoro di decine di migliaia di addetti. E' impossibile entrare nel merito" (La Stampa, 4 settembre). Di cosa stiamo discutendo quindi? Della vecchia riforma, o meglio della parte compiuta di questa, oppure di semplici illazioni, magari condite con qualche pregiudizio di troppo? A noi non appare nemmeno troppo scandaloso esplorare le possibilita' di organizzare in maniera competitiva l'attivita' della ricerca italiana, con circostanziati progetti dove finanziamento pubblico e aziendalizzazione vadano di pari passo, come accade per esempio in Gran Bretagna. "Azienda" non e' una parola offensiva, a nostro avviso, nemmeno se la si applica a dei tentativi di sviluppo commerciale della ricerca. E non ci suona insolente (code di paglia permettendo) nemmeno il necessario riordino sia degli enti di ricerca sia di quel complesso meccanismo di valutazione del merito che in Italia prende il nome di "baronismo". Certo, qualche dubbio lo nutriamo, alla luce specialmente di quanto sta accadendo sul fronte delle cellule staminali, sui progetti del Governo in materia di liberta' di ricerca. Ma non siamo prevenuti. Non confondiamo l'analisi di merito con quella sulle "bozze fantasma". A meno che non siano altri, i veri interessi che i ricercatori italiani, o parte di loro, vorrebbero difendere.

A questo proposito ci permettiamo di ricordare la "bacchettata" che la Corte dei Conti dette al Cnr per i ritardi nell'entrata a regime della ristrutturata rete scientifica e nell'applicazione delle nuove norme di contabilita' e bilancio. La Sezione di controllo enti della Corte dei Conti critico' il Cnr in relazione alla gestione finanziaria per il 2000. La Corte dei Conti osservo' che era "incompleta la riforma della ricerca pubblica, ancora in attesa della nomina degli organi rappresentativi della comunita' scientifica" la quale "non era riuscita a incidere sulla perdurante parcellizzazione di enti e di ministeri vigilanti". La Corte dei Conti si preoccupava inoltre della crescente destinazione delle risorse a "copertura degli oneri di personale, che rischiano di assorbire quasi totalmente il contributo statale, per effetto dei recenti aumenti contrattuali". In altre parole, poca scienza e troppi stipendi, tutti a carico del contribuente italiano.

Speriamo che non sia questo il vero obiettivo della Carta dei Principi. Non lo crediamo, come non vogliamo credere nemmeno alla possibilita' che dietro la "bozza fantasma" si nasconda il semplice rimpiazzo di cariche, uno "spoiling system", all'italiana pero', per le nomine dei direttori degli enti. Ma qualcuno ci dira' che forse siamo stati un po' troppo ingenui.

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