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Un interessante Quaderno di Finanza della Consob
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Articolo di Alessandro Pedone
20 gennaio 2010 12:07
 
E’ da poco uscito il Quaderno di Finanza della Consob n. 66, di Gennaio 2010, il quale affronta un argomento che spesso abbiamo trattato su questo sito, ovvero la fallacità delle teorie finanziarie classiche nel cogliere le reali motivazioni delle scelte finanziarie compiute, in particolare, dagli investitori non esperti.
Lo studio si intitola: “ERRORI COGNITIVI E INSTABILITÀ DELLE PREFERENZE NELLE SCELTE DI INVESTIMENTO DEI RISPARMIATORI RETAIL. LE INDICAZIONI DI POLICY DELLA FINANZA COMPORTAMENTALE”.
Nelle conclusioni si legge:
La regolamentazione dei mercati finanziari si fonda sul paradigma teorico classico di razionalità degli individui, il quale postula, tra le altre cose, che le decisioni di investimento siano effettuate dopo aver acquisito ed elaborato tutte le informazioni disponibili, sulla base di preferenze preesistenti, stabili e coerenti e utilizzando un processo cognitivo di massimizzazione dell’utilità. [...] Come emerge dagli studi di finanza comportamentale, tuttavia, gli individui non agiscono in maniera razionale, né appaiono in grado di acquisire ed elaborare correttamente l’informazione disponibile. In occasione delle scelte in condizioni di incertezza, tra le quali anche quelle di investimento, sembrano viceversa inclini ad applicare regole approssimative che consentono di semplificare e di rendere trattabili i problemi. Alcuni tratti psicologici molto diffusi, inoltre, sembrano indurre i soggetti a decidere sulla base di preferenze che non sono stabili e ben definite, bensì mutevoli a seconda che prevalgano prospettive di perdita o guadagno e a seconda delle modalità di presentazione di un problema. Tali fattori sono alla base di errori di valutazione sistematici e di comportamenti incoerenti con l’ipotesi di razionalità della teoria finanziaria classica.”
In parole più semplici, questo studio afferma che buona parte della normativa primaria e secondaria in materia d’intermediazione finanziaria è basata su presupposti errati.
Si tratta di un problema enorme non solo per gli aspetti normativi, ma anche - e forse soprattutto - per gli investitori stessi.
Ormai da decenni le fondamenta teoriche sulle quale si basa il sistema finanziario sono traballanti. Il fatto che perfino la Cosob (sebbene attraverso uno studio che - ovviamente - non impegna in nessun modo l’Autorità) inizi ad evidenziarlo dimostra quanto ormai siamo avanti nella consapevolezza del problema.
Uno degli aspetti centrali di ogni decisione finanziaria riguarda il rapporto rischio/rendimento.
Ebbene, le teorie finanziarie classiche concepiscono sia il rischio, sia il rendimento in maniera diversa dai comuni investitori non esperti.
In finanza, per rischio, s’intende fondamentalmente la deviazione standard (cioè un parametro statistico). Gli investitori non esperti, per rischio, solitamente, intendono la possibilità di perdere una certa somma.
Nel Quaderno di Finanza Consob leggiamo questo concetto espresso in maniera molto più forbita: “Le misure che meglio rappresentano il rischio percepito, inoltre, sembrano essere quelle asimmetriche poiche?, come esplicitato anche dall’avversione alle perdite alla base della teoria del prospetto, per la maggior parte degli individui il rischio e? legato alla probabilita? di perdita o a un suo valore massimo potenziale, piuttosto che al profilo positivo della variabilita? dei rendimenti. La tipica misura di rischio simmetrica proposta dalla letteratura, ossia la varianza, si rivela dunque inadeguata a coglierne la percezione soggettiva.
Per quanto concerne il rendimento, per la finanza tradizionale la funzione di utilità esprime una retta, in altre parole un guadagno di 100 euro ha sempre lo stesso valore in ogni condizione (sia che sia seguito da una perdita o da un guadagno di 100 euro, 1.000 euro o 10.000 euro, ecc.).
Nella realtà, l’utilità del rendimento è molto soggettiva e variabile nel tempo: dipende dalla specifica situazione.
La valutazione ex-post del rendimento, poi, è influenzata da molti fattori, primo tra tutti le aspettative.
Lo studio della Consob spiega come: “La finanza comportamentale individua, ad esempio, nella consulenza in materia di investimenti lo strumento attraverso il quale ridurre il divario tra scelte osservate e scelte ottimali secondo le prescrizioni della teoria classica, sia pure entro i limiti che verranno dettagliatamente discussi nel paragrafo 5.3.”(grassetto nostro)
Questo è uno degli aspetti della ricerca che ci trova maggiormente in disaccordo.
Gli studi di finanza comportamentale - come molto ben illustrato nel Quaderno che stiamo commentando - dimostrano come gli esseri umani siano soggetti ad una serie di “errori mentali” che li portano a fare scelte sub-ottimali (non solo rispetto alla teoria classica, ma sopratutto rispetto a ciò che l'investitore stesso riterrebbe ex-post, preferibile).
Ciò è ormai noto ed accettato. C’è però da considerare che in alcune circostanze le divergenze fra le scelte degli investitori e le scelte ritenute ottimali secondo le teorie classiche sono dovute a diverse valutazioni degli investitori reali rispetto a quelli “teorici” assunti dalla teoria finanziaria tradizionale.
Proviamo a spiegarci meglio.
Se un investitore confonde il rendimento nominale con il rendimento reale ciò è dovuto ad un errore di percezione che sarebbe utile correggere. In questo caso una buona consulenza finanziaria può aiutare - con tanta pazienza - a correggere questo tipo di errori.
Al contrario, se un investitore percepisce il rischio in maniera asimmetrica (come la grande maggioranza degli investitori) e la sua funzione di utilità esprime una curva (e non una linea) c’è ben poco da correggere. Dovrebbero essere le teorie finanziarie ad adeguarsi al reale rapporto rischio/rendimento.
Quando si parla di finanza comportamentale e di “errori mentali” degli investitori, sovente, si giunge in qualche modo a parlare di come “correggere” gli errori mentali.
Come ho scritto sopra, in alcuni casi, ciò è possibile ed utile, in altri non solo è difficile, ma non è affatto detto che ciò sia utile.
Prendiamo ad esempio il fenomeno dei conti mentali e dell’ancoraggio (per approfondimenti sul tema si legga la stessa ricerca che stiamo commentando e che abbiamo anche allegato).
In entrambi i casi si tratta di processi mentali profondamente radicati negli esseri umani (che fra l’altro, in molti campi, si rivelano utilissimi).
Un consulente finanziario che insistesse nel voler “educare” il cliente a prendere decisioni in maniera “più razionale” cercando di spiegare queste due “trappole mentali” avrebbe ben poche speranze di successo.
Una strada, a nostro giudizio, molto più efficace è quella di inglobale i presunti “errori mentali” nel rapporto consulenziale facendone una leva positiva al fine di orientare i clienti verso le scelte migliori (altro discorso è la valutazione professionale delle scelte “migliori”).
Un buon consulente finanziario,  a nostro avviso, dovrebbe conoscere molto bene i meccanismi mentali con i quali i clienti, solitamente, prendono decisioni finanziarie ed utilizzarli al fine di rendere psicologicamente sostenibili le scelte d’investimento proposte.
Non si tratta, si badi bene, di ingannare i clienti (come fanno gli intermediari finanziari proponendo, ad esempio, i prodotti finanziari strutturati che fanno leva sull’ignoranza dei clienti per vendere prodotti senza senso, se non quello di far guadagnare chi li vende).
Si tratta, al contrario, di scegliere fra opzioni teoricamente ottimali, ma concretamente scarsamente sostenibili dallo specifico cliente, ed opzioni teoricamente sub-ottimali, ma agevolmente praticabili.

Quaderno dei Finanza Consob n. 66

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