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In mancanza di argomentazioni valide contro il suicidio assistito in Italia, non ci resta che confrontarci con interlocutori stranieri
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Articolo di Claudia Moretti
13 giugno 2006 0:00
 
Prendiamo lo spunto per questa riflessione da un articolo pubblicato lo scorso 27 maggio su Zenit, in cui si riportano le considerazioni degli oppositori al disegno di legge presentato alla Camera dei Lord del Regno Unito da parte Lord Joel Joffe, volto a legalizzare il suicidio assistito per i malati terminali gravi. In un lungo ed articolato documento, espressione di alcune rappresentanze religiose, si riportano in sintesi le ragioni di chi vede nella regolamentazione del suicidio assistito la negazione della civilta'.
Siamo felici di poter ascoltare gli echi lontani (ma per fortuna non cosi' lontani) di un dibattito vivo e acceso, quello stesso che da tempo tentiamo di fomentare con il nostro contributo. Felici di leggere chi, convinto delle ragioni del "no", prova a dialogare con noi, altrettanto onestamente convinti delle ragioni del "si'", in un incontro dialettico che mira alla convinzione, razionale, umana, costruttiva, di chi la pensa diversamente. Leggendo il documento, non solo traiamo spunto per riflettere sulla nostra posizione, ma finalmente conosciamo le idee e le paure del nostro "avversario", con disponibilita' al dialogo. Finalmente misuriamo criticamente, diremmo socraticamente, la nostra distanza.
Tutto diverso qui da noi. Il parlamento tace, i partiti, anche i piu' coraggiosi, glissano e la giustizia "azzecca-garbuglia". Il fronte del "no" esorcizza chi si batte per il diritto a morire, ritenendolo il nuovo esercito della morte. Non si dibatte ne' si ragiona, ci si disgusta e si tace.
Le ragioni del "no" dei britannici, sono ragioni e soprattutto sono umane, o meglio umanitarie anche se di fondo non condivisibili. E chi le supporta non nega ne' dimentica la pieta' verso chi soffre, anche se poi finisce con negarne la suprema volonta' in caso sia contraria alle loro tesi. Si pensi alla presa di posizione di totale supporto ed incentivo delle organizzazioni pro-vita nei confronti delle cure palliative, tanto da farle diventare l'argomento principale della loro battaglia: non ci si uccida per sofferenza, ma la si curi con ogni mezzo possibile.
Tutto diverso qui da noi. Il nostro fronte oppositore e' costituito da un "no" compatto contro tutto: no aborto, no pax, no eutanasia, no testamento biologico, no droghe a scopo terapeutico, no morfina, no cure palliative, no anestesia epidurale, no anticoncezionale, e chi piu' ne ha piu' ne metta. Naturalmente in tutto questi no, chi soffre, chi chiede aiuto, si trova di fronte muri di disinteresse, veti aprioristici senza possibilita' di dialogo.
In Inghilterra il dibattito e' vivace, le reciproche posizioni si confrontano sulla base di un presupposto comune: la volonta' di superare il disagio di un malato terminale che chiede la fine delle proprie sofferenze. Un dibattito vero che sia tale sul suicidio assistito non puo' non porsi tale primario obiettivo e non affondare in esso la propria ragione di essere.
Ma nonostante premesse di fondo e intenti comuni, rimangono tuttavia insuperate e profonde le differenze che ci dividono dagli oppositori della proposta di legge di Lord Joffe, che in interventi successivi cercheremo di approfondire punto per punto. Rimane insuperabile soprattutto il nostro assunto fondamentale: chi decide come metter fine alla proprie sofferenze e' unicamente il sofferente. Nessuna entita' a lui estranea (medico, famiglia, stato, chiesa, commissioni bioetiche varie) deve sostituire forzosamente la propria volonta' alla sua. Il suo diritto alla scelta non puo' trovar limite nelle tesi di chi, piu' o meno ragionevolmente, ritenga detta scelta incivile, scellerata, politicamente pericolosa, o anche semplicemente rinunciataria. Insomma, rimane netta la cesura tra coloro che ritengono la volonta' del singolo sul proprio corpo insuperabile, e coloro che pretendono di imporre la "giusta soluzione bioetica" per il fine vita sulla pelle di chi per avventura o per cultura non sia d'accordo.
Ringraziamo il dibattito britannico per la profondita' delle ragioni che ci offre, perche' ci da' modo di affilare ancor piu' le nostre. Ci permette di individuare in questa premessa di liberta' intangibile il vero nocciolo duro anche di una piu' articolata e meditata discussione. E la nostra profonda distanza. Alla fin fine, si tratta di scegliere fra la volonta' dell'individuo per se stesso, costi a chiunque quello che costi, e la ragion di stato.
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