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Italia: dossier radicale sulle carceri
Il capitolo tossicodipendenti
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Articolo di Donatella Poretti
18 agosto 2001 17:26
 
I radicali dell'eurodeputato Marco Pannella hanno visitato le carceri di Regina Coeli e Rebibbia a Roma, quelle torinesi Le Vallette e il minorile Ferrante Aporti, nonche' il carcere milanese di Opera. In una conferenza stampa hanno presentato un "dossier carceri".
Il dato piu' allarmante e' il sovraffollamento: le carceri italiane sono al collasso. Alla fine di luglio di quest'anno, i detenuti presenti erano 57.783, il picco più alto dal 1946 ad oggi. Il 31 agosto 2000, i detenuti erano 53.481; alla stessa data del 1999 erano 51.427. Di anno in anno si registra un aumento esponenziale della popolazione detenuta, accatastata in strutture che potrebbero contenere 42.000 detenuti in condizioni normali, 48.000 in condizioni appena tollerabili.
Un capitolo a parte viene dedicato alla malattia e alla tossicodipendenza in carcere, che riportiamo integralmente:
Malattia e morte dietro le sbarre
Stando ai dati, nel 1999, sono state 83 le persone morte dietro le sbarre, 59 i suicidi e 920 tentativi di suicidio. Dal primo gennaio al 17 ottobre 2000, sono stati 40 i suicidi e 396 i tentativi di suicidio in carcere. A questi casi di persone morte tra le mure del carcere, vanno aggiunti almeno altri 100 detenuti morti sulle ambulanze o dopo il ricovero in ospedale.
Secondo Francesco Ceraudo, neo presidente della Medicina Penitenziaria Mondiale e presidente dell'associazione medici penitenziari italiani (AMAPI), ogni giorno, nelle 212 carceri italiane tre detenuti tentano il suicidio, si verificano 1.500 tra omicidi, ferimenti, incendi, mentre quasi 6.000 carcerati mettono in atto lo sciopero della fame. "Chi entra in carcere non perde solo la liberta' ma anche la salute", ha dichiarato.
Al 31 dicembre 2000, i sieropositivi erano 1.459, gli affetti da AIDS conclamata 128, ma soltanto il 40% della popolazione ristretta si sottopone al test all'ingresso. Si puo' stimare che i detenuti positivi per Hiv siano 5.000. Una legge del '93 che sancisce l'incompatibilita' della malattia con il regime carcerario, e' stata modificata in senso restrittivo nel '95 e nel '99, affidando al magistrato la discrezionalita' di decidere la permanenza in carcere dei malati. "Almeno il 70% delle persone sieropositive e ammalate che sono rinchiuse nelle carceri -sostiene Rosaria Lardini, rappresentante dell'Anlaids- non riceve cure corrette. A peggiorare la situazione ci sono anche i trasferimenti: capita spesso che, assieme al detenuto, non venga spedita la sua cartella clinica nel carcere di destinazione. La conseguenza e' la sospensione forzata della terapia, l'annullamento dei risultati raggiunti e il rischio di andare incontro a infezioni opportunistiche".
Nel 1999, nelle carceri italiane sono stati registrati 6.536 casi di autolesionismo (3.251 quelli registrati nei primi 9 mesi del 2000); 1.800 ferimenti; 2 omicidi, 50 incendi; 5.500 scioperi della fame; 4.800 episodi di rifiuto di farmaci e terapie. Sono i dati ufficiali delle stesse amministrazioni penitenziarie, ma date le difficolta' che si incontrano nel conoscere la verita' su cio' che accade nelle celle, e' lecito pensare che i numeri sopra citati siano addirittura inferiori alla realta'.
I detenuti tossicodipendenti, al 31 dicembre 2000, erano 14.440, molti dei quali incarcerati in base all'art.73 della legge 309/90 (possesso e piccolo spaccio di droga).

I dati riportati nel dossier radicale purtroppo si commentano da soli, quasi un terzo della popolazione carceraria e' incarcerata per reati legati alla droga, una soluzione che pesa sulle strutture penitenziarie tanto da renderle inagibili e insostenibili da parte di chi vi e' costretto, oltre che parte di chi vi opera e vi lavora.
Leggi come quella sull'incompatibilita' della detenzione per i malati di Aids e' praticamente lettera morta, la somministrazione di metadone in carcere e' anch'essa in balia dell'arbitrarieta' dei vari istituti penitenziari.
Entrare in carcere per il solo possesso di pochi grammi di hashish, porta ad entrare in un girone infernale dal quale diventa difficile uscire. La promiscuita' con detenuti per reati di ben altro tipo, non puo' che portare alla domanda retorica: a chi giova? Sicuramente non e' di sostegno o di aiuto alla persona incarcerata, tantomeno alla societa', quando uscira' non sara' piu' la stessa: una persona incattivita e con legami ed amicizie sicuramente pericolose. Un marchio morale e fisico difficile da levare.
I dati e le cifre testimoniano che non giova a chi crede che questa sia la strada da percorrere per sconfiggere il fenomeno droga nel suo complesso, perche' aumentano i sequestri, gli arresti, le detenzioni cosi' come aumentano le persone che fanno uso delle droghe, e aumentano le sostanze stupefacenti in circolazione, sia in quantita' che qualita'.
A chi giova, allora, se non a chi si vuol lavare la coscienza con il motto che proibendo la droga, il suo consumo cessera' miracolosamente? Le tre scimmiette "non vedo, non sento e non parlo" dovrebbero andare in carcere anche solo per qualche ora e forse vedrebbero loro malgrado il disastro dell'attuale atteggiamento repressivo come unica soluzione, che non solo soluzione non e' ma foriera di ben altri disastri.
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