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INVISIBILI – Il caso di Rocky
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Articolo di Annapaola Laldi
24 novembre 2022 18:39
 
Rifletto da tempo sull’invisibilità delle persone, come ho fatto nelle mie noterelle del 23 ottobre scorso , e mi è venuto in mente che, quando insegnavo (alle scuole medie), mi accorsi che in quasi ogni classe c’era un alunno o un’alunna “invisibile” – detto brutalmente, che ci fosse o non ci fosse, non si notava la differenza. Colpa sua? Suo desiderio di sfuggire all’attenzione degli altri (anche dei compagni) per restarsene in pace nel suo cantuccio (di solito l’ultimo banco)?
All’epoca, in presa diretta, non me ne detti una spiegazione; solo constatai che anche per i colleghi  era così – nessuno vedeva davvero quel ragazzino (o ragazzina che fosse), e ne era cosciente.
Ma non mi pare che ci fosse il desiderio di cambiare la situazione. Anzi, tutto sommato, meglio così! Ce n’erano talmente tanti di ragazzi/e effervescenti che averne uno invisibile sembrava quasi un regalo.
Oggi questo atteggiamento mi appare vigliacco e ingiusto, e allora mi chiedo se questo mio interesse attuale per gli invisibili possa derivare proprio da quell’esperienza giovanile e sia un modo per tentare di riparare a quell’ingiustizia di allora.
Dunque, approfondendo la riflessione sulla “invisibilità” di alcuni/e, ora sono arrivata al punto di poter dire questo - esiste un’invisibilità a prova di bomba, che non riguarda creature che vivono nel nascondimento e quindi, per forza di cose non cadono sotto gli occhi degli altri . No, l’invisibilità più granitica, per così dire, è quella che si ha quando una creatura, che pure si incontra spesso, non viene mai degnata di uno sguardo. Essa risulta trasparente, perché gli occhi che dovrebbero vederla non la guardano – proprio le passano oltre, senza soffermarsi su di essa. La ignorano!
 
Questa scoperta, in particolare,  nasce dalla riflessione sul “caso Rocky”, un labrador, un cagnone dolcissimo come tutti quelli della sua razza. Un po’ ingombrante, magari, per stare in un salotto, però chi ne prende uno dovrebbe saperlo in partenza e agire di conseguenza (anche se ho l’esempio di una famiglia amica che prese un cucciolo di dobermann, che si rivelò di taglia XXL, e che se ne stava comodamente in casa, colonizzando poltrone e divani). Ma bisogna che l’aspirante padrone abbia voglia, appunto, di “ vederlo” e di trattarlo da “miglior amico dell’uomo” come ogni cane è, e in specie un labrador! 

Ma così non è stato per Rocky. Che ora ha 14 anni ed è pieno di dolori tanto che, a volte, non ce la fa ad alzarsi, e ogni tentativo di farlo gli strappa guaiti e latrati veramente strazianti. Anche per le mie orecchie affette da una discreta sordità. Perché l’hanno sempre tenuto fuori – certamente in una cuccia, che io però non riesco a vedere perché si trova nascosta da un sottoscala.
Sono 14 anni che ce l’ho praticamente davanti alle mie finestre, ma soltanto da qualche anno ho capito pienamente quanto sia derelitto (e lo sia sempre stato), perché sto più in casa e mi capita di dare un’occhiata fuori dalla finestra di cucina quando cuocio le mie verdure.
Mai, dico mai, che abbia visto i suoi indegni padroni fargli una carezza. Ecco. Lo hanno sempre ignorato. Lo hanno ignorato ogni volta che lui, speranzoso, quando tornavano a casa, o scendevano le scale esterne del loro appartamento, andava loro incontro scodinzolando, col muso rivolto verso di loro a chiedere una carezza – che non gli ho mai visto fare. Ecco, una creatura, per loro trasparente. Inesistente.
Ricordo in particolare le uscite mattutine col padrone per fargli fare la prima passeggiata  quotidiana (ma penso che non ce ne fossero più di due), presto, prima di andare in ufficio. Allora Rocky era giovane e baldanzoso, e tirava il guinzaglio, e il padrone dietro, contrariato, con la faccia di uno che sta andando al patibolo. La stessa che ha anche ora che è in pensione, quando porta Rocky un po’ più tardi a fare un più breve giro intorno all’isolato.
Se mi domando perché l’abbiano preso, posso rispondermi che avevano bisogno di qualcosa che facesse da deterrente a dei ragazzotti che qualche volta si arrampicavano su per il cancello per andare a recuperare il pallone finito in quel giardinetto. Quindi, ai loro occhi di gelosi proprietari del loro bene immobile, Rocky è (stato) solo un deterrente, uno strumento, non un essere vivente – cioè un cane nella fattispecie, creatura bisognosa di relazione con i suoi umani di riferimento.
 
I padroni, uomo e donna, sono evidentemente irrecuperabili.
Ma, in qualche modo, per Rocky, da poco più di un anno, è sorto un angelo consolatore, nella persona di una signora romena, dal gentile nome di Selina, che svolge il lavoro di assistente familiare presso una simpatica signora anziana nella stessa strada. Il nome è gentile, e anche lei che lo porta, lo è. E parecchio.
Più volte al giorno Selina, che è sensibile alla solitudine di Rocky ed evidentemente gode della fiducia dei suoi padroni, entra nel giardinetto,  e allora si vede Rocky che faticosamente le viene incontro a ricevere la sua razione di coccole e un paio di ossi merendina, e a volte lo vedo masticarli con gusto.
Gliel’ho detto a Selina che mi fa tanto piacere che si prenda cura di Rocky, che gli faccia quelle carezze, di cui è stato affamato e assetato per anni. E a cui certamente non sono mai bastate le mie, o quelle di un altro passante, fattegli attraverso le sbarre del cancello, anche se doveva gradirle, perché, quando camminava ancora bene, arrivava al cancello a passo veloce. E ancora mi viene incontro, sia pure con fatica, e accosta al cancello quel suo testone giallino …
 
Ecco. Mettendo insieme tutti i pezzi della riflessione sulle mie esperienze in fatto di “invisibilità”, ho capito che, per togliere dall’invisibilità una persona o un animale (ma anche una pianta o un oggetto), non basta che essa sia in piena luce; quello che occorre ancora sono occhi che si soffermino su di essa, la prendano in considerazione, ne scoprano luci e ombre. In una parola, ne riconoscano l’unicità, quell’unicità con cui è bello entrare in relazione.
 
 
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